Azerbaijan: anche la gioia è ostaggio del regime
Negli ultimi due mesi sono stati numerosi i prigionieri politici rilasciati in Azerbaijan. Ma altri rimangono ingiustamente carcerati. Un commento
Ci sono molte forme di gioia. La gioia di stare in famiglia e con le persone che ami, la gioia dell’avere in mano il diploma dopo l’esame di maturità, la gioia di trovare il lavoro che desideravi. La gioia di crescere, la gioia di tenere un figlio in braccio.
Ma esiste anche un’altra forma di gioia, il tipo di gioia che può essere sentimento comune tra quelli che conoscono il dolore e la rabbia di aver visto i propri cari allontanati da loro e condannati per crimini che non hanno commesso. E’ la gioia che provi quando li vedi, infine, liberi, tra gli abbracci delle loro famiglie, dei loro amici. Circondati da chi avevano attorno nella loro vita precedente, quella prima di essere imprigionati, quella che, in molti modi, era stata piena di gioia.
Si deve ritenersi fortunati se non si è mai provato questa forma di gioia. In Azerbaijan purtroppo ci sono molte famiglie che conoscono bene questo sentimento. Sono le famiglie dei prigionieri politici che sono stati rinchiusi dietro alle sbarre per aver detto la verità, per la loro abnegazione a favore della giustizia e dello stato di diritto.
La famiglia Yunus
Leyla Yunus aveva gli occhi ricolmi di lacrime mentre, all’aeroporto Shipol di Amsterdam, raccontava in un’intervista con Amnesty Olanda che anche il giorno precedente all’effettiva partenza lei e il marito ritenevano fosse tutto un sogno, che alla fine non sarebbe stato loro permesso di andarsene dall’Azerbaijan.
La loro figlia, che vive in Olanda dal 2009, li aspettava al terminal lo scorso 29 aprile con un mazzo di fiori in mano. Nell’incontrarsi la gioia sui loro volti era rigata di lacrime di commozione. I due coniugi erano stati infine lasciati andare dalla presa autoritaria del regime azero.
La famiglia Yunus era stata brutalmente divisa nell’estate del 2014. Il 30 luglio venne arrestata Leyla Yunus. Il marito, Arif Yunus, venne arrestato una settimana dopo. Erano incriminati di alto tradimento, attività economiche illegali, frode e vennero condannati nell’agosto del 2015 rispettivamente a otto anni e mezzo e sette anni di carcere. Vennero imprigionati in strutture detentive separate e se alcune notizie sull’attivista per i diritti umani Leyla Yunus trapelavano, pochissimo si sapeva del marito Arif Yunus.
Le torture e l’umiliazione che hanno subito durante il periodo di detenzione sono indescrivibili. Nel dicembre 2015 la loro pena venne sospesa a causa della loro situazione di salute in grave peggioramento. I due coniugi vennero posti in libertà vigilata. “Sono stata trasformata in polvere da prigione”, ha dichiarato Leyla Yunus ad un gruppo di giornalisti che si erano raccolti davanti al suo appartamento a Baku, il giorno del rilascio, tenendosi al braccio del marito, rilasciato poco tempo prima.
Senza dubbio il benvenuto ottenuto nei Paesi Bassi, dove alla coppia è stato permesso di recarsi per ottenere cure mediche, è stata molto calorosa. “Leyla e Arif Yunus hanno messo a rischio la loro incolumità e felicità per lottare per la democrazia e i diritti umani ”, ha affermato al loro arrivo il ministro degli Esteri olandese Bert Koenders.
Mentre la famiglia Yunus gioiva dell’essere nuovamente unita è probabile che il presidente Aliyev e la sua amministrazione si rallegrassero per essersi liberati di due tra le voci più critiche del regime.
I 14 della vergogna
Un altro sviluppo sorprendente, arrivato prima delle celebrazioni del Nowruz, è stato il perdono di 14 prigionieri politici, amnistiati assieme a altri 148 detenuti comuni.
Una mossa che più che essere un segno della magnanimità del regime è probabilmente motivata politicamente dato che è stata fatta prima della visita del presidente Aliyev a Washington DC per il Summit sull’industria nucleare che lì era previsto.
Tra i rilasciati l’attivista per i diritti umani Rasul Jafarov; i giornalisti Parviz Hashimli, Hilal Mammadov e Tofig Yagublu; gli avvocati Taleh Khasmammadov e Anar Mammadli; i giovani attivisti e membri del movimento civico N!DA Rashadat Akhundov, Mahammad Azizov e Rashad Hasanov; i bloggers Siraj Karimli e Omar Mammadov. Nella lista anche l’ex funzionario di governo Akif Muradverdiyev; il presidente del Partito della Nazione Nemat Penahli e l’attivista di un altro partito d’opposizione, il Musavat, Yadigar Sadigov.
Molti di loro erano imprigionati dal 2013, condannati per crimini mai commessi da corti ingiuste e vergognose. In realtà tutti condannati per il loro lavoro, per il loro attivismo, per la loro sincerità.
Forse la gioia più grande, relativamente a questi uomini coraggiosi, è stata data dall’incontro del piccolo Araz, tre anni, con il padre Rashadat Akhundov. Turkan Huseynova, la moglie di Akhundov, ha commentato così il rilascio del marito: “Questi ultimi tre anni sono stati molto difficili. Non mi aspettavo il suo rilascio. Forse quando non ti aspetti una cosa e poi nei telegiornali senti che è avvenuta, la gioia è ancora più grande”.
Oltre a quelli amnistiati vi sono stati altri prigionieri politici che hanno ritrovato la libertà dopo che la loro pena è stata ridotta e poi sospesa. Rauf Mirkadirov è stato liberato dopo che la pena che gli era stata comminata è stata abbassata da sei anni a cinque e poi sospesa. 10 giorni dopo, il 27 marzo, è stata la volta della liberazione di Intigam Aliyev, la cui pena è stata ridotta da 7 anni e mezzo a 5 anni e poi sospesa.
A discrezione del presidente
Ma come accade con molte cose in Azerbaijan, sta al presidente Aliyev decidere chi può gioire e chi no. Negli ultimi due mesi molti prigionieri politici sono stati rilasciati ma altri, come ad esempio la giornalista investigativa Khadija Ismayilova, il giornalista Seymur Hezi, gli attivisti Ilkin Rustamzade e Ilgar Mammadov, continuano a rimanere ostaggi del regime. Nonostante siano in carcere, continuano però ad ottenere riconoscimenti per il loro coraggio da parte di istituzioni e organizzazioni che hanno a cuore i diritti umani e la libertà.
Elmira Ismayilova, madre di Khadija, continua a ritirare premi in nome della figlia. “So che mia figlia è stata arrestata per aver percorso il sentiero giusto, per aver servito il mondo libero e per le sue investigazioni”, ha dichiarato alla sezione azera della BBC poco dopo aver ricevuto in nome della figlia il Guillermo Cano World Press Freedom Price dell’Unesco a Helsinki, durante la Giornata mondiale per la libertà di stampa. Khadija ha ricevuto questo riconoscimento per il suo contributo alla libertà di stampa in Azerbaijan.
Nel discorso della figlia, portato a Helsinki dalla madre, la giornalista investigativa ha chiesto al pubblico di ricordare la figura di Elmar Huseynov, giornalista azero assassinato davanti alla propria abitazione ed ha sottolineato il fallimento delle autorità nell’indagare sul suo omicidio. Khadija ha detto di essere felice di essere ancora viva, diversamente da quanto accaduto al suo collega e amico Elmar e che continuerà a combattere per la giustizia ma che, per farlo, ha bisogno di aiuto.
“L’umanità soffre quando i giornalisti vengono messi a tacere. Questo è il motivo per cui l’uccisione di un giornalista è un crimine contro l’umanità. Vi siete riuniti qui questa sera e io vi chiedo di non lodare il mio lavoro o il mio coraggio ma di impegnarvi su quanto ciascuno di voi può fare per la libertà di stampa e per la giustizia. Ora vi è una relazione tra Guillermo Cano, Elmar Huseynov e me. Siamo stati tutti e tre degradati e deumanizzati da attacchi contro i nostri diritti fondamentali, in sdegno della giustizia, della correttezza, negando la verità. Noi, globalmente, tutti assieme, uniti qui questa sera per onorare la libertà di stampa, dobbiamo impegnarci di lottare per difenderla".
Mentre la platea applaudiva calorosamente, Khadija rimaneva a migliaia di chilometri di distanza, nella sua cella, impossibilitata a condividere la gioia per questo nuovo riconoscimento né con la sua famiglia e neppure con gli amici. Ma almeno, assieme a tutte quelle cittadine e cittadini azeri che con coraggio continuano a battersi per la giustizia, per la verità e per la libertà, condividono la gioia di essere onesti con se stessi nella speranza che, un giorno, possano condividere questa gioia con tutti gli altri.