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Il Paese che non c’è. La Bosnia Erzegovina tra transizione, contraddizioni e diritti negati

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La Bosnia Erzegovina è un Paese sospeso tra contraddizioni, diritti negati e crisi sociali, incapace di trovare un’identità unitaria. La guerra è finita, almeno a parole, ma la crisi economica, lo stallo della produzione e l’aumento della disoccupazione, con l’incremento conseguente delle tensioni sociali e politiche, stanno facendo riaffiorare i nervi scoperti del Paese.

Il passaggio da un’economia di autogestione a un capitalismo sfrenato ha provocato una profonda divisione tra i moltissimi poveri e una minoranza egoista e ricchissima, con la progressiva scomparsa della classe intermedia e lo sviluppo di due economie parallele e ben differenziate. Di questa situazione hanno saputo approfittare i nuovi tycoon, che hanno sfruttato il conflitto e il successivo e persistente periodo di deregolamentazione per assicurarsi ricchezza e potere, grazie alle privatizzazioni delle industrie di Stato e alla svendita dei beni comuni, alla ricostruzione, al controllo del mercato, favorendo lo sviluppo di corruzione e criminalità. A farne le spese sono stati i cittadini, ultimi destinati a rimanere tali, inascoltati da una classe politica compressa tra nazionalismo e liberismo spinto.

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