Zoran Milanović, nuovo presidente della Croazia

Fino a qualche mese fa sarebbe stato difficile da immaginare, oggi invece dopo il secondo turno delle presidenziali, svoltosi domenica 5 gennaio, il nuovo presidente croato è Zoran Milanović, ex premier ed ex leader del Partito socialdemocratico

07/01/2020, Giovanni Vale - Zagabria

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Zoran Milanović (foto © Sodel Vladyslav/Shutterstock)

È Zoran Milanović il nuovo capo di Stato croato. L’ex premier socialdemocratico ha incassato domenica il 52,7% dei voti contro il 47,3% della presidente uscente Kolinda Grabar-Kitarović, in un secondo turno che si è svolto senza incidenti ma con qualche accusa di compravendita di voti. Quella di Milanović è una vittoria che fino a pochi mesi fa sembrava impensabile. Grabar-Kitarović ha infatti eroso la sua popolarità negli ultimi mesi del suo mandato e Milanović è riuscito ad approfittare dello scontro a destra tra la presidente uscente e l’outsider Miroslav Škoro, che al primo turno si era fatto portavoce della destra più radicale e oltranzista. Ora, il governo di Andrej Plenković deve prepararsi ad una coabitazione con un capo di Stato che, anche se rinuncerà formalmente alla tessera del Partito socialdemocratico, ha certamente delle posizioni politiche molto diverse da quelle di Grabar-Kitarović. È un’elezione che porta un vento nuovo e, nei limiti dei poteri (limitati) del presidente croato, può portare qualche cambiamento nel panorama politico della Croazia.

Il forfait degli elettori di Škoro

Come ha fatto Milanović a recuperare in questi mesi uno svantaggio che sembrava incolmabile? A guardare i risultati con il senno di poi, si direbbe che tra i due litiganti della destra croata, abbia finito per godere il candidato progressista. Al primo turno, Škoro ha incassato il 24% dei voti, contro il 27% di Grabar-Kitarović e il 30% di Milanović. L’elettorato di riferimento dell’HDZ si è dunque diviso tra due figure, una di continuità e una di rottura con l’attuale stato delle cose. In vista del ballottaggio, Škoro ha invitato i suoi elettori a non scegliere il male minore (Grabar-Kitarović), ma a votare scheda nulla. E l’appello è stato rispettato da molti, dato l’alto numero di schede nulle: quasi 90mila (4%) contro le 22mila (1%) del primo turno. Anche la bassa affluenza in alcune regioni tradizionalmente vicine all’HDZ (la Slavonia in primis), testimonia del “tradimento” di una parte dell’elettorato della destra nei confronti di Grabar-Kitarović.

Nella regione di Vukovar, ad esempio, l’affluenza non ha raggiunto il 37%, mentre attorno a Slavonski Brod e a Požega si è superato di poco il 38%. Al contrario, nel nord della Croazia, dove ha vinto Zoran Milanović, si è recato alle urne il 47% degli aventi diritto. Qui, nelle regioni di Varaždin e di Međimurje al confine con la Slovenia, il candidato socialdemocratico ha vinto bene, con il 66% o addirittura il 75% dei voti. Sulla costa, si è confermata la tradizionale dicotomia tra l’Istria “rossa” e la Dalmazia “blu”, ma anche qui con un risultato sotto tono per Grabar-Kitarović. Milanović ha incassato un incredibile 80% in Istria, con picchi di quasi il 90% in alcune località. Anche Fiume, luogo di origine di Grabar-Kitarović, ha scelto il candidato socialdemocratico col 69% delle preferenze. In Dalmazia, la situazione s’inverte, ma con percentuali molto più basse. La presidente uscente ha vinto con il 56%, massimo 58% e ha addirittura perso nelle città: sia Zara che Spalato hanno votato a sinistra.

La sorpresa della Bosnia Erzegovina

Resta, per Grabar-Kitarović, la magra consolazione dell’estero, con la diaspora da sempre fedele all’HDZ. Quasi il 90% delle preferenze dall’estero vanno infatti alle presidente uscente, ma numericamente sono troppo poche per capovolgere il risultato (la differenza con Milanović in tutto è di 105mila voti). Tuttavia, all’interno del voto della diaspora si nasconde un dato interessante. Rispetto al ballottaggio del 2015, tra Josipović e Grabar-Kitarović, la diaspora ha infatti votato molto di più nel 2020: 52mila votanti oggi contro 36mila nel 2015. Si potrebbe pensare ad un dato fisiologico, con l’emigrazione e una diaspora sempre più consistente, ma in realtà, questo aumento non rispecchia un generale maggior coinvolgimento dei croati all’estero, anzi. Il numero di votanti, rispetto al 2015, è sceso in quasi tutti i principali paesi della diaspora croata, mentre è aumentato, o meglio raddoppiato, solo in Bosnia Erzegovina.

Qui Grabar-Kitarović ha realizzato 32mila dei suoi 45mila voti all’estero, con una mobilitazione eccezionale tra il 1° e il 2° turno. Il 22 dicembre, 24mila persone hanno votato in Bosnia Erzegovina. Di queste, 16mila hanno scelto Grabar-Kitarović, un dato in linea con il 2° turno del 2015, quando la candidata HDZ aveva ottenuto circa 16mila voti. Il 5 gennaio, invece, la presidente uscente riesce a portare alle urne il doppio degli elettori, appunto 32mila voti. È un balzo non da poco, se si considera che la differenza finale con Milanović è di 105mila voti. In Bosnia Erzegovina, inoltre, è stato registrato anche un caso di possibile compravendita di voti, con un sms che circolava sui social network promettendo un buono da 500 kune (67 euro) da spendere al supermercato (era menzionata anche la catena: Konzum) e un viaggio a Međugorje in cambio di un voto per Grabar-Kitarović con foto che lo provasse. Dopo l’intervento dell’associazione Gong che ha segnalato il caso alla commissione elettorale, l’autorità croata per le telecomunicazioni (HAKOM) ha bloccato il numero di telefono dal quale erano stati inviati gli sms.

Un presidente con un caratteraccio

Al di là del strano caso bosniaco, il complesso di circostanze sopra descritto (radicalizzazione della destra croata, apparizione di Škoro, erosione del consenso di Grabar-Kitarović…) ha finito per portare al colle di Pantovčak Zoran Milanović. Classe 1966, laureato in legge, già presidente del Partito socialdemocratico croato e Primo ministro dal 2011 al 2016, Milanović diventa così il quinto capo di Stato eletto nella Croazia indipendente. È noto in patria per il suo carattere forte, al punto da essere stato spesso accusato di arroganza. Ma in questa campagna elettorale, Milanović ha cercato di tenere sotto controllo il suo “caratteraccio”, dimostrando di aver fatto tesoro della sconfitta contro Andrej Plenković alle legislative del 2016. Lo stesso slogan della sua campagna, «un presidente che ha carattere» (Predsjednik s karakterom), giocava proprio con l’accusa che gli è più spesso rivolta e nel suo primo discorso dopo la vittoria Milanović è tornato su questo punto.

"Da parte mia non sentirete storielle di unità e di comunione, perché le persone sono diverse tra loro e ne sono cosciente – ha dichiarato il neoeletto capo di Stato, facendo riferimento alla retorica dell’unità dei croati spesso usata da Grabar-Kitarović – ma quello su cui mi impegnerò è di non ferire intenzionalmente nessuno, di ascoltare tutti e di promuovere il dialogo, coscienti che siamo diversi". Come vuole il protocollo, Milanović svestirà ora la casacca di membro dell’SDP e diventerà «il presidente di tutti», quindi di quelli a cui non piace, a destra e a sinistra. Per il premier Andrej Plenković, si apre invece una fase di coabitazione. "Sarà una coabitazione difficile nel rispetto della costituzione", ha tagliato corto il Primo ministro, ma secondo alcuni osservatori il duo Plenković-Milanović potrebbe funzionare meglio del precedente, malgrado il premier e Kolinda Grabar-Kitarović facessero parte dello stesso partito.

Quel che è certo è che nei prossimi mesi, ovvero prima delle elezioni legislative di fine anno, l’HDZ dovrà risolvere la sua crisi interna, nella quale si delineano chiaramente due fazioni, identificabili nei commenti del dopo-voto. L’ex portavoce dell’HDZ Silvana Oruč-Ivoš, ad esempio, ha detto che Grabar-Kitarović è una "vittima collaterale" di Plenković "che porta avanti una politica di sinistra senza averne il mandato". Al contrario, il presidente del parlamento Gordan Jandroković, vicino a Plenković, pensa che l’HDZ abbia perso il ballottaggio perché ha condotto "una compagna elettorale troppo a destra". Insomma, dopo anni di scontri interni, i moderati e i radicali dell’HDZ sembrano essere sull’orlo del divorzio. Le elezioni interne che si terranno quest’anno ci diranno in che direzione andrà il partito e chi dovrà partire. Per il momento, diversi quadri dell’HDZ hanno annunciato la loro candidatura e tra questi anche Milijan Brkić, l’attuale vicepresidente dell’HDZ, che ha dichiarato domenica di essere pronto a correre contro il suo leader. Plenković ha sostanzialmente fatto spallucce.

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