ZBOR, uniti contro la privatizzazione delle risorse nei Balcani

ZBOR – acronimo per “Resistenza e lavoro uniti nei Balcani” – è un collettivo transnazionale e una piattaforma per articolare una posizione condivisa contro la transizione verde capitalista e contro tutte le forme di estrattivismo violento

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Il gruppo di ZBOR - foto ZBOR

Nei primi anni del dopoguerra, la Bosnia Erzegovina si era trovata ad un bivio tra promesse di ricostruzione e realtà della transizione. In un momento storico in cui lo stato e la società avevano appena iniziato ad uscire dal caos, dalla miseria e dalla distruzione della guerra, la speranza di una libertà e un benessere a lungo desiderati era svanita di fronte al saccheggio di beni pubblici.

Nel bel mezzo di una transizione ingiusta, le istituzioni e le aziende pubbliche da un giorno all’altro erano cadute preda di pochi.

Invece di impegnarsi per ricostruire il paese, per garantire il ritorno dei profughi e degli sfollati e gettare le basi di un nuovo stato indipendente, il neonato apparato politico aveva ceduto all’arroganza dei profittatori di guerra, lasciando che i diritti umani venissero calpestati, le istituzioni distrutte e le pratiche corruttive legittimate. La società si era trovata divisa tra chi aveva tutto e chi sopravviveva a malapena.

Poi, ad un certo punto, nonostante la disperazione che si era ormai insinuata negli animi, dalle crepe di quell’abisso emersero i primi movimenti di resistenza civile. Alla spinta iniziale, venuta dalle iniziative per il ritorno dei profughi, ben presto si aggiunse la consapevolezza che i diritti fondamentali dei cittadini liberi erano sotto attacco.

Nel vortice dell’amaro passaggio da un’economia socialista ad un capitalismo selvaggio, con l’apertura del mercato, ad essere minacciate sono state anche le risorse naturali e il diritto dei cittadini a disporre della propria vita e della propria terra. Un’intera regione, ricca di minerali necessari per la transizione verde, è divenuta bersaglio di brutali conquiste territoriali in una guerra globale per le risorse.

Sconvolte dai repentini cambiamenti socio-economici, che promettevano la ripresa di un’economia in declino, le comunità locali si sono trovate in bilico tra il miraggio del progresso economico e la necessità di difendere la dignità umana e del lavoro calpestata.

Sul fronte della resistenza, a lungo caratterizzata da piccoli movimenti civici contro le corporazioni minerarie e la corruzione, oggi stanno finalmente emergendo segnali di una mobilitazione anticapitalista transnazionale, lanciata da cittadini liberi, riuniti attorno alla piattaforma ZBOR – Resistenza e lavoro uniti nei Balcani.

ZBOR riunisce gruppi informali, attivisti, intellettuali, sindacalisti, lavoratori e cittadini che, ciascuno nella propria comunità, lottano contro l’estrattivismo e la transizione ingiusta.

“ZBOR [termine serbo-croato per indicare assemblea popolare, plenum, ndt] si richiama ai meccanismi di democrazia diretta e autogestione, che vantano una lunga tradizione in questi territori, sin dai tempi della resistenza antifascista e della lotta di liberazione popolare. Nei territori liberati, le assemblee erano luoghi in cui venivano prese decisioni, per poi diventare, nella Jugoslavia socialista, il principale meccanismo decisionale”, spiega Svjetlana Nedimović, attivista bosniaco-erzegovese, tra le ideatrici di ZBOR.

La piattaforma costruisce il suo approccio alla transizione ecologica ispirandosi alla natura eterogenea e all’autonomia dei plenum, tutti liberi ed eguali. Sono questi i luoghi dove, secondo i membri di ZBOR, andrebbero prese le decisioni sul futuro dei Balcani.

Resistenza e lavoro

ZBOR è nato nel 2023 a Berlino, durante un workshop promosso dalla rivista Berliner Gazette, dove si sono incontrati attivisti provenienti da Serbia e Bosnia Erzegovina. Consapevoli che ad accomunarli era la battaglia contro il neocolonialismo corporativo nei Balcani occidentali, nel 2024 gli attivisti dei due paesi hanno organizzato un ciclo di incontri nell’area di Homolje, nella Serbia orientale.

Nella magnifica cornice naturale di quest’area, brutalmente devastata negli ultimi anni e disseminata di migliaia di pozzi minerari esplorativi, la popolazione locale e gli attivisti hanno unito le forze per opporsi all’attività mineraria irresponsabile della società canadese Dundee Precius Metals (DPM).

Recentemente, questa azienda ha preso il controllo della miniera di materie prime critiche a Vareš, in Bosnia Erzegovina, grazie ad un accordo per un valore di complessivo di 1,3 miliardi di dollari.

Secondo informazioni non ufficiali di cui dispone ZBOR, il progetto esplorativo dell’azienda canadese nell’area di Homolje sarà venduto alla società cinese Zijin. È colpa di quest’ultima se la vicina Bor è stata inserita della lista ONU delle cinquanta città più inquinate al mondo.

L’anno scorso, durante il primo incontro di ZBOR, è stata pubblicata la dichiarazione di Homolje con un messaggio chiaro: “Nessuno pagherà né la ‘transizione verde’ né il ‘capitalismo verde’ con la propria acqua, il proprio suolo, la propria aria, la propria salute e la propria comunità”. Tutti gli abitanti delle aree a rischio in Bosnia Erzegovina e Serbia sono stati invitati a prendere parte all’evento per unire le forze e porre resistenza alla conquista neocoloniale di montagne, foreste, fiumi e città.

Ne è seguita una visita alle città tedesche, organizzata dagli attivisti di ZBOR per spiegare al pubblico locale, agli attivisti, ai sindacalisti e ai professori universitari i reali effetti della transizione verde nei paesi dei Balcani occidentali.

“Abbiamo invitato alla solidarietà tra i lavoratori, sottolineando che i Balcani non sono un Eldorado per salvare l’industria automobilistica e metallurgica tedesca. Per salvare il pianeta abbiamo bisogno di un modello economico diverso, serve una lotta anticapitalista, non una lotta per la modernizzazione ecologica, nuove economie e la neutralità climatica”, spiega Svjetlana Nedimović, rivelando l’essenza stessa di ZBOR – una piattaforma per ripensare la transizione energetica da una prospettiva anticapitalista.

“Il problema è il capitalismo, che ha imposto i suoi vecchi schemi alla transizione verde. Nulla è cambiato, sono state semplicemente individuate, e in un certo senso legittimate nuove nicchie di investimento”, precisa la nostra interlocutrice.

“Quella che era considerata la missione per ‘civilizzare i selvaggi’ durante le prime conquiste coloniali, la ‘decolonizzazione’ all’inizio del secolo scorso e la spinta allo ‘sviluppo delle aree sottosviluppate del mondo’ dopo la Seconda guerra mondiale, oggi è la missione per ‘salvare il pianeta’. Ora questo discorso viene riproposto in una veste nuova anche nel luogo in cui è nato, tant’è che ormai si parla di priorità geopolitiche e di sicurezza dell’Europa”.

Minatori in transizione

Nella città mineraria di Breza, in Bosnia Erzegovina, l’11 e il 12 settembre si terrà il secondo incontro dei membri di ZBOR. Un posto speciale sarà riservato ai minatori bosniaco-erzegovesi, un tempo pilastro dello sviluppo economico di questi territori, simbolo del contributo dei lavoratori alla costruzione della Jugoslavia dopo la Seconda guerra mondiale.

Oggi, i minatori della Bosnia Erzegovina sono in ginocchio e le miniere di carbone in tutto il paese sono ormai un reperto storico, un ricordo dei bei vecchi tempi. Nuove miniere vengono scavate e il paese pian piano sta diventando una base di materie prime per il futuro verde dell’Europa.

“In linea di principio, ZBOR di oppone allo sfruttamento degli esseri umani e dell’ambiente, ed è sulla sottomissione della natura e dei lavoratori che si basano l’estrattivismo e il capitalismo. Quindi, non c’è alcuna contraddizione tra le lotte degli attivisti ambientalisti e quelle dei lavoratori nelle miniere. Anzi, tutti gli elementi di queste lotte sono interconnessi”, sottolinea l’attivista ambientale Majda Ibraković.

“Vogliamo far capire alle persone che la lotta è una sola e che il nemico è uno solo. Ci piacerebbe che il primo ZBOR in Bosnia Erzegovina risvegliasse il coraggio e la voce delle persone, facendo loro comprendere che non sono sole nelle loro paure e preoccupazioni e che esiste un modo per lottare per un futuro migliore”, afferma Ibraković.

“Traiamo ispirazione da eventi come la rivolta di Bor del 1935 – precisa Svjetlana Nedimović – quando i contadini e i minatori si erano ribellati insieme: i minatori a causa delle condizioni di lavoro in miniera, i contadini a causa dell’inquinamento. Solo unendo le forze, gli operai e i contadini erano riusciti a innescare cambiamenti radicali, capendo che stavano lottando per la propria esistenza, non contro chi si guadagnava da vivere onestamente con il proprio lavoro, bensì contro un nemico comune: contro chi sfruttava sia la classe operaia che i contadini”.

L’attivista traccia poi parallelismi tra la rivolta di Bor e gli attuali movimenti contro lo sfruttamento sfrenato delle risorse minerarie in Bosnia Erzegovina e in Serbia.

“Quelli che oggi vogliono sfruttare i minerali sul monte Ozren sono gli stessi che domani ridurranno i minatori ad una condizione di precarietà, anche chiudendo la miniera di Zenica. Gli stessi che consegneranno l’intero settore energetico in mani private. Quindi, i temi affrontati da ZBOR riguardano tutti noi. Tutti paghiamo l’elettricità. Nel momento in cui l’elettricità passerà in mani private, in un contesto in cui non si parla nemmeno della tutela dei consumatori domestici, perderemo il controllo della produzione di energia e la società sarà lasciata alla mercé del mercato globale”, sottolinea Nedimović.

Ricordando che i lavoratori hanno sempre e ovunque lottato per l’emancipazione e la giustizia, Majda Ibraković spiega che le iniziative di ZBOR sono un’occasione per far rivivere quella memoria.

“È importante sottolineare che a Breza ci saranno anche i minatori provenienti dalla Gran Bretagna, che hanno subito terribili ingiustizie quarant’anni fa. La privatizzazione ingiusta delle miniere britanniche oggi si riflette nei prezzi insostenibili dell’elettricità e nel divario tra ricchi e poveri. La storia si ripete, la sostanza è la stessa, sempre e ovunque, parliamo di un problema globale”, afferma l’attivista.

Durante il secondo incontro del gruppo sempre più numeroso di attivisti e sostenitori dell’idea di una resistenza comune nei Balcani, che si terrà a settembre a Breza, è prevista la presenza di cittadini consapevoli della Bosnia Erzegovina e della Serbia, ma anche di attivisti per il clima provenienti dal Nord Europa, sindacalisti e membri delle comunità vulnerabili in Portogallo, Gran Bretagna, Italia, Germania, Montenegro e Slovenia.

Ad accomunarli è la lotta contro lo sfruttamento del territorio, della natura e delle persone nella corsa globale al profitto.

L’idea di ZBOR e le critiche alla transizione verde

Al di là delle considerazioni generali condivise da chi difende i beni collettivi da privatizzazioni senza scrupoli e corse al profitto, a contraddistinguere i paesi dei Balcani è la debolezza di fronte all’invasione aggressiva dei capitai legati ai mercati emersi dagli interstizi dell’agenda della transizione verde.

L’obiettivo degli attivisti di ZBOR è quello di rafforzare la mobilitazione contro le autorità nazionali incompetenti, ma anche di scardinare quelle narrazioni diffuse dall’Unione europea che non hanno nulla a che vedere con i nobili obiettivi della politica verde.

“I diritti umani sono solo uno strumento retorico con cui l’UE legittima tutto quello che è stato fatto nell’ultimo mezzo secolo, e stiamo parlando di giustizia, libertà, uguaglianza, alcune idee che sono state bandite dalle discussioni, proprio a causa delle loro radici ideologiche", spiega Svjetlana Nedimović.

“Ci opponiamo a questo tipo di transizione verde – precisa l’attivista – si può sostenere la salvaguardia e il miglioramento dell’ambiente naturale, senza però ignorare il fatto che in tutto il mondo le persone stanno lottando per la propria esistenza e per il diritto di partecipare alle decisioni riguardanti i progetti dannosi per le loro comunità”.

“In Bosnia Erzegovina, ad esempio, vengono aperte nuove miniere private, chiudendo quelle vecchie, mettendo così a rischio l’intero settore energetico, ancora prevalentemente basato sul carbone. Il concetto di transizione è molto problematico, suggerisce una sorta di percorso lineare e rigorosamente controllato sempre nella stessa direzione. Noi invece aspiriamo ad una trasformazione radicale del sistema, senza tale trasformazione non sarà possibile tutelare né i cittadini né l’ambiente”, denuncia Nedimović.

E sottolinea: “Assistiamo ad una deindustrializzazione desolante, dove l’economia è stata svuotata di qualsiasi significato. Le persone vengono ridotte in schiavitù e divise tra loro, non c’è alcun presupposto per un vero sviluppo”.

Una resistenza trasversale

ZBOR può essere visto come un primo passo per rafforzare la consapevolezza dell’importanza di una lotta comune in difesa dei beni pubblici. In decine di piccole comunità in Bosnia Erzegovina e Serbia, i cittadini, perlopiù abbandonati a loro stessi, difendono il loro ambiente e le loro proprietà, persino le loro vite, dall’estrattivismo aggressivo.

“Per quanto coraggiose e massicce, queste lotte sono ancora abbastanza isolate. ZBOR è un’occasione per comprendere l’importanza di una battaglia trasversale, capace di far nascere movimenti forti. Ed è anche un’occasione per riflettere su come ciascuno di noi possa beneficiare di questa unione. Vogliamo far capire a tutti i cittadini che la transizione, così come concepita oggi, avrà un impatto notevole sui loro bilanci familiari. Chiunque viva del proprio lavoro sperimenterà questa transizione sulla propria pelle, compresi quelli non si sono mai nemmeno avvicinati ad una miniera”, conclude Svjetlana Nedimović.

Per gli organizzatori dell’incontro di Breza il più grande successo sarebbe riuscire a risvegliare i cittadini dal torpore spingendoli a riflettere sui prossimi passi da fare per difendere le loro risorse più importanti. Pertanto, l’invito a questo evento è aperto a tutti .