Vukašin Obradović: i media critici, affossati dal potere

In Serbia sono sempre più diffusi i casi di limitazione della libertà di stampa. E la colpa è del governo. Un’intervista a Vukašin Obradović presidente dell’Associazione dei giornalisti indipendenti della Serbia

08/10/2015, Dragan Janjić - Belgrado

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Vukašin Obradović (foto di Omaž Verici Barać - Media Centar Beograd )

Secondo il presidente dell’Associazione dei giornalisti indipendenti della Serbia (NUNS), Vukašin Obradović, in Serbia vi sono sempre più casi di limitazione della libertà di espressione. E grosse responsabilità sono da attribuire al governo. Come esempio recente Obradović riporta la serie di limitazioni di libertà di stampa relativamente all’avvio dei lavori del progetto Belgrado sull’acqua: tra questi l’aver impedito all’equipe del portale Istinomer, senza alcuna base legale, di girare un servizio nei pressi di Savski kej a Belgrado (zona dove è previsto che venga realizzato il progetto Belgrado sull’acqua); la richiesta rivolta al giornalista Božidar Andrejić di mostrare la tessera del Partito progressista serbo (SNS) per poter assistere al dibattito pubblico sull’avvio dei lavori di Belgrado sull’acqua; la convocazione del caporedattore del sito Teleprompter Danilo Redžepović, presso la polizia. Tutti esempi – secondo Obradović – che indicano in che condizioni lavorano oggi i giornalisti in Serbia e ben evidenziano l’atteggiamento del potere nei confronti della nostra professione, in particolare nei confronti di quei media che hanno un approccio critico rispetto all’attuale governo.

È preoccupato per la situazione?

Certo, l’attuale governo in Serbia non dimostra di avere sensibilità democratica adeguata a garantire la libertà dei media. Non capiscono che un’opinione pubblica critica è un elemento imprescindibile di ogni società moderna, da qui deriva l’atteggiamento che hanno nei confronti dei giornalisti.

Si insiste su una sorta di unità nazionale che il governo concepisce unicamente come sostegno ad Aleksandar Vučić, capo del governo serbo. Ogni comportamento di individui, istituzioni o media che esca da quel determinato contesto viene dichiarato ostile, viene considerato un’azione sovversiva. Conseguenza di questo modo di pensare sono gli ultimi incidenti che illustrano in generale il rapporto del governo nei confronti di giornalisti e media.

Si tratta di una tendenza o incidenti isolati?

Si tratta, a dire il vero, di un comportamento generale rispetto ai media o, più precisamente, nei confronti di un’opinione pubblica critica. Limitare lo spazio per il dibattito pubblico è una costante di questo governo, l’idea di politica del regime di Aleksandar Vučić.

Guardando anche ai soli media le conseguenze sono catastrofiche. La libertà di espressione è diventata un enorme villaggio Potemkin in cui le facciate decorate della “Serbia europea” nascondono un severo controllo dei media, una tv ad uso privato del premier, giornalisti che “reggono i microfoni”, redattori guerrafondai riciclati, tabloid dalle fauci spalancate che servono da linciaggio pubblico per chi non la pensa come loro.

In una realtà del genere, gli ultimi esempi di attacco ai giornalisti non sono che conseguenze della strategia di soffocare la libertà di espressione, intesa come idea politica del governo di Aleksandar Vučić.

Nell’ambito dell’indagine sullo scandalo delle intercettazioni del leader dell’opposizione Bojan Pajtić, la polizia ha chiesto al caporedattore del portale Teleprompter di sottoporsi alla macchina della verità. È una prassi abituale? Questo tipo di richieste possono essere interpretate come una velata minaccia ai giornalisti?

È un precedente pericoloso. Senza entrare nei dettagli dell’intero caso, insistere che Danilo Redžepović, caporedattore di Teleprompter, si sottoponga alla prova del poligrafo è una violazione mai vista della libertà di espressione e una limitazione dei diritti dei giornalisti. Significa allora che verranno introdotte nuovi prassi in cui i giornalisti, ma non solo loro, se dovessero pubblicare qualcosa che non piace al governo, saranno sottoposti alla macchina della verità? E rifiutarsi di farlo sarà una prova schiacciante che il giornalista non dice la verità?

Il giornalista deve difendere la sua fonte, mentre la magistratura mediante la legge può indagare sull’autenticità dei documenti che arrivano all’opinione pubblica. Ogni comportamento che esula da questa procedura è un attacco contro la libertà dei giornalisti.

Durante la crisi delle relazioni tra Serbia e Croazia, scatenata dall’ondata di rifugiati, come si sono comportati i media in Serbia?

Alcuni media, soprattutto i tabloid (ma non solo loro), hanno sfruttato la crisi nei rapporti tra Serbia e Croazia come occasione per infiammare gli animi nazionalisti e non solo mediante un vocabolario inadeguato e volgare, bensì con la classica propaganda guerrafondaia. La retorica che in quei giorni era dominante in una parte dell’opinione pubblica ci ha riportato agli anni Novanta e ci ha ricordato il ruolo disonorevole di alcuni media durante il conflitto nella ex Jugoslavia.

Ciò che preoccupa in particolare è il fatto che l’hate speech nell’ultimo periodo sta prendendo sempre più piede.

I media devono essere consapevoli che le ferite di guerra sono ancora fresche e che il processo di riconciliazione nei Balcani non va così velocemente come potrebbe sembrare. Per questo motivo è molto importante che i politici, soprattutto loro, diano un taglio netto a questo “giornalismo”. Purtroppo, non solo non lo fanno, anzi con la loro retorica spesso surriscaldano l’atmosfera di odio e intolleranza nei confronti dei vicini.

In che misura è presente l’influenza dei centri di potere politico sulla linea editoriale dei media? Da questo punto di vista la situazione migliora o sta peggiorando?

In Serbia, negli ultimi 15 anni, senza eccezioni, ogni governo ha guardato ai media non come ad una parte del processo democratico, la “quarta colonna della democrazia”, ma piuttosto come ad un mezzo per ottenere e mantenere il potere. In questo senso, Vučić ha ereditato una “infrastruttura” sviluppata che gli dà la possibilità di avere una grande influenza sulla sfera mediatica. Lui la usa, come i suoi predecessori, per promuovere il partito e, soprattutto, se stesso. L’ossessione di Vučić di avere sempre il sostegno del popolo per le riforme richiede anche dei media adeguati. In questo senso, egli non dimostra né la volontà né il desiderio, e men che meno la comprensione, per un ambiente sociale in cui questo governo e lui in persona, possano essere esposti anche alla critica.

E lo spazio per il dibattito pubblico?

A causa di questo atteggiamento del governo, lo spazio per il dibattito pubblico si restringe ogni giorno che passa fino al punto che la maggior parte dei distributori ha rifiutato la pubblicazione del libro di Slaviša Lekić, libro in cui l’autore ci riporta ai “lavori giovanili” dell’attuale premier serbo (al periodo della guerra degli anni Novanta quando appoggiò gli sforzi bellici della Serbia). È avvenuta, inoltre, la sospensione dello spettacolo teatrale Koštanač a causa dell’inadeguatezza politica del regista Kokan Mladenović. Questo fatto rivela che c’è una sorta di auto-censura che non è solo specificità dei media, ma riguarda anche altri settori della società.

Come valuta i passi fatti finora nella riforma del settore dei media serbi?

La riforma dei media, oggettivamente, va per la sua strada e possiamo essere soddisfatti che lo stato sia uscito dalla proprietà di molti media e che si sia passati al finanziamento a progetti. Però, l’esito finale della riforma dipenderà dalla volontà politica di fare in modo che il set di leggi sui media venga applicato nella pratica. Se il governo non cambia la sua posizione generale nei confronti della libertà di espressione, la riforma del settore dei media resterà solamente sulla carta.

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Questa pubblicazione è stata prodotta nell’ambito del progetto European Centre for Press and Media Freedom, cofinanziato dalla Commissione europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l’opinione dell’Unione Europea. Vai alla pagina del progetto

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