Voto in Georgia: la sicurezza
Nell’anno delle elezioni politiche in Georgia, un approfondimento dedicato al tema della sicurezza, soprattutto interna. La sua gestione influirà sulle scelte dagli elettori
Quando si parla di sicurezza in Georgia, soprattutto all’estero, si tende a concentrarsi sugli effetti del conflitto con la Russia nel 2008, e sullo status quo che si è creato con le repubbliche secessioniste di Abkhazia e Ossezia del Sud.
Il tema della sicurezza nazionale è ovviamente più complesso e andrebbe ricordato che il precedente governo ha pagato in termini elettorali molto più pesantemente la gestione della sicurezza interna che quella transfrontaliera. E che la Georgia è imbarcata in un lungo viaggio di riforma del sistema di sicurezza che riguarda tanto l’apparato militare, quanto le forze di polizia, il sistema carcerario, le corti e l’intero sistema giudiziario. Come il Sogno Georgiano ha contribuito alla sicurezza interna sarà una delle questioni che peserà sulle scelte dagli elettori alle politiche del prossimo ottobre.
Le elezioni perse in prigione
La campagna elettorale del 2012 era stata completamente differente da quella attuale, segno di quanto già il paese sia cambiato. Fino al 2011 il controllo del potere da parte del Movimento Nazionale Unito (MNU) del presidente Mikhail Saakashvili non sembrava poter essere messo in dubbio, e nessuna delle forze di opposizione sembrava poter spodestare la solida maggioranza di governo.
La discesa in campo di Bidzina Ivanishvili aveva poi rimescolato le carte, e – soprattutto nella capitale – aveva offerto un’alternativa a tutta quella fetta di elettorato stanca dello strapotere del MNU e dei metodi sempre più assertivi del suo governo. Il 2012 aveva visto quindi una campagna senza esclusione di colpi, giocata sul filo (e oltre) della costituzionalità. Ma la goccia che aveva fatto traboccare il vaso del malcontento verso il governo uscente era stata la trasmissione a metà settembre su MastroTV e TV9 delle violenze perpetrate nella prigione n. 8. Travolto da uno scandalo che sollevava il velo sui metodi largamente tollerati nei settori della sicurezza e della giustizia da massime figure del governo, incluso il capolista segretario del MNU Vano Merabishvili, il partito del presidente cedeva il testimone alla forza politica emergente, il Sogno Georgiano di Ivanishvili.
Sfide vecchie e nuove
Il Sogno Georgiano è salito al governo quattro anni fa circondato da grandi aspettative. Quanti avevano patito la deriva sempre più autoritaria del MNU riponevano speranza che la nuova coalizione non solo avrebbe portato avanti la riforma del sistema di sicurezza con più coerenza e meno compromessi, ma anche che coloro che si erano macchiati di reati approfittando dell’impunità garantita ai propri uomini dal precedente governo sarebbero stati puniti.
Questo ultimo processo – effettivamente attivato e che ha portato in carcere nomi illustri del partito, fra cui lo stesso segretario Merabishvili, fino alla condanna in contumacia dell’ex presidente – ha sollevato critiche all’interno del paese e, maggiori, presso la comunità internazionale. Una serie di condanne, di cui l’ultima, quella dell’ex sindaco di Tbilisi Gigi Ugulava per sottrazione indebita di denaro pubblico, sono state additati come atti di vendetta politica.
Nell’intricato ginepraio di valutazioni politiche, di fatti contestati e di fatti avvenuti, il bilancio che si può trarre è che la riforma del sistema di sicurezza si sta dimostrando molto più complessa e ostica di quanto potesse apparire più di 10 anni fa, quando con la Rivoluzione delle Rose la Georgia girava pagina e con un rinnovato impeto si metteva mano alle forze di polizia, alle corti, all’esercito.
La riforma della sicurezza era stata un fiore all’occhiello dei governi targati Saakashvili: la modernizzazione delle agenzie dello stato detentrici dell’uso della forza, lo svecchiamento dei quadri e la battaglia contro la corruzione avevano fatto della Georgia un modello nello spazio post-sovietico. Ma se i risultati positivi non sono certo da sottovalutare, rimangono le note di fondo che hanno portato al paradosso che proprio da questo fiore all’occhiello sia giunta la punizione elettorale.
Come molti altri paesi post sovietici, nei corridoi delle caserme, dei tribunali, serpeggia l’ombra di un passato basato su meccanismi informali di lealtà di clan, di famiglia, di partito, e persiste un passato di scarso rispetto delle norme e delle procedure a favore di comportamenti arbitrari, di gerarchie interne impermeabili a procedure e catene di comando standard. In altre parole: la perenne illegalità della personalizzazione del potere che svuota le istituzioni (civili e militari) della loro legittimità ed osservanza costituzionale. E in cui la generazione portatrice del nuovo, formata al rispetto delle procedure, delle norme e della legge, stenta a scardinare i baronaggi consolidati. La mentalità nelle istituzioni si muove con estrema lentezza.
La sicurezza nel 2016
Sogno Georgiano ha dato un proprio contributo ed impulso alla riforma, prendendo le distanze dal tracciato del MNU. Fra i primi passi vi è stato una diminuzione della durata delle pene carcerarie, nonostante le critiche dell’opposizione che questo avrebbe causato un incremento della criminalità e un deterioramento della sicurezza.
Su alcuni nodi però permangono segni di continuità. Per quanto il ministero degli Interni sia stato ridimensionato nel suo peso politico rispetto ai tempi del potentissimo Merabishvili il suo operato rimane oggetto di critiche, sia per l’uso incoerente delle forze di polizia, sia per poteri garantitigli per legge che sollevano dubbi presso la società civile. Un esempio è la discussa legge sulle intercettazioni , passata dalla maggioranza nel febbraio scorso, dribblando il veto presidenziale, che garantisce il libero accesso del ministero degli Interni ai server di telefonia mobile.
Il ministero stesso ha visto cambiare i proprio vertici, così come è accaduto ad un altro ministero forte, quello della Difesa. In ambo i casi, alcuni giochi si sono svolti fra i banchi dei tribunali. L’ultimo caso: le cinque condanne di civili e militari che si sono abbattute sul ministero della Difesa e contro le quali è sceso in piazza l’ex ministro (ed ex membro della coalizione del Sogno Georgiano) Irakli Alasania.
Alasania sostiene che i tribunali sono al servizio di poteri forti contro possibili oppositori, in linea con una lunga e nefasta tradizione di carenze nel check&balance system del paese, e in generale dell’indipendenza della magistratura.
Qualcosa è cambiato?
Anche se il settore della sicurezza, sia nella sua componente civile che in quella militare, tanto fra le forze di polizia che negli uffici giudiziari, appare ancora risentire fortemente di possibili strumentalizzazioni politiche, sarebbe una banalizzazione dire che nulla è cambiato negli ultimi quattro anni.
E’ stato infatti ridimensionato il ministero degli Interni. L’impunità per chi commette reati è stata intaccata, anche se sull’apertura delle indagini e sui processi continuano a gravare dubbi di un certo arbitrio selettivo. Un contributo importante alla riforma, che da un governo all’altro deve comunque continuare a svilupparsi ed evolversi, potrebbe provenire dalla nuova Legge sui dipendenti pubblici, volta a fornire le linee guida professionali ed etiche di una nuova generazione di funzionari georgiani, la cui fede alla propria mansione pubblica e alle istituzioni in cui operano dovrebbe rendere meno manipolabili e corruttibili.
La sfida più grande rimane quella di far traslare l’esercizio del potere dall’arbitrio della persona alla legalità istituzionale, ancorandolo ai principi e agli scopi che la costituzione attribuisce alle agenzie dello stato, fondamento di una Georgia più solida e certamente più sicura per i suoi cittadini.