Voglio restare una giornalista

Majnat Kurbanova (Abdulaeva), giornalista cecena in esilio, parla del caso Politkovskaja, della difficile situazione nel Caucaso settentrionale e di come concretamente la società civile occidentale può essere d’aiuto

12/06/2009, Maria Elena Murdaca -

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Foto di Olivander, flickr.com

Qual è la sua opinione sull’esito del processo per l’omicidio di Anna Politkovskaja?

Innanzitutto credo che sin dall’inizio sia stato lampante il fatto che questo processo è stato concepito come una farsa per dimostrare al mondo, e in primo luogo all’Occidente, ai politici e ai giornalisti occidentali, che le autorità russe avrebbero fatto di tutto per trovare il mandante e l’esecutore dell’omicidio.

Negli ultimi anni ci sono state numerose falsificazioni che mi autorizzano a dubitare delle autorità russe. Per quanto riguarda le persone arrestate e poi prosciolte per l’omicidio di Anna Politkovskaja, persino nelle condizioni in cui viene amministrata la giustizia in Russia, dove la mistificazione è normale amministrazione, non si è riuscito a condannarli. Le accuse sono cadute e i giovani sono stati liberati. Fra di loro non c’erano né il mandante né l’esecutore materiale del delitto. Anche nel caso in cui effettivamente fossero stati collusi e condannati, avremmo comunque avuto solo qualche arrestato per motivi non chiariti.

È stato un bene che non li abbiano condannati, che non siano diventati dei capri espiatori solo perché si potesse dire all’Occidente "Ecco, abbiamo preso i colpevoli!" Sono assolutamente sicura che sotto l’attuale potere della Federazione Russa non sapremo mai i nomi del mandante e dell’esecutore, non verranno mai chiamati alla sbarra a rispondere. Al momento non è opportuno, non è vantaggioso per le autorità russe, far sapere chi è il mandante dell’omicidio, e finché ci sarà al potere l’attuale regime, la verità sull’omicidio di Anna Politkovskaja sarà tenuta nascosta. Fra venti, forse trenta anni, sapremo chi l’ha ordinato, perché e a chi è stato fatto un regalo il giorno del compleanno di Putin. Ma non adesso…

Qual è la situazione attuale in Cecenia?

La mia risposta è univoca. La situazione è quella di una dittatura della repubblica delle banane, una dittatura fondata sulla paura e sulla violenza, dove tutto dipende da un tiranno. Non esiste libertà di stampa, non può esistere libertà di espressione e opinione, qualsiasi parola pronunciata incautamente può condurre alle torture, all’arresto. La stabilità e l’ordine di cui si parla tanto oggi assomigliano a un castello di carta che ha per fondamento molti anni di crudeltà, t[]e e violenze. Non so quanto possa ancora durare una costruzione basata sulla paura, ma ho seri dubbi sulla qualità di una tale struttura.

Lei quattro anni fa ha abbandonato la Cecenia a causa di minacce ricevute, e adesso non può farvi ritorno. Perché non può farvi ritorno, cosa l’aspetta in caso dovesse rientrare? Come vive la sua condizione in Germania?

Il motivo per cui ho abbandonato la Cecenia è stato uno solo: lavoravo come giornalista, scrivevo articoli e reportage su quello che succedeva, raccoglievo materiali per le inchieste giornalistiche, inclusi i materiali di omicidi di civili, soprattutto sugli omicidi dei civili. All’inizio della seconda guerra è stata introdotta una censura totale. Le inchieste indipendenti in Cecenia sono state proibite. Questa è stata la ragione per cui sono stata minacciata e costretta ad andarmene.

In Germania adesso più o meno mi sono ambientata, ho imparato la lingua, ma vivo praticamente nell’attesa delle telefonate da casa, la mia è una vita sospesa fra una telefonata e l’altra, per sentirmi dire che i miei cari sono vivi, stanno bene, e non è successo loro niente. Non posso rientrare in Cecenia, perché da quando me ne sono andata, i cambiamenti sono stati solo in peggio.

La persecuzione contro la stampa i giornalisti che parlano di Cecenia e della guerra in Cecenia si è acuita, così come quella contro gli attivisti per i diritti umani. Tutto lo spazio è stato "statalizzato". La stampa esistente è esclusivamente statale. Gli attivisti per i diritti umani sono sottoposti a continui controlli, minacciati, eccetera. Per questo io non posso tornare. In Cecenia si può tornare solo come collaborazionisti dell’attuale potere. Io voglio restare una giornalista.

Conosceva Stanislav Markelov, attivista per la difesa dei diritti umani ed avvocato che si occupava di crimini del conflitto ceceno ucciso lo scorso gennaio nel centro di Mosca?

Sì, lo conoscevo personalmente, è stato l’avvocato difensore della famiglia Kungaev, per il caso dell’omicidio di Elsa Kungaeva, la ragazza uccisa da Budanov. Ci siamo incontrati in quel periodo. Rappresentava gli interessi della famiglia Kungaev, è subentrato all’avvocato ceceno Chamzaev. Markelov è riuscito a portare attenzione su questo omicidio, e la condanna di questo assassino difeso dai generali e dall’esercito russo. Durante i giorni del processo c’era gente, in Russia, che manifestava con striscioni del tenore "Budanov è un Eroe della Russia". Budanov è stato assolto tre volte prima della condanna definitiva che Markelov è riuscito ad ottenere. Era un avvocato brillante…

Anche Sulim Jamadaev era Eroe della Russia, ma ha ricevuto un altro trattamento…

La Russia è fatta così: usa le persone di cui ha bisogno, e poi le getta via. Jamadaev non è il primo Eroe tradito dalla Russia. Del resto è diventato Eroe della Russia dopo aver tradito il proprio paese, passando dalla parte filorussa, e infine è stato lasciato solo. La stessa cosa è successa con Ruslan Bajsarov, ucciso in pieno centro a Mosca. Se l’Fsb i servizi di sicurezza russi, ndr avesse voluto proteggerlo avrebbe potuto farlo. Lo stesso dicasi per Sulim Jamadaev e per i suoi fratelli. Ecco come la Russia tratta i suoi eroi.

Adesso la situazione in Cecenia pare più o meno essersi "stabilizzata", mentre il grosso delle violenze sembra essersi spostato in Inguscezia. Omicidi, rapimenti… Perché proprio in Inguscezia? Cosa sta succedendo in questa repubblica?

La violenza sta crescendo non solo in Inguscezia ma anche in Daghestan, dove è iniziata ancora prima. Già qualche anno fa, quando le azioni di guerra erano massicce, già allora si capiva che il conflitto non sarebbe rimasto entro i confini della repubblica cecena. La guerra cecena ha contagiato all’inizio il Daghestan, successivamente l’Inguscezia, la Kabardino-Balkaria… Andrebbe fatto un discorso a parte sul perché non se ne parli e non circolino informazioni sulla situazione in queste repubbliche. [Osservatorio ha recentemente riassunto la situazione del conflitto nelle singole repubbliche del Caucaso settentrionale basandosi su un rapporto di Caucasian Knot.]

I rapimenti e i sequestri sono una piaga particolarmente grave in Inguscezia e Daghestan. In Inguscezia il livello di disoccupazione è altissimo, la situazione economica pessima. Qualunque possa essere la versione ufficiale dei mezzi di informazione russi, l’idea della lotta all’occupante, della lotta contro la Russia esercita un’attrazione fortissima sui giovani, che la identificano con eroismo, romanticismo e coraggio. A questo va aggiunto il fattore religioso, e la violenza degli uomini dei servizi speciali e dei militari russi.

Non solo in Cecenia durante i combattimenti, ma anche in Inguscezia le persone sono state regolarmente sequestrate o assassinate, magari dai militari ubriachi che alla guida di un carro armato investivano una donna che stava attraversando la strada. Naturalmente questi casi alimentano lo scontento, ed è questo scontento che porta i giovani alla decisione di imbracciare le armi contro i russi. È un circolo vizioso.

La violenza dei servizi speciali e dei militari stimola la resistenza armata. La resistenza armata suscita una nuova spirale di violenza, in seguito alla quale altri giovani decideranno di imbracciare le armi. È una particolarità della politica russa, risolvere i problemi con la violenza. Tuttavia la violenza non risolve i problemi, al contrario, contribuisce a crearli.

Il contributo dato a livello politico dai Paesi occidentali è stato discutibile, se non deludente. A livello di società civile, quale può essere il contributo da dare?

La società civile occidentale può aiutarci in molti modi, a partire dal semplice interesse e desiderio di informarsi che va al di là di quello che succede sotto il tuo naso. Il non essere indifferenti è il primo passo. Anche da un punto di vista pratico si può fare moltissimo. Invitare i giovani, gli studenti, dare loro la possibilità di studiare in Europa, di vedere come le persone vivono, studiano e lavorano in una società democratica.

In Germania, ad esempio, di recente sono in sciopero gli educatori degli asili nido, che chiedono un aumento della retribuzione. Un flusso di persone ingente che manifesta e sciopera pacificamente. Un quadro del genere in Cecenia è impensabile. Tutta quella gente sarebbe stata immediatamente annientata…

È fondamentale che i nostri giovani, che vivono oggi in un’atmosfera di dittatura, abbiano la possibilità di venire qui e studiare da vicino l’esperienza della democrazia, e la vita della società democratica, per poi tornare in Cecenia con questo bagaglio. Chi ha visto anche una sola volta come si vive e si lavora in un paese democratico, in Germania, Italia, America, ne rimane colpito, come infettato da un virus, di cui diventa portatore sano, conserverà per sempre dentro di sé il rispetto per i valori democratici, per i diritti umani. Poi queste persone, con tale esperienza, ritornano in Russia, in Cecenia, in Caucaso… per cui invitate i nostri studenti a venire qui, date loro una chance!

Ancora un’altra cosa che si può fare è sostenere i progetti delle organizzazioni non governative in Cecenia, mantenere rapporti di partenariato. Per chi vuole davvero fare qualcosa, le opportunità sono innumerevoli. Non è realistico, certo, pensare di salvare il mondo o la Cecenia, ma è possibile incidere concretamente su una vita, su dieci, su venti, e mutare qualcosa nel destino di alcune persone. Non si può cambiare il mondo, ma si può prendere parte al destino di una persona, per fare questo le possibilità ci sono.

Adesso dopo quattro anni di lavoro, grazie alla cooperazione di associazioni straniere partner del progetto è l’associazione altoatesina Mondo Sud, nda è stata inaugurata una scuola materna a Samaški, il primo giugno. Io vorrei che ci fosse il sostegno, il supporto, e l’adozione di questo tipo di progetti. Non che semplicemente si mandino fondi e il giorno dopo tutto finisca nel dimenticatoio, ma che si partecipi alla vita del progetto in sé. Questo asilo non cambierà la Cecenia, ma cambierà la vita di alcuni bambini. Dare l’opportunità ai nostri giovani di venire a studiare in Europa, nelle vostre università, secondo me dovrebbe essere prioritario.

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