Vjosa e Mura, ritratto di due fiumi diversi

Uno è un moderno corso d’acqua europeo, rigidamente sfruttato e regolamentato, l’altro è l’ultimo fiume in Europa a scorrere libero da argini e dighe. Un progetto dell’Accademia slovena delle Scienze e delle Arti racconta i fiumi Mura e Vjosa

05/01/2023, Marco Ranocchiari -

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Un'ansa del fiume Vjosa, in Albania - © olti81/Shutterstock

Capire come la moltitudine di intrecci tra i fiumi e le persone che ci abitano abbia cambiato l’evoluzione dei corsi d’acqua, e viceversa – come questo rapporto abbia influenzato la vita delle persone. È questa l’idea di fondo di Riverine Environments , un progetto del Dipartimento di Antropologia e Studi spaziali dell’Accademia slovena delle Scienze e delle Arti (ZRC SAZU ), realizzato con il contributo dell’ESA (Agenzia spaziale europea), che è diventato un sito internet in cui è possibile, allo stesso tempo, ascoltare canzoni popolari, ascoltare interviste e visualizzare mappe satellitari che illustrano in time-lapse l’evoluzione di due tra i maggiori fiumi della penisola balcanica.

Il progetto è stato ideato da tre ricercatrici dai background totalmente differenti: un’antropologa, Nataša Gregorič Bon, un’esperta di geodesia e telerilevamento, Urša Kanjir, e Liza Stančič, attiva nel campo della sedimentologia. Un approccio interdisciplinare che, a detta delle autrici, ha permesso insolite connessioni in un campo ancora dominato dagli specialisti. "Spesso noi antropologi siamo così presi dalle cosmologie delle persone che dimentichiamo l’ambiente in cui sono immerse. Inoltre le immagini satellitari, a differenza delle carte geografiche, non contemplano i confini, e permettono di visualizzare le trasformazioni nel tempo", spiega Gregorič Bon, che si occupa dei legami tra fiumi e persone in Albania da oltre quindici anni. "Le rilevazioni satellitari producono una una grande quantità di dati che non utilizziamo, perché manca una contestualizzazione" spiega la geodeta Kanjir, "che invece è stata trovata grazie a questo progetto".

Due fiumi agli antipodi

La differenza tra Mura e Vjosa appare evidente già dalla homepage del sito, dove sullo sfondo di acque gorgoglianti si stagliano le anteprime dei due fiumi, in forma di immagini satellitari in falsi colori. Il primo è una vena sottile e scura tra campi rettangolari, mentre la Vjosa sembra strabordare, divisa in una moltitudine di rami intrecciati in un vasto letto bianchissimo. "Abbiamo scelto la Mura perché è l’esatta controparte della Vjosa", commenta Stančič. Nel suo percorso di quattrocento chilometri attraverso le pianure di Austria, Slovenia, Ungheria e Croazia (il progetto analizza il solo tratto sloveno), il fiume è stato pesantemente regimato e interrotto da numerose dighe per oltre due secoli.

La Vjosa, invece, nasce dalle montagne selvagge dell’Epiro, e scorre – caso unico in Europa – quasi totalmente indisturbata in valli poco abitate, dove le comunità conservano uno stile di vita in gran parte tradizionale e basato sull’agricoltura. "Il destino di questi fiumi è stato opposto, ma in realtà hanno molto in comune: nascono da alte montagne, sono bacini transfrontalieri e perciò sono dei punti naturali di connessione, e attraversano zone storicamente a vocazione agricola e pastorale". Negli ultimi anni, soprattutto, sono stati al centro di mobilitazioni che hanno impedito la realizzazione di nuove centrali idroelettriche. Oggi hanno entrambi intrapreso un difficile cammino di tutela: la Vjosa sta per diventare il primo parco nazionale fluviale d’Europa, mentre un tratto della Mura, alla confluenza con Drava e poi Danubio, ospita dal gennaio di quest’anno una Riserva Unesco della Biosfera.

Vjosa: connessioni non scontate

I rami intrecciati della Vjosa cambiano percorso quasi ogni anno, a volte portando con sé parte degli appezzamenti dei contadini. Le studiose hanno chiesto alle popolazioni di indicare i cambiamenti del fiume che ricordavano nel corso della loro vita. Il risultato è stato una sovrapposizione quasi millimetrica con l’evoluzione documentata dai satelliti in quarant’anni, a indicare una connessione viscerale con il fiume. "Un risultato sorprendente, perché, sulla base dello stile di vita e sulle narrazioni costruite dalle persone che ci vivono, dovremmo affermare che il fiume non è oggetto di un’attenzione diretta da parte della popolazione", spiega Gregorič Bon. " Se gli chiedi esplicitamente del fiume, rispondono parlando della terra. È questo l’elemento con cui hanno un forte legame diretto. È per questo che molti migranti albanesi vengono riportati nella terra d’origine dopo la morte. Moltissimi scienziati e ambientalisti stranieri parlando con la popolazione sono rimasti delusi, hanno pensato che l’impressione che la gente non sia legata al fiume. Colpita da queste osservazioni, ho provato ad approfondire, e mi sono resa conto che hanno con il fiume è un rapporto ‘anfibio’: non parlano cioè del fiume in sé ma del paesaggio ripariale, dell’ambiente fluviale che è al centro della loro vita. E la nostra ricerca interdisciplinare lo ha mostrato in modo netto".

Un tratto del fiume Mura – precinbe/Shutterstock

A volte, insomma, occorre problematizzare convinzioni sul legame tra fiumi e persone, elevate un po’ troppo facilmente a slogan dagli attivisti. Come la convinzione che i fiumi, necessariamente, uniscano diverse popolazioni. Per la Mura è stato storicamente così (nel sito viene raccontata la diffusione di cognomi austriaci tra gli sloveni che sull’altra sponda del fiume, e viceversa). Ma per la Vjosa non si può dire lo stesso. "L’etnologo Rrok Zojzi scriveva che a differenza di quasi ogni altro paese, in Albania sono le montagne a unire, mentre i fiumi dividono. Tra le due sponde del fiume ci sono tuttora pochissimi ponti, e in quasi nessun tratto il fiume è navigabile", spiega Gregoric Bon. "D’altro canto la Vjosa rende la terra molto produttiva, e gli albanesi le sono molto grati per questo. Considerano le inondazioni più dannose come un aspetto naturale della loro vita. Ma non accettano i cambiamenti discontinui degli ultimi anni, dovuti alle cave di ghiaia e alla diga di Kalivaç, che avevano già iniziato a costruire prima che le proteste non fermassero i cantieri".

Fiumi cantati e temuti

"A differenza della Vjosa, sulla Mura abbiamo notato che è diffusa un’osservazione diretta sul fiume, non incentrata sulla terra come in Albania", continua l’antropologa. "Parlando del fatto che il letto del fiume sloveno si sta erodendo, in un’intervista un uomo descrive la Mura come un’entità che invece che trasportare le ghiaie sta ‘leccando’ il suo letto". Sulla storymap sono presenti anche interviste che raccontano di vite quotidiane a contatto con i fiumi e registrazioni di canti tradizionali. Ma intorno al fiume sloveno, più che descrivere un rapporto idilliaco con l’acqua, raccontano quanto è pericolosa. "Sia nel caso della Mura che della Vjosa il rapporto ha anche un’ambiguità: da un lato c’è molto rispetto, dall’altra timore. Per la Mura questo si vede attraverso i canti, mentre per la Vjosa con miti e leggende". Come Kuçedra, il mostro a più teste simile all’Idra della mitologia greca. "Molte figure spiegano le strutture di una particolare cultura. In Albania è ancora popolare il mito di Besa, collegato al valore della parola data e dell’onore, e di Rosafa, che ha a che fare con la famiglia e la casa. Ma Kuçedra, che è strettamente collegata al ciclo dell’acqua, è evocata molto meno spesso, e in genere con accezione negativa, soprattutto dai media, per esempio quando si parla di dighe o di alluvioni. Ma in realtà Kuçedra ha anche accezioni positive, è una figura ambivalente che presuppone il rispetto".

Verso una nuova consapevolezza

A causa dei pesanti interventi dell’ultimo secolo e mezzo, l’alveo della Mura e dei suoi affluenti si è abbassato progressivamente, mentre una serie di anse abbandonate (lanche) si sono prosciugate, e gran parte delle aree umide sono state bonificate per far spazio a fabbriche e campi. Le conseguenze dell’erosione e dell’approfondimento dell’alveo non si osservano facilmente dal satellite, ma sono evidenti nei sopralluoghi sul posto, e hanno risvolti pesanti nell’accessibilità del fiume e nella navigazione. Eppure non tutto è peggiorato con gli anni. "La gente ricorda che nel passato l’acqua era molto inquinata perché c’erano gli scarichi di molte fabbriche a monte, in Austria, mentre ora l’acqua ha un colore cristallino. Ma la biodiversità è diminuita nel tempo a causa di argini e dighe. Per fortuna negli ultimi anni ha preso piede un progetto di parziale rinaturazione di un tratto del fiume e degli affluenti reticolo, che oltre ad avere benefici ecologici ha la funzione di assorbire le piene che rappresentano una minaccia costante nella zona".

Dal confronto dei due fiumi sembra emergere una nuova consapevolezza, influenzata sia dalle forti mobilitazioni in difesa dei fiumi dei Balcani, l’unica regione d’Europa dove sono ancora parzialmente intatti, che dalle prospettive di diventare mete di turismo sostenibile in zone relativamente svantaggiate. "Gli sloveni hanno preso molto sul serio l’iniziativa della Riserva Unesco della Biosfera. Le persone che vivono vicino al fiume iniziano a parlare di come è importante la conservazione di questi habitat, perché ne vedono i cambiamenti", spiega Stančič. Una consapevolezza condivisa fino all’altra estremità dei Balcani Occidentali, nell’ultimo fiume libero d’Europa.

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