Vivere di cinema

Come vivere di cinema oggi che gli anni d’oro son passati e hanno ceduto il passo ai "transformer", orfani di una strategia. Intervista a Dinko Tucaković, regista cinematografico, critico e curatore del Museo della Cineteca Jugoslava

10/01/2008, Ana Luković - Belgrado

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Quando è entrato nel mondo del cinema?
Ho cominciato ad occuparmi di cinema nel 1979, quando mi sono iscritto alla Facoltà di Arti Drammatiche di Belgrado. Allora l’iscrizione alla Facoltà di Arti Drammatiche equivaleva ad una sorta di licenza professionale. Infatti già nel 1980, cioè al secondo semestre, ho cominciato a lavorare alla televisione di Belgrado in un programma di documentari, soprattutto grazie ai miei professori dell’epoca, tra cui Srđan Karanović e Goran Marković. Loro ci spiegavano che studiare in una facoltà artistica era molto diverso che farlo in una qualsiasi altra facoltà, e che uno studente dell’accademia cinematografica non poteva aspettare quattro anni per cominciare a lavorare e sperare di inserirsi nell’industria cinematografica. Già allora le classi erano sovraffollate: nella mia c’erano 9 studenti, mentre in quelle precedenti ce n’erano 4/5. La Facoltà sceglieva parte degli studenti sulla base dell’esame di ammissione (e come me, questi studenti avevano una borsa), mentre il resto pagava una retta per la propria formazione.
All’epoca eravamo piuttosto fortunati: grazie alla cooperazione fra l’università e le principali case di produzione in ambito documentaristico (Ineks film e Dunav film), potevamo produrre i nostri film in condizioni professionali e con attori professionisti, perché c’erano anche soldi per pagare le persone che ci lavoravano. I nostri film venivano girati su una pellicola 35mm, ed avevano davanti a sé un roseo destino: venivano proiettati innanzitutto al Festival Nazionale del Cortometraggio, poi in festival stranieri.

Mi sono laureato nel 1985 con il film Šest dana juna (Sei giorni di giugno) e ho lavorato come aiuto regista fino al 1987, occupandomi di coproduzione e lavorando ad esempio con il regista americano Robert Clouse e con la regista tedesca Jeanine Meerapfel, ma anche con i nostri Slobodan Šijan, Želimir Žilnik e Branko Baletić. Questa è stata per me una scuola straordinaria.
Parallelamente, giravo i miei corti e lavoravo alla Radiotelevisione serba. Poi, nel 1990, ho cominciato a lavorare alla Cineteca, dove sono tuttora. In qualità di curatore mi occupo della programmazione dei film e di tutte le edizioni della Cineteca. Sono anche membro di alcune commissioni: Federazione Archivi Cinematografici FIAF, Fattografia, ACE, cioè la federazione degli archivi europei. Tutte queste organizzazioni sono come l’UNESCO in ambito cinematografico, quindi questo è un grande riconoscimento.
Parallelamente realizzo i miei film, sia documentari che fiction, la filmografia la potete trovare su imdb.com ed altri siti. Ho ottenuto quanto pochi nel mio paese hanno, cioè riesco a vivere occupandomi di cinema. Chiaramente non ho aperto una boutique e non ho pacchetti di azioni. Sono stato per 5 anni presidente e selezionatore di vari festival e simposium, e per 12 anni direttore artistico del festival di animazione di Čačka; al momento sono membro di una nuova struttura che si occupa del festival del corto di Belgrado. Insomma, sono un po’ come il prezzemolo…
In sostanza è dal 1979 che lavoro ininterrottamente. Come critico cinematografico ho pubblicato due libri e partecipato a sette monografie, nonché collaborato a riviste come Danas, Blic, NIN, Vreme, Borba, Sight And Sound e Positiff. Continuo a fare quello che ho sempre fatto, solo che ora sono più vecchio e mi viene più difficile.
Che significato ha avuto il cinema serbo fino al 1990? Qual era la sua importanza per il regime e per la società?
Prima di tutto va detto che il cinema serbo viveva nel corpus del cinema jugoslavo. Infatti, nei primi decenni dopo il 1945 non esistevano cinematografie nazionali, che nacquero a partire dal 1974, quando si legalizzò la nostra situazione che era già praticamente confederativa. Alloraanche le cinematografie hanno cominciato a chiamarsi macedone, serba, croata…ma comunque erano talmente eterogenee che era difficile parlare di un vero e proprio cinema serbo.
In quel periodo, come la Serbia era formalmente lo Stato più importante della confederazione, il cinema serbo era quello più forte, e dava vita ad una grande produzione, tra i 20 e i 40 film a seconda del momento, ma diciamo in media sui 30 film l’anno, il che era fantastico per un paese europeo. Inoltre, bisogna dire, il regime socialista investiva molto nel cinema. A partire dagli anni ’60, con l’"onda nera" che fece conoscere il cinema serbo in Europa, e poi con la scuola di Praga ed autori come Emir Kusturica, il cinema era ben organizzato, si giravano molti film e tutti avevano un proprio pubblico, non solo nella propria regione ma in tutto il paese, e anche in paesi come Ungheria, Cecoslovacchia, Bulgaria, Romania, Grecia…
In Serbia si producevano sui 30 film, 40 negli anni d’oro, poi veniva il cinema croato, mentre quello sloveno aveva una buona produzione ma soffriva di un problema linguistico relativo alla distribuzione: fuori dalla Slovenia i film necessitavano di sottotitolo e quindi erano più costosi, mentre ad esempio i film croati e serbi in Slovenia non avevano bisogno dei sottotitoli, perché nelle scuole si studiava il serbo-croato. Non era politicamente corretto, ma così stavano le cose. Anche il cinema macedone aveva una produzione simbolica, 2/3 film l’anno. In Montenegro il cinema praticamente non esisteva, ha vissuto una pausa durata 8/10 anni in cui non si è girato un solo film o documentario. Invece in Bosnia la maggior parte dei film era girata in co-produzione con la Serbia e la Croazia.
Com’è fare il suo lavoro oggi rispetto a prima?
Hai presente il film Transformers? Noi viviamo in tempi di transizione, siamo noi i transformer. Come dicevo prima, ho sempre vissuto di cinema: per un periodo ho fatto principalmente il regista, in un altro l’impiegato alla Cineteca, riuscendo a sopravvivere con un salario pressoché simbolico. Ho fatto coproduzioni, ad esempio ho lavorato con il grande regista Theo Angelopulos e così via. Per un periodo mi sono occupato di festival. Ogni attività ha avuto i suoi alti e bassi. Ad esempio, al momento i festival sono in una fase di stagnazione: in una situazione in cui i cinema non lavorano e si girano relativamente pochi film – in media sui 12 film l’anno, quest’anno meglio con 18 film – il problema diventa a chi servono i festival.
Ed il cinema come è sopravvissuto ai cambiamenti?
Non è sopravvissuto. Un autore come Slobodan Šijan ha girato il proprio ultimo film in condizioni amatoriali. Srdan Golubović, autore di grandissimo talento e produttore, non sa se riuscirà a girare il suo possimo film. Il mio collega Srđan Koljević, che ha debuttato con un film di grandissimo successo (Sivi kamion crvene boje) e sceneggiato moltissimi film negli anni ’90, ora lavora in condizioni inimmaginabili. E la prossima generazione, che ha vent’anni di meno di questi autori, è lasciata a se stessa. Non c’è la volontà di definire il cinema né come settore dell’industria né come attività culturale, manca una strategia. Alle autorità non interessa dare al cinema un ruolo serio e riconosciuto. Anche l’attore Zoran Cvijanović ha recentemente detto qualcosa di simile.
Gli investitori stranieri non hanno una prospettiva Io ero presente ai colloqui quando siamo entrati a far parte di Euroimage. La cosa straordinaria è che negli ultimi tre anni abbiamo ottenuto un sacco di soldi e di aiuto da loro, e in segno di riconoscenza liquidiamo i cinema ed investiamo in teatri, quando ne abbiamo a volontà.
Cosa può dirci della Cineteca?

La Cineteca è il quinto archivio cinematografico al mondo ed il terzo in Europa. Molti non approvano che ci chiamamo ancora Cineteca Jugoslava, ma noi siamo convinti di due cose. La prima: siamo un marchio, il che conferma la nostra forza. La seconda: la maggior parte dei fondi è legata all’immagine e ed alla memoria dell’ex-Jugoslavia. Non avrebbe senso chiamarci Cineteca Serba o Cineteca di Belgrado. La Cineteca è riconosciuta a livello mondiale. C’è stata un’iniziativa volta a dichiarare la nostra collezione patrimonio dell’ UNESCO. Nel 1999, al tempo dei bombardamenti, abbiamo avuto il sostegno di Bertolucci, Angelopulos, Winterbottom…tutti personaggi molto famosi. Dal 2001 abbiamo ricevuto moltissime donazioni: dalla Cineteca Francese, dalla Commissione Europea (due milioni di euro), e così via.
In breve, la nostra istituzione è ottiene riconoscimenti nel mondo molto più che dallo Stato, che vedendo il nostro successo decide di finanziare altri enti. E, poiché non voglio auto-censurarmi, mi riferisco al nostro Museo Nazionale. Ha la collezione di volumi di Pavel Karađorđević e una collezione di quadri che non è niente di particolare. In Italia ci sono almeno 17 musei migliori. Per non parlare della Biblioteca Nazionale o del Teatro Nazionale, che ad oggi è un’istituzione dilettantistica. Mi viene da dire che è meglio avere poco successo, così si hanno meno problemi con lo Stato.
Il cinema serbo ha mantenuto una sua centralità per il cinema mondiale. Come se lo spiega?
Non sono proprio sicuro che sia così, mi sembra più una costruzione intellettuale e politica che una realtà. Il mondo si oppone allo strapotere dell’industria cinematografica americana. Gli unici a riuscirci sono i paesi asiatici (India, Corea…) con le loro superproduzioni, e quelli dell’America Latina, che ignorano il cinema americano perché hanno la loro cultura di soap opera televisive. In Europa si riesce a malapena a mantenere un equilibrio. Quindi direi che non c’è nessuna centralità: il cinema locale mantiene un prestigio a livello intellettuale, ma sul mercato ha un ruolo limitatissimo.
Se ne parla molto, ma di fatto non ha una grande importanza. Noi siamo interessanti prima di tutto come metafora della nostra situazione politica, e gli unici film che interessano all’estero sono quelli che si occupano della guerra e delle sue conseguenze. Quindi un film come Ničija zemlja (No man’s land) ha qualche chance, ma una commedia o un film d’azione non hanno speranze. Noi rappresentiamo semplicemente una destinazione esotica con una miniera di storie tristi da sfruttare. Questi sono i film che hanno la possibilità di trovare fondi ed attenzione.
Paradossalmente, se entreremo nell’Unione Europea e diventeremo una regione più stabile, diventerà più difficile per il nostro cinema avere sostegno.
Qual è il futuro della cinematografia serba?
Le strade pullulano di DVD, la televisione proietta ogni genere di film e in Internet ci sono i siti dove scaricare gratis. La pirateria ci ha già praticamente distrutti: stiamo diventando un paese di video-drogati, nel senso che ci riempiamo di prodotti di bassa qualità. Questa è una situazione pericolosa, da cui si può uscire solo ritornando ad una cultura di livello alto: apertura di nuove sale, lotta alla pirateria, un approccio serio da parte delle televisioni alla promozione del cinema serbo.

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