Vivere a Gali

Nel suo contributo al dossier "Abkhazia, 20 anni dopo la guerra", Francisco Martínez condivide con i lettori di Osservatorio i materiali raccolti in una visita nella regione alla fine del 2010, tra cui interviste video a Gali, Sukhumi e Tbilisi

29/04/2013, Francisco Martinez -

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UNHCR a Gali (Francisco Martinez)

Gali

Sono le due del pomeriggio a Gali, Caucaso del sud, e una dozzina di uomini sta pranzando in un piccolo bar accanto al vecchio teatro. "Ora dobbiamo dire che siamo abkhazi, e così facciamo", confessano. Tuttavia, gli uomini sono mingreli (un sotto-gruppo etnico georgiano), sopravvissuti ai conflitti armati fra Abkhazia e Georgia.

I mingreli costituiscono la maggior parte delle decine di migliaia di persone ritornate a Gali. Secondo un rapporto del Danish Refugee Council , "le dinamiche del conflitto congelato plasmano ancora la vita di chi abita qui… In realtà, la maggior parte delle famiglie non rientra in facili categorizzazioni. Alcune preferiscono tenere un piede nel resto della Georgia, altre hanno ricostruito la loro vita a Gali. Eppure, quasi tutte hanno bisogno di viaggiare avanti e indietro, non da ultimo per ritirare i sussidi che ricevono tutti gli sfollati in Georgia".

Le autorità, da entrambe le parti, non solo interferiscono con i diritti e la libertà di movimento dei ritornanti, ma contribuiscono anche a mantenerli in un doloroso limbo. Sfruttati per scopi politici sia a Tbilisi che a Sukhumi, i rifugiati sono i principali perdenti, perché nessuno dei governi sembra preoccuparsi sinceramente di loro. "La cosa più triste è il loro sentimento di abbandono", ha dichiarato Sabina Salikhova, responsabile dell’Agenzia ONU per i rifugiati a Gali, durante la mia ultima visita alla fine del 2010. "Le donne faticano a trovare un lavoro o un posto dove stare. Le persone anziane che non possono fuggire rimangono spesso sole. Gli uomini hanno problemi di disoccupazione e alcolismo".

Gali 

Il 4 aprile 1994, Abkhazia, Georgia, Russia e UNHCR firmarono un accordo sul rimpatrio volontario di rifugiati e sfollati, che obbligava le parti a creare le condizioni per un ritorno volontario, sicuro e dignitoso degli sfollati, in modo che ricevessero protezione dalle violenze, certificati di identità e di residenza e compensazioni per le proprietà perdute, se non restituite. Purtroppo, questo accordo rimasto lettera morta rimane l’unico documento sottoscritto in merito al ritorno degli sfollati interni e dei rifugiati.

Il conflitto in Abkhazia del 1992-1994 ha causato oltre 200.000 sfollati, fra cui circa 79.000 (soprattutto etnicamente georgiani) che costituivano quasi tutta la popolazione del distretto di Gali (ONU RSG, 23 dicembre 2010). Nel corso degli anni, decine di migliaia di sfollati hanno fatto ritorno alle loro case nel distretto di Gali, in alcuni casi su forte incoraggiamento da parte del governo, ma sono stati costretti a fuggire di nuovo quando la violenza è scoppiata nel 1998. Secondo i dati dell’UNHCR, nel distretto di Gali vi sono attualmente 45.000-50.000 sfollati rimpatriati, ma le stime variano.

"La variazione nelle stime è dovuta al fatto che molti abitanti di Gali non hanno un passaporto abkhazo e non sono neppure registrati. Molti di loro viaggiano avanti e indietro tra Gali e la vicina regione di Zugdidi, mentre altri non hanno nemmeno il ‘documento # 9’, che in pratica funge da permesso di soggiorno", ha dichiarato un esperto di un’agenzia internazionale nella regione che ha chiesto di rimanere anonimo.

A malapena 30.000 persone sono ufficialmente registrate nella regione di confine di Gali. Segrevan Kobalia sta ricostruendo la sua casa con l’aiuto del Danish Refugee Council. Mentre viene completata, vive in una piccola cabina con la moglie, che riconosce: "Abbiamo trovato la casa bruciata, ma non possiamo incolpare nessuno. È stata la guerra".

"Siamo fuggiti prima del primo conflitto e due anni dopo siamo tornati a Gali", racconta Kobalia. "Nel 1998 siamo di nuovo fuggiti a Zugdidi, ma quando siamo tornati la nostra casa era stata bruciata". Figlie, generi e nipoti di Kobalia vivono in una cabina simile accanto alla sua. "Dove andrò? La mia casa e la mia famiglia sono qui. Cosa farei in Georgia? Non ho proprietà, non sarei in grado di sopravvivere".

Ghia, un autista metà georgiano e metà abkhazo, ha perso tutta la famiglia durante l’assedio di Tkvarcheli: "Mangiavamo solo una volta alla settimana, ma dovevamo comunque combattere ogni mattina. Alla fine sembrava normale. Tanta politica, e alla fine sono le persone normali che soffrono. Dopo la guerra è stato molto difficile, sia per gli abkhazi che per i mingreli. La gente è stanca della politica ora, vuole solo la pace ".


Sukhumi

"La rinuncia a Gali in cambio del riconoscimento di Tbilisi è fuori questione. Non stiamo parlando di un territorio occupato che può essere utilizzato come compensazione, stiamo parlando della nostra terra. Inoltre, Gali è molto importante per l’economia dell’Abkhazia", ha dichiarato Maxim Gvinjia, ex ministro degli Esteri dell’Abkhazia. "Ha un potenziale enorme, che non si è sviluppato a causa dell’embargo imposto da Tbilisi".

Maxim Gvinjia 

"Il tenore di vita in Abkhazia sta migliorando, ma il denaro non è ancora disponibile per il popolo", spiega un analista internazionale che non ha voluto usare il suo nome. "In generale il livello di vita è più alto in Georgia, anche se c’è una grande differenza tra chi vive in città e chi vive in campagna. È fondamentale che gli abitanti dell’Abkhazia possano viaggiare, avere maggiori contatti con l’esterno ed essere di conseguenza meno isolati. La comunità internazionale dovrebbe avere un atteggiamento più pragmatico verso questo problema".

Finora solo sei paesi hanno riconosciuto l’indipendenza dell’Abkhazia: Russia, Venezuela, Nicaragua, Nauru, Vanuatu e Tuvalu. "Anche senza riconoscimento, è importante per noi stabilire legami economici", aggiunge Gvinjia. "Per l’Abkhazia, il riconoscimento economico ha la stessa validità di quello politico".

Il fiume Inguri forma il "confine amministrativo" tra Tbilisi e Sukhumi. Le truppe russe sono su un lato del ponte, quelle georgiane dall’altro. Sul lato georgiano, un poster mostra l’allora presidente georgiano Mikhail Saakashvili su una mappa che include Abkhazia e Ossezia del Sud; dall’altra parte della valle, un cartellone mostra l’ex presidente abkhazo Sergei Bagapsh e Dmitri Medvedev che si stringono la mano.

Irakli Alasania 

"La guerra è stata un disastro, la guerra non porta mai nulla di buono, anche la Russia non ne ha tratto nulla di buono", ha dichiarato Irakli Alasania, ex rappresentante della Georgia presso le Nazioni Unite e attuale ministro della Difesa. "Il conflitto continua e il processo di riconoscimento dell’indipendenza dell’Abkhazia è rimasto fermo", aggiunge.

"Né la Georgia né la Russia hanno la volontà di risolvere le loro controversie, e le persone ne stanno pagando il prezzo", concorda Alexander Cherkasov, membro del direttivo di Memorial, organizzazione russa per i diritti umani. "Sì, la gente ha ottenuto la libertà con le armi, ma che cosa ha ottenuto con la libertà? Che cosa è migliorato?".

Costruire uno stato indipendente

Gli abkhazi che ho incontrato hanno confermato la loro volontà di lavorare per costruire uno stato pienamente indipendente. Questo progetto include alcuni sforzi per migliorare le condizioni di vita della popolazione locale, anche nel distretto di Gali, dove le strade sono state in parte ricostruite. Eppure, per il momento, non c’è una vera opportunità per tutti gli sfollati di tornare alle loro case. L’ultimo rapporto del Centro di monitoraggio sfollati interni conferma che la maggior parte degli sfollati sono ancora in attesa di ricevere una soluzione abitativa e i documenti necessari come concordato, incoraggiando le autorità locali a dedicare maggiore attenzione alla creazione di opportunità di lavoro per gli sfollati.

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