Vita da free-lance
L’idea stessa del free-lance, nel cinema bulgaro, è stata del tutto sconosciuta fino all’89. Emil Hristov, uno degli operatori di maggior successo in Bulgaria, è stato uno dei primi ad intraprendere questa strada. Con lui abbiamo discusso di presente, passato e futuro del cinema bulgaro
Emil Hristov è uno degli operatori di maggior successo del cinema bulgaro contemporaneo. Nato nel 1956, diplomato al VITIZ nel 1982, ha iniziato la sua carriera nel cinema documentario, per passare poi a quello per il grande schermo. Ha lavorato con registi famosi come Eduard Zahariev, Petar Popzlatev, Plamen Maslarov. Dopo il crollo del regime comunista, nel 1989, è stato uno dei primi ad intraprendere la strada del lavoro free-lance.
Come è entrato nel mondo del cinema, come è iniziata la sua carriera?
Un po’ per caso. Non ho alcun background familiare che mi abbia avvicinato a questo mondo. Credo che la ragione prima sia che, guardare film mi è sempre sembrato divertente. Forse c’è un momento chiave, cioè quando mio zio materno mi ha portato, un’estate, su un set cinematografico, e la cosa mi fece grande impressione. Forse è da lì che è iniziato il mio viaggio all’interno del mondo del cinema. Allora per lavorare in questo campo come operatore c’era una sola possibilità, studiare all’accademia VITIZ. Prima ho frequentato una scuola di fotografia, cosa che si è rivelata davvero utile, e allora in qualche modo di ho iniziato ad avvertire che avevo delle capacità in questo campo, e che sarebbe stato possibile diventare un buon professionista. E così decisi di fare domanda per il VITIZ. La prima volta non fui accettato, ma la seconda sì, nel 1976. Ho studiato al VITIZ per cinque anni, e sono capitato davvero in buona compagnia. Ero nella stessa classe di quelli che oggi sono i migliori operatori bulgari in circolazione, Rali Ralchev e Stefan Ivanov, e alcuni dei migliori registi contemporanei, Iglika Trifonova, Ivan Cherkelov, Milena Andonova, Lyudmil Todorov.
Come avveniva la selezione per il VITIZ?
Attraverso esami d’ingresso. C’erano in media 150 candidati, di cui ne venivano poi accettati quattro o cinque. Allora era molto prestigioso studiare lì. Al tempo del comunismo, subito dopo esserti diplomato, venivi assegnato ad un particolare studio. Questo significa che nel momento in cui uscivi dal VITIZ (che oggi si chiama NATFIZ), si riuniva una commissione che decideva: tu sarai assegnato al cinema per il grande schermo, tu a quello documentario. Io fui assegnato agli studi "Vreme", dove si producevano documentari, e soffrii molto questa decisione, perché gli altri miei colleghi furono invece assegnati al cinema per il grande schermo. Io mi ero diplomato con un film molto importante e conosciuto, intitolato "Truden izbor" (Una scelta difficile), un film strutturale diretto da Petar Popzlatev, l’autore di "Az, Grafinyata" (Io, la contessa),che ricevette moltissimi premi. Questo film, che come ripeto rappresentò la mia tesi di diploma, si trasformò in un momento importante per l’intera cinematografia bulgara. Allora c’era una regola, quando qualcuno difendeva la propria tesi, un personaggio noto del cinema doveva essere il tuo relatore. Allora mi venne a cercare Eduard Zahariev, il regista. Io non lo conoscevo, ma lui venne e mi disse: "Questo film è assolutamente speciale, e io sarò il tuo relatore". Una cosa del genere non era mai successa, mai. E quando mi assegnarono agli studi "Vreme", io davvero la presi male, perché il cinema per il grande schermo era considerato di prima categoria, quello documentario soltanto di seconda. Ma sia Eduard Zahariev che Boyan Papazov, uno dei nostri sceneggiatori più famosi, mi dissero: "Vedrai che non avrai di che pentirti, vedrai che sarai il primo ad iniziare a lavorare". E in effetti io iniziai a girare fin dal primo mese, come titolare del film. Iniziai a girare fin da subito e così trascorsi la prima parte della mia carriera lavorando a documentari, ricevendo fin da subito numerosi premi. E così fui notato anche da registi famosi. Il mio primo film per il grande schermo fu un film di Hristo Piskov e Irina Aktasheva, intitolato "Samo ti, srce.." (Solo tu, o cuore mio), nel 1987. Piskov e la Aktasheva erano autori di grandi film, come "Ponedelnik sutrin" (Lunedì mattina). In seguito lavorai con Plamen Maslarov, e quindi con Petar Popzlatev. In questo modo iniziò la mia carriera nel cinema per il grande schermo, ma non ho mai rinunciato ai documentari, continuando a lavorare sia in un campo che nell’altro. Così che nel momento in cui io avevo già girato, diciamo, due film per il grande schermo e dieci documentari, i miei colleghi, che invece erano stati assegnati agli studi di "Boyana", dove si giravano i film per il grande schermo, iniziavano appena a lavorare.
Quali erano le principali differenze tra film e documentari dal punto di vista della lavorazione?
Le due cose non hanno nulla a che vedere l’una con l’altra, ma questo è un discorso molto lungo. La differenza è di tipo strutturale, sono proprio due cose diverse. Io, che sono una persona vanitosa, vivevo il cinema per il grande schermo come festiva, tappeti rossi, stelle, tutte cose che invece nei documentari non ci sono. Il cinema documentario vive per così dire nel fango, nella vita reale.
Come ha vissuto dal punto di vista professionale gli anni immediatamente successivi crollo del regime comunista?
Fino ad allora io ero un dipendente statale. Come dicevo ero stato assunto negli studi "Vreme". Già allora ero considerato così bravo, che di fatto ricevevo lo stipendio più alto. E, al tempo stesso, fui il primo che, in quegli anni, decise di lasciare gli studi e di diventare free-lance, era il 1990. C’è stato proprio allora un periodo di transizione, durato circa tre anni, in cui fu liquidata l’intera industria cinematografica bulgara, e molte persone che continuavano ad essere dipendenti statali, sia negli studi "Vreme" che a "Boyana", nel momento in cui questi fallirono furono licenziati, cosa che provocò loro un grande shock. E il 90% di loro non riuscirono a sopravvivere professionalmente, sparirono. Non erano pronti ad un cambiamento di questa portata. Allora, in Bulgaria, la figura del free-lance era del tutto sconosciuta. Io però cominciai subito a lavorare in questo nuovo ambiente. La mia prima produzione come free-lance fu già nel 1990, era una produzione americana. La carriera è una combinazione di fortuna, di opportunità e della propria volontà di far sì che queste opportunità si presentino. Da parte mia c’era questa volontà, io volevo essere free-lance perché pensavo che quello fosse il futuro. Semplicemente me lo aspettavo, mi rendevo conto di quanto sarebbe successo. Qui iniziò una fase di capitalismo aggressivo, un capitalismo brutale, e in questo ambiente l’unico status giuridico che ti permette di sopravvivere è quello di free-lance. E io, in qualche modo, riuscii a cavarmela, come riuscirono a cavarsela anche i miei colleghi di cui parlavo prima.Free-lance significa avere la capacità di resistere, perché talvolta hai da lavorare, talvolta no. Essere free-lance quindi non ti assicura il lavoro, ma una condizione psicologica in cui senti di non dipendere da nessun altro, se non da te stesso.
Cosa significava la cinematografia per la società e per lo stato prima dell’89? Rivestiva o meno un ruolo particolare?
La nostra cinematografia allora produceva circa 25 film l’anno. Anche allora, come adesso, il cinema era soprattutto una forma di intrattenimento. Solo che all’epoca nelle sale si davano appunto 25 film bulgari, 25 film russi, 10 polacchi, 10 ungheresi, 5 francesi e 3 americani. Questa era la situazione e lo spettro all’interno del quale lo spettatore faceva le proprie scelte. La cinematografia bulgara era un territorio, uno spazio in cui, in forma nascosta, si riuscivano ad esprimere alcuni umori generali, che potremmo definire anticomunisti. Anche se bisogna specificare che qui non è mai successo quello che c’è stato ad esempio in Ungheria, oppure nel cinema polacco o in quello cecoslovacco. La Bulgaria è un paese conformista, e così i nostri autori erano conformisti. Anche il cinema russo era più vivace di quello bulgaro. Lo stato, senza volere, lasciava la possibilità che fossero prodotti alcuni film che erano parlassero in modo velato contro il regime, ma molto velato. Ma questo accadeva verso la fine, negli anni ’70 non c’era alcuna chance di farlo.
Che tipo di mezzi venivano messi a disposizione dell’industria cinematografica dallo stato?
Lo stato controllava l’intero processo di produzione. Dall’acquisto dello scenario da parte dell’autore, fino alla realizzazione dello scenario stesso, attraverso il lavoro di registi e collettivi artistici. Se il film in qualche modo non era approvato, allora veniva bloccato, come è successo in alcuni rari episodi, oppure ne rallentava e riduceva la distribuzione. Non c’era alcuna logica economica nella produzione di film. Questo significa che, se da una parte lo stato forniva i fondi per produrre un’opera, dall’altra poteva benissimo fermare e mettere in un cassetto l’opera stessa. Non c’era alcun interesse verso il profitto economico di quell’investimento. Al tempo stesso, la cinematografia era considerata una priorità dall’apparato di regime. Si riteneva che la cinematografia fosse un mezzo fondamentale per propagandare in modo ortodosso l’ideologia del partito comunista. Questa era una considerazione condivisa in tutto il mondo comunista, considerazione imposta dall’Unione Sovietica. In Urss la cinematografia era qualcosa di davvero importante, e visto che questa era la posizione del partito comunista sovietico, allora doveva essere anche la posizione del partito comunista bulgaro. Io però non so fino a che punto qui la considerassero davvero così importante. Più che altro l’idea era: "Ci sono persone che fanno cinema, lasciamoli fare. Possiamo controllarli attraverso canali diversi". E la sola presenza di un qualcosa chiamato "cinematografia", intesa come forma d’arte e di cultura, dava la possibilità ad uno stato comunista di presentarsi come uno stato civile. C’erano film, c’erano registi, c’erano attori a cui fare interviste. E tutto questo dava l’immagine di un paese culturalmente avanzato.
Oggi lo stato bulgaro continua a sostenere in qualche modo l’industria cinematografica locale?
No, al momento mette a disposizione un po’ di fondi per il cinema, ma senza alcun desiderio, senza alcuna convinzione che supportare la cinematografia sia una cosa importante, non c’è proprio nessun interesse. Il nuovo stato si interessa di altre cose. L’intero establishment è stato sostituito, spesso con persone che sono arrivate al potere senza meriti particolari. Al tempo del comunismo, c’era una classe dirigente che ha avuto quaranta anni per formarsi, due generazioni. Adesso sono comparse all’improvviso facce nuove.
Ma cosa è successo negli anni della transizione alle strutture di produzione dell’industria cinematografica?
Sono stati fatti passi tutto sommato corretti. Il "Kinocentar Boyana" è stato privatizzato, e oggi è nelle mani di un produttore privato. Alcune persone si sono opposte strenuamente a che questo accadesse, ma secondo me era la cosa giusta da fare. Non esiste un solo paese al mondo, oggi, che ha un centro di produzione cinematografica pubblico. C’è stato, dopo l’89, un lungo e sofferto periodo di dieci anni in cui "Boyana" è rimasto nelle mani dello stato, ma la cosa era ridicola. Lo stato avrebbe dovuto trovare un modo più elegante di partecipare ed influenzare i processi nel settore cinematografico, ma dirigere gli studi non dovrebbe essere un interesse diretto dello stato. E in generale, l’intero stato è stato svenduto nell’arco di sei anni.
E cosa è successo nel frattempo alle strutture che si occupano dell’insegnamento, della formazione dei futuri cineasti?
Anche la formazione rientra in questo processo complessivo. Il VITIZ continua ad esistere come struttura, e ad essere la più rinomata. A questa se n’è affiancata un’altra nella "Nov Balgarski Universitet". In generale però queste accademie si sono trasformate in un parcheggio per cineasti irrealizzati professionalmente, che lì però pretendono di insegnare. Ripeto, nel VITIZ la situazione è ancora un po’ migliore, ma soprattutto nella "Nov Balgarski Universitet" le cose sono messe piuttosto male.
Ma secondo lei qual’era il livello di qualità dell’istruzione cinematografica nel periodo in cui è stato studente?
Era un livello molto alto. Posso dire che l’istruzione era al tempo stesso molto conservatrice, ma anche di grande qualità. Era organizzata secondo il modello russo e quello polacco. Al momento stanno provando a rinnovare il sistema, ma così facendo lo stanno rendendo molto, molto peggiore. Provano a rinnovarlo sul modello dell’istruzione inglese, o italiana, pensando che così le cose migliorino, ma in realtà stanno andando proprio nella direzione opposta. Prima c’era un insegnante che ti seguiva per tutta la durata del tuo corso di studi, dall’inizio alla fine, insieme ad altri che ti insegnano determinate materie. Però c’era appunto una figura di riferimento, che controllava il processo di formazione. Adesso è completamente diverso: un anno ti segue un insegnante, l’anno dopo un altro. Queste persone hanno gusti diversi, e la conseguenza finale è che gli studenti non riescono a rimane focalizzati sul proprio sviluppo creativo. Adesso i ragazzi ricevono un’istruzione assolutamente eclettica.
Ai suoi tempi, c’era anche una forma di indottrinamento ideologico?
Sì, c’era. C’erano delle materie ideologiche. Il controllo era esercitato a tutti i livelli. C’era controllo sull’industria cinematografica, sull’istruzione in generale, venivi controllato fin dall’inizio. I vari regimi comunisti lo esercitavano con differenti gradi di raffinatezza, a seconda del grado di conformismo dei vari popoli. I bulgari, al tempo del comunismo erano molto conformisti. I polacchi lo erano di meno, anche gli ungheresi e i russi erano meno conformisti dei bulgari. I tedeschi invece erano i più conformisti, non hanno mostrato nessun segno di vitalità fino al crollo del regime. Così, come dicevo, il livello di controllo era proporzionato a quello di conformismo. Così, nonostante dall’esterno alcuni regimi sembrassero meno invadenti, alla fine il livello di controllo era lo stesso dappertutto. Non esisteva alcuna struttura che gli sfuggisse a questa logica.
Quando ha cominciato a lavorare, quali erano le scuole di riferimento del cinema bulgaro?
Dal punto di vista artistico, persone diverse seguivano modelli diversi. Per Eduard Zahariev, ad esempio, punti di riferimento erano il cinema italiano ed ungherese, anche perché aveva studiato proprio in Ungheria. Un altro modello, soprattutto negli anni ’70 e ’80 era la Polonia. Durante gli anni del suo grande boom, si guardava molto al cinema italiano. Era un cinema a livello mondiale, si facevano film eccezionali, che hanno lasciato una grande impressione. Adesso il cinema italiano è scomparso, non so perché. Allora si proiettavano le cose migliori che venivano dall’Italia, dall’Inghilterra, dall’America, addirittura. "La conversazione" (1974) di Francis Ford Coppola, ad esempio, ha avuto in Bulgaria una buona distribuzione, perché gli ideologi di regime lo consideravano anti-americano. "Guardate come si spiano, come si intercettano", dicevano. E dire che è tutto, meno che un film ideologico. C’era poi una grande influenza esercitata dalla cinematografia russa. C’erano autori del calibro di Tarkovskij, di spessore mondiale.
E al momento il cinema bulgaro continua ad avere un qualche modello di riferimento?
No. Innanzitutto ha dovuto subire il colpo fortissimo della privatizzazione e della scomparsa di alcune figure di riferimento. C’è stato un forte cambio generazionale. I grandi, i titani del passato sono scomparsi. C’erano autori che giravano anche cinque film l’anno, adesso non ci sono più, sono scomparsi, e ne sono apparsi di nuovi. Questo cambiamento violento è stato vissuto non soltanto nel cinema, ma in tutti i campi della cultura, letteratura, teatro, dappertutto. E adesso è soltanto da un paio d’anni che la nostra cinematografia ha iniziato a riprendersi, nel periodo di transizione ci sono stati solo fenomeni di creatività sporadica. Con un solo film prodotto nell’arco di un intero anno, non si possono fare paragoni.
Per il cinema pubblicità e distribuzione sono due momenti di fondamentale importanza. Oggi, in Bulgaria, esiste un sistema funzionante che si occupa di questi settori?
No, e questo è un problema di enormi dimensioni. E’ il problema più grande, quello della mancata comunicazione tra la cinematografia bulgara ed i propri spettatori. Manca un sistema di distribuzione, manca del tutto una politica di reclamizzazione, di come rendere vivo questo canale di comunicazione tra cinema e pubblico. E questo ha conseguenze fatali. Io stesso penso di iniziare ad impegnarmi in questo campo, è assolutamente necessario fare qualcosa. Dell’ultimo film che ho girato, non c’è nemmeno un cartello pubblicitario per le strade. Ne hanno stampato mille, ma per strada non ce n’è nemmeno uno. Non c’è nemmeno uno spot in televisione. E come aspettarsi che il pubblico venga a guardare il tuo film, in queste condizioni? Prendiamo le produzioni americane. Un a grande produzione statunitense ha un budget di 100 milioni di dollari per la realizzazione del film e altrettanti soldi per la sua promozione. Io non pretendo che succeda lo stesso in Bulgaria, ma qui siamo all’estremo opposto. Si capisce che il primo passo da fare è produrre buoni film. Piccoli film, ma buoni. Noi siamo un paese piccolo, e dobbiamo fare piccoli film. Non non siamo nella condizione e non dobbiamo puntare a fare grandi produzioni. Dicevo, film piccoli, ma buoni. Ci deve essere un processo produttivo che ci permetta di realizzare almeno cinque film l’anno.
E prima dell’89 come funzionava la distribuzione?
Anche qui era titto nelle mani dello stato. O stato paga, lo stato distribuisce. Se c’è un film che piace allo stato, allora viene distribuito in cento copie, se invece il film è meno gradito viene distribuito in tre copie, o non viene distribuito affatto. Lo stato aveva un particolare budget per la produzione cinematografica, ed un altro budget per la distribuzione dei film. Nikolay Volev ha almeno cinque film che hanno avuto più di un milione di spettatori. Per capirci, "Titanic", qui in Bulgaria, ne ha avuto 200mila. Parlo di spettatori reali, non inventati. "Margarit i Margarita" (Margart e Margarita), ne ha avuti 1.200.000. "Koziyat rog" (Il corno di capra) di Metodi Andonov, ha avuto un milione e mezzo di spettatori. Comunque all’epoca c’erano almeno mille sale cinematografiche, oggi ce ne saranno sì e no 35…
Cosa bisognerebbe fare in Bulgaria perché la cinematografia locale riesca a ritagliarsi un suo spazio nel prossimo futuro?
Vede, fatte le dovute proporzioni, il cinema bulgaro da noi ha lo stesso spazio che ha il cinema italiano in Italia. Proprio così. In Italia la percentuale di distribuzione del cinema locale è, diciamo, del 10%, da noi è del 2%. Tutto il resto è solo ed esclusivamente cinema americano. C’è forse la possibilità che in Italia faccia breccia il cinema francese, o quello russo, o quello bulgaro? Nessuna! Gli americani hanno eliminato ogni tipo di concorrenza. Hanno fatto fuori l’Italia, la Francia, l’Inghilterra, il mondo intero. Si tratta di un’industria dalle proporzioni enormi. Ho visto da vicino alcune produzioni italiane, ho parlato con colleghi italiani. Mi hanno detto che lì lo stato dà un po’ di fondi per il cinema e per la televisione. Qui è la stessa cosa. Non c’è niente da fare contro un paese della potenza degli Stati Uniti. Lì le produzioni hanno a disposizione cento milioni di dollari. Le possibilità di lottare contro un avversario del genere sono nulle.
Negli ultimi anni molte produzioni straniere hanno iniziato a lavorare in Bulgaria. Sono nate poi gradualmente numerose coproduzioni. Che tipo di opportunità sono state aperte per chi si occupa di cinema nel paese?
Queste opportunità riguardano soprattutto il personale tecnico. Per me personalmente le cose non sono cambiate. Nessun regista italiano, in una coproduzione, mi prenderà come operatore. Preferirà prendere un operatore italiano, anche perché da voi il livello professionale è molto alto. E’ una cosa comprensibile, ed io non me la prendo. Le coproduzioni, come dicevo, sono un’ottima opportunità per il personale tecnico, e al tempo stesso per le stesse coproduzioni, visto che qui abbiamo professionisti di livello assoluto, addetti alle luci, assistenti operatori ecc. La differenza sta nel costo di questa manodopera: un mio addetto alle luci, qui in Bulgaria, lavora per 80 euro al giorno, un collega tedesco ne prenderebbe 300, uno italiano forse 200. Le produzioni americane, francesi ed italiane sono qui proprio per questo motivo, perché qui i costi di manodopera sono tre o quattro volte più bassi che nei paesi occidentali. Oggi qui in Bulgaria si fanno dai 20 ai 30 film stranieri.
Oggi in tv si trasmettono molti vecchi film che il pubblico continua a guardare. Non sarà che i nuovi autori hanno cambiato il proprio "vocabolario filmico" per puntare più al successo all’estero che qui in Bulgaria?
E’ difficile a dirsi. Io credo che gli autori bulgari, in generale, non sono stati abituati a prendere in considerazione il fruitore finale delle loro opere, lo spettatore. Per gli autori bulgari lo spettatore non è mai stato importante. Forse quello che dico è un po’ drastico, in realtà ci sono alcune piccole eccezioni, tre o quattro registi che hanno lavorato perché i propri prodotti fossero comprensibili a chi li guardava, ma in generale direi di no. Questo fenomeno è stato generato soprattutto dal fatto che non c’erano alternative: c’è una sala, c’è un solo film in cartellone, e gli spettatori non hanno scelta. Non essendo un mercato, nessuno si interessava degli spettatori, che sono un soggetto di mercato, che compra il biglietto con i propri soldi. Se si continuano a guardare vecchi film, comunque, dipende anche da una certa dose di nostalgia, ma al tempo stesso ci sono vecchi film che sono molto migliori di quelli prodotti adesso, sia come prodotto cinematografico in se, che come qualità del racconto.
L’Unione Europea, nel suo complesso, al momento gioca un qualche ruolo o esercita una qualche influenza sull’industria cinematografica bulgara?
Direi proprio di no, nessuno. Il cinema si considera un prodotto di mercato, e tutti sono molto prudenti nei tentativi di governare i processi in questo settore. Ci sono forze che spingono verso il protezionismo, soprattutto sul modello francese. In generale si comprendono le linee generali dei problemi da affrontare, ma nessuno può far molto. L’unica azione che viene intrapresa è la costituzione di fondi nazionali per il cinema, soprattutto in Germania ed in Francia, meno in Italia, che supportano la cinematografia locale. Anche in Bulgaria adesso
succede, ma l’intervento è limitato a causa delle limitate dimensioni del paese. Lo stato bulgaro spende oggi tre milioni di euro nell’industria cinematografica. Sono cifre ridicole.
E come si selezionano i progetti che hanno accesso a questi fondi?
C’è una commissione nazionale che esercita la scelta. Si presentano progetti, come succede nei paesi occidentali. La differenza sta nel fatto che, ad esempio in Germania, esistono vari fondi regionali, mentre qui ce n’è uno soltanto. E poi nei paesi occidentali le televisioni partecipano in modo molto attivo alla produzione, c’è un grande interesse alla produzione di serial tv, e vengono messi a disposizione fondi sostanziosi. In Bulgaria solo la televisione di stato, in qualche modo, contribuisce alla produzione locale. Le tv private non hanno mai sborsato nemmeno un soldo per la cinematografia bulgara. Non hanno mai prodotto niente. Questo perché la produzione è molto costosa. Perché dare, per esempio, un milione di leva per produrre un film bulgaro, che ti riempie appena due ore di palinsesto, quando con gli stessi soldi puoi avere 50 film americani, che te ne coprono 100? Si tratta di una vera follia, dal punto di vista economico.
Che tipo di futuro aspetta, secondo lei, la cinematografia bulgara?
Il futuro della nostra cinematografia è nelle mani delle persone che lavorano in questo settore. Quanto più belli saranno i film che riusciranno a produrre, tanto più aumenterà la loro possibilità di influenzare i processi di produzione e quindi il proprio destino. Se faranno film marginali, allora saranno marginalizzati. Se saranno invece in grado di produrre buoni film, film che si vendono, che si guardano, che vincono premi, allora sicuramente la cinematografia guadagnerà posizioni, e anche il potere dovrà prenderla in considerazione.
Quali sono i suoi progetti nel futuro?
Per l’anno prossimo ho sicuramente almeno due film per il grande schermo. Come free-lance, però, non posso fare molti progetti per il lungo periodo. Si lavora navigando un po’ a vista.