Viorica Tătaru e Andrei Captarenco, giornalismo “al di là del Nistru”

Viorica Tătaru e Andrei Captarenco, nei loro reportage, raccontano la vita dei moldavi oltre il Nistru. In questa intervista spiegano le difficoltà nel descrivere la quotidianità di un paese diviso tra il territorio controllato da Chișinău e quello sotto il governo separatista

31/07/2025, Francesco Brusa -

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Viorica Tătaru e Andrei Captarenco - foto per gentile concessione © Tătaru 

Sulla carta un territorio unico e indivisibile come tutte le nazioni, la repubblica di Moldova presenta al proprio interno molte diversità e alcune fratture. Quella certamente più visibile e acuta, dal punto di vista geografico e sociale, è data dalla Transnistria: “stato nello stato” non riconosciuto ma de facto indipendente dal potere centrale, nato in seguito a un conflitto armato (1992) che ha lasciato sul campo oltre mille vittime. 

I giornalisti moldavi Viorica Tătaru e Andrei Captarenco si occupano da qualche anno di raccontare questo territorio attraverso le voci delle persone comuni  che si trovano, come recita il titolo stesso del programma mandato in onda da TV8, “al di là del Nistru” (Dincolo de Nistru , mentre il titolo in russo è Reka bez granic, “fiume senza frontiere” – il Nistru è infatti il fiume che segna la linea di separazione fra il territorio moldavo controllato da Chișinău e la zona controllata dal governo “separatista”). Li abbiamo intervistati.

Quanto è difficile raccontare la Transnistria?  

Per noi è importante comprendere che “al di là del Nistru” vivono nostri concittadini e quello che ci prefiggiamo di fare con Dincolo de Nistru è comunicare con le persone che si trovano su quel territorio e che sono sopravvissute alla guerra del 1992 (che si è localizzata in quell’area e, grazie a Dio, non si è mai estesa ad altre parti del paese). Ma, appunto, partiamo dalla convinzione che la Transnistria fa parte della repubblica di Moldova e non riconosciamo il governo separatista che si è insediato nella regione, così come riteniamo illegittima la presenza di forze russe nell’area (dopo il crollo dell’Unione Sovietica è rimasto un contingente della 14esima armata sotto controllo di Mosca, che oggi prende il nome di Gruppo Operativo delle Truppe Russe in Transnistria – GOTR ndr).

Le truppe lungo la linea del confine non ufficiale quasi sempre interferiscono con i giornalisti provenienti dalla Moldova o, in generale, con chiunque voglia recarsi in Transnistria con una videocamera e un microfono per documentare quello che succede. Noi siamo stati fermati innumerevoli volte, di fatto illegalmente (perché appunto non esiste una legge emanata da un potere legittimo che ci vieti di svolgere il nostro lavoro in quel territorio) e il tentativo è sempre quello di impossessarsi del materiale girato e delle testimonianze raccolte. Non vogliono che il mondo veda la realtà del posto descritta con immagini fedeli.

Le persone che intervistate sono generalmente disponibili a parlare?

Proprio perché è molto difficile operare in Transnistria, e si viene sottoposti a un continuo controllo delle autorità locali , la maggior  parte dei giornalisti non si reca sul campo. Ma per noi si tratta di un lavoro imprescindibile: non è possibile dare semplicemente le notizie senza prestare ascolto a ciò che sentono e percepiscono le persone nel loro quotidiano. E se uno si ferma alla prima difficoltà, allora niente è possibile e tanto vale restare seduti nella propria stanza o in redazione con le mani in mano.

Detto questo, le persone con cui interagiamo nella regione hanno timore a esprimersi. Certo, parlano liberamente della loro vita e delle loro occupazioni ma raramente o quasi mai muovono delle critiche verso il proprio governo o verso la situazione in cui si trovano. D’altra parte non è normale che teoricamente, secondo le norme ufficiose delle autorità locali, un comune cittadino possa parlare con te solo se tu, come giornalista, sei in possesso di un accredito o di una decisione ministeriale. Già questo è indicativo del fatto che lì la gente è come in una grossa prigione a cielo aperto. 

Dare voce a una realtà del genere per noi è anche un modo per sensibilizzare l’opinione pubblica in Moldova e le stesse istituzioni, affinché la questione venga risolta il prima possibile. L’attuale governo e la presidente Maia Sandu (di orientamento filo-europeista, ndr) appoggiano il nostro lavoro, anche perché le nostre prospettive coincidono, ma lo stato centrale ha ben poca influenza sulle decisioni prese da Tiraspol (capitale autoproclamata della Transnistria, ndr). Per cui, quando abbiamo problema con le autorità separatiste, dobbiamo comunque agire da soli.  

In generale, in Moldova, quali sono le maggiori difficoltà che deve affrontare un giornalista?

In questo momento un grosso problema è rappresentato dalle forze politiche d’opposizione, che “combattono” la stampa indipendente. Purtroppo, tanti partiti non fanno altro che ripetere la propaganda russa e – possiamo dirlo a partire dalla nostra esperienza diretta – la maggior parte delle persone che partecipano alle loro manifestazioni e iniziative sono persone la cui presenza è stata comprata. Ricevono soldi per andare ai comizi, gli viene pagato l’autobus, ecc… 

Che cosa succede? Noi ci rechiamo sul posto e poniamo delle domande da giornalisti, domande del tipo “come mai siete qui?”, “quali sono i vostri obiettivi o convinzioni politiche?” e non riceviamo risposte perché appunto si tratta di persone, molto spesso il segmento più anziano e meno istruito della popolazione, che non stanno partecipando in maniera spontanea. Ecco che allora l’atteggiamento verso i giornalisti indipendenti è estremamente aggressivo , perché per i partiti d’opposizione è controproducente che si mostri la realtà delle cose.

Subiamo attacchi, riceviamo minacce… Il loro obiettivo è scoraggiare i reporter dal recarsi alle loro manifestazioni. E può essere una strategia vincente: nelle redazioni ci sono tanti giovani giornalisti che vogliono fare normalmente il proprio lavoro, non pensano di dover andare “in guerra” solo per coprire una campagna elettorale. Per noi e altri magari è diverso: siamo stati in Ucraina, dove c’è una guerra vera e propria da ormai tre anni e mezzo, e non ci lasciamo intimorire e ribattiamo colpo su colpo. Per noi è importante mostrare la verità.

A ogni modo, con le elezioni parlamentari in vista, sappiamo che attacchi e minacce sono destinati a intensificarsi, così come è destinata a intensificarsi la propaganda di matrice russa. Ma, sia come giornalisti che come cittadini, sentiamo che il nostro dovere in questo momento è di preservare il più possibile l’unità sociale e siamo fiduciosi del cammino che ha preso il nostro paese, verso l’Europa e verso un futuro di maggiore tutela della libertà d’espressione.  

 

 

Questa pubblicazione è il risultato delle attività svolte nell’ambito del Media Freedom Rapid Response e del progetto Media Advocacy Action for Moldova: Empowering Moldova’s Public Watchdogs to Safeguard Media Freedom, cofinanziato dal Fondo CEI della Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo (BERS), con il contributo del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale italiano. Le posizioni contenute in questi materiali sono espressione esclusivamente degli autori e non riflettono necessariamente quello delle istituzioni cofinanziatrici.