Violenza sulle donne: l’UE vuole aderire alla Convenzione di Istanbul

Metà dei paesi UE non ha ancora ratificato la Convenzione contro la violenza sulle donne. Il Parlamento europeo e la Commissione sono decisi a farvi aderire l’Unione europea in quanto tale: sarebbe la premessa di una vera politica europea contro le violenze

07/04/2017, Lorenzo Ferrari -

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Liberties.eu

Sono passati esattamente sei anni dalla firma della Convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne, eppure la metà degli stati membri dell’Unione europea non ha ancora ratificato il trattato. Nei prossimi mesi si potrebbe però verificare una svolta, grazie a una serie di nuove ratifiche e soprattutto grazie alla possibile adesione dell’Unione europea in quanto tale alla Convenzione. L’adesione è stata proposta dalla Commissione europea ed è fortemente sostenuta dal Parlamento, che in queste settimane è tornato a discuterne , nell’attesa che giungano a termine i negoziati all’interno del Consiglio dei ministri.

L’eventuale adesione dell’UE alla Convenzione di Istanbul andrebbe ad affiancarsi, non a sostituirsi, alle adesioni dei singoli stati membri. Andrebbe in primo luogo a coprire gli ambiti di competenza delle istituzioni europee, che toccano ad esempio i diritti delle vittime e delle persone migranti e la cooperazione in campo penale. L’adesione dell’UE servirebbe inoltre a migliorare l’efficacia e la coerenza delle politiche nazionali contro le violenze di genere e le violenze domestiche, che sono ancora piuttosto differenti tra loro. Secondo il Parlamento europeo , l’adesione dell’UE alla Convenzione di Istanbul dovrebbe favorire l’elaborazione di una strategia europea complessiva contro la disuguaglianza e la violenza di genere.

La Convenzione sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica è un trattato elaborato dal Consiglio d’Europa, firmato a Istanbul nel 2011 ed entrato in vigore nel 2014. Il Consiglio d’Europa è un’organizzazione indipendente dall’Unione europea, che si occupa in modo particolare di diritti umani, democrazia e stato di diritto – è l’organizzazione a cui fanno capo, tra le altre cose, la Convenzione europea dei diritti dell’uomo e la Corte che ne assicura il rispetto. Del Consiglio d’Europa non fanno parte solamente i paesi dell’UE, ma anche numerosi altri stati dei Balcani, dell’Europa orientale e del Caucaso: la stessa Convenzione contro la violenza sulle donne è stata firmata da 44 stati.

La Convenzione di Istanbul è il primo trattato internazionale specificamente mirato a contrastare la violenza contro le donne, e prevede dei precisi obblighi giuridici per i paesi che vi aderiscono. Pur insistendo sulla necessità di perseguire con efficacia le violenze dal punto di vista penale, la Convenzione adotta una prospettiva ampia sulle violenze, sulle loro radici e sui modi per contrastarle, invitando le autorità e la società civile a ricorrere a un’ampia gamma di strumenti anche di tipo economico, sociale e culturale.

La lentezza delle ratifiche

La ratifica degli accordi internazionali è spesso un processo piuttosto lento: alcuni governi firmano gli accordi sui diritti umani per rispondere alla pressione dei partner e lanciare un segnale all’opinione pubblica, ma poi rimandano a lungo il momento della ratifica, che rende vincolanti gli impegni presi. A oggi, la Convenzione di Istanbul è stata ratificata da 14 paesi dell’UE su 28. Il processo è stato mediamente più rapido negli stati membri occidentali rispetto a quelli orientali – ma con alcune eccezioni notevoli: Polonia e Romania hanno ratificato la Convenzione ben prima di Germania e Regno Unito.

Gli stati che hanno ratificato la Convenzione di Istanbul (in blu) e quelli che l’hanno firmata ma non ancora ratificata (in rosso)

La Convenzione di Istanbul ha una rilevanza giuridica immediata, e dunque alcuni paesi prima di ratificare hanno dovuto adeguare il codice penale e altre norme contro la violenza, in modo da portarle in linea con le definizioni e gli impegni sottoscritti. Alcuni ritardi sono però dovuti a ragioni politiche, non tecniche – come ad esempio la polemica legata al concetto di “gender” e alla messa in discussione degli stereotipi di genere, alimentata soprattutto dagli ambienti cattolici conservatori.

D’altra parte negli ultimi mesi è emersa una reticenza a intervenire con decisione contro la stessa violenza sulle donne – una reticenza alimentata dalla depenalizzazione di alcune violenze domestiche in Russia e dalla messa in discussione di alcuni diritti delle donne in Turchia, Polonia e in altri paesi. Nel chiedere agli stati membri di ratificare quanto prima la Convenzione di Istanbul, il Parlamento europeo li invita anche ad aderire integralmente all’accordo, senza porre riserve sui passaggi meno graditi.

La violenza contro le donne nell’UE

La Commissione europea ha deciso di dedicare il 2017 alla lotta contro la violenza sulle donne, lanciando una campagna sul tema e stanziando dei finanziamenti appositi. La campagna fa però affidamento sull’iniziativa dei singoli stati, prendendo atto della diversità delle situazioni nazionali. Uno degli ostacoli contro un approccio veramente europeo alla questione è proprio la scarsa omogeneità nei modi di definire e rilevare la violenza contro le donne – un ostacolo che la Convenzione di Istanbul dovrebbe servire a rimuovere.

Nel 2014 l’Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali ha pubblicato la ricerca che, assieme all’Eurobarometro speciale del 2016, fornisce la base empirica su cui si fondano le iniziative europee contro la violenza. Stando a queste ricerche, "in Europa una donna su tre ha subito atti di violenza fisica o sessuale almeno una volta in età adulta, […] una donna su cinque (18%) è stata vittima di atti persecutori, una su venti è stata violentata e più di una su dieci ha subito violenze sessuali che comportano la mancanza di consenso o l’uso della forza". È stata fatta anche una stima del costo economico provocato dalle violenze sulle donne, che si aggira sui 230 miliardi di euro all’anno.

L’UE e le altre convenzioni sui diritti

L’Unione europea ha discusso per decenni dell’opportunità di aderire direttamente alla Convenzione europea sui diritti dell’uomo, ratificata individualmente da tutti gli stati membri. Seppure il trattato di Lisbona preveda l’adesione alla Convenzione europea, i negoziati si sono arenati nel 2014, dopo un parere negativo della Corte di giustizia dell’UE. La stessa competenza delle istituzioni europee sulla tutela dei diritti fondamentali all’interno dell’UE è stata ripetutamente contestata, a partire dal Regno Unito, per arrivare in tempi più recenti ai casi dell’Ungheria e della Polonia.

La difesa dei diritti individuali e la lotta contro le discriminazioni rimangono dunque ambiti riservati prevalentemente agli stati nazionali, o al più demandati al Consiglio d’Europa: l’adesione dell’UE in quanto tale alla Convenzione di Istanbul segnerebbe un avanzamento importante per l’attività delle istituzioni europee in questo campo. Un primo passo in questa direzione è avvenuto nel 2010, quando l’Unione europea in quanto tale ha ratificato la Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità. Già in quel caso l’adesione dell’UE era andata ad affiancare quella dei singoli stati membri, garantendo il rispetto della Convenzione per quanto riguarda le politiche europee e non solo quelle nazionali.

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