Vidovdan, prove di normalità

Vidovdan, il giorno di "San Vito". In Kosovo molto più che una ricorrenza religiosa, un anniversario fondante per la comunità serba. Quest’anno però le celebrazioni a Gazimestan, pur condite da qualche incidente, sembrano aver avuto una carica politica meno marcata

14/07/2010, Francesco Gradari - Pristina

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Gazimestan

“Vidovdan”: festività religiosa con cui la Chiesa ortodossa serba celebra la memoria di San Vito martire. La festa cade il 28 giugno secondo il calendario gregoriano, il 15 dello stesso mese secondo quello giuliano. In Kosovo, però, Vidovdan e il 28 giugno rappresentano per tutti, ma soprattutto per i serbi, molto di più di una semplice ricorrenza religiosa.

Il 28 giugno del 1389, nei pressi della piana di Kosovo Polje si consumò la battaglia che vide contrapposte le vittoriose forze ottomane a quelle della sconfitta alleanza balcanica guidata dal principe Lazar, emblema della conquista turca della regione.

Seicento anni più tardi, il 28 giugno 1989, Slobodan Milošević pronunciò davanti a un milione di serbi giunti in Kosovo da tutta la federazione jugoslava il celebre discorso che risvegliò l’orgoglio nazionale serbo e lo consacrò come difensore della causa serba in Kosovo e nella ex Jugoslavia.

Anche quest’anno in Kosovo si sono svolte le celebrazioni in ricordo della battaglia di Kosovo Polje. I festeggiamenti hanno avuto luogo, come sempre, a Gazimestan, nelle vicinanze di Pristina, dove i manifestanti si sono radunati al mattino attorno all’obelisco eretto in ricordo della battaglia.

Alla manifestazione hanno partecipato circa 1.500 serbi arrivati a bordo di moto, auto private e pullman dal resto del Kosovo, dalla Serbia e secondo alcuni quotidiani kosovari, anche dalla Bosnia.

Le strade della regione di Mitrovica sono state invase da motociclisti serbi sin dal giovedì precedente, e l’afflusso è continuato per tutto il week-end. Solo alcuni motociclisti si sono sottoposti ai controlli della polizia kosovara e di Eulex al momento del loro ingresso in Kosovo.

Le autorità kosovare hanno stimato la presenza di mille motociclisti provenienti dalla Serbia. Di questi solo un centinaio ha partecipato alle celebrazioni a Pristina, mentre il resto è rimasto nel nord del paese.

A Gazimestan l’unico a parlare in pubblico è stato il nuovo vescovo del Kosovo Amfilohije Radović. Nel ricordare la sacralità del suolo kosovaro per il popolo serbo, Amfiohije ha anche affermato che “la battaglia del bene contro il male iniziata nel 1389 in Kosovo non è ancora terminata”.

Si sono avuti momenti di tensione quando alcuni manifestanti hanno intonato canzoni inneggianti allo sterminio del popolo albanese e hanno dato alle fiamme le bandiere del Kosovo indipendente e degli Stati Uniti. Suoni e immagini dell’accaduto sono stati ripresi da quasi tutti i media del Kosovo.

La manifestazione a Gazimestan è stata preceduta da una funzione religiosa svoltasi al monastero di Gracanica e presieduta dal patriarca Irinej il quale, secondo il quotidiano kosovaro Koha Ditore ha riconosciuto il diritto del popolo albanese a vivere in Kosovo, precisando tuttavia che questo diritto spetta anche ai serbi e che “una soluzione che rende felice soltanto una parte, non è una soluzione”.

Alle celebrazioni hanno partecipato, oltre a una percentuale considerevole di giovani, il ministro per il Kosovo e quello per gli Affari religiosi del governo di Belgrado. Ma a far notizia è stata soprattutto la presenza dell’ambasciatore russo a Belgrado, Alexander Konuzin. La polizia kosovara è stata così costretta a dichiarare che la visita di questi “ospiti” è avvenuta con il consenso delle autorità di Pristina.

I manifestanti sono stati scortati durante tutta la manifestazione da 1.500 agenti della polizia kosovara. La polizia di Eulex ha svolto una funzione di monitoraggio, mentre la Kfor era pronta a intervenire in caso di necessità.

La polizia del Kosovo ha dichiarato attraverso il suo portavoce, Baki Kelani, che “la manifestazione si è svolta senza alcun incidente e la situazione è sempre stata calma e sotto controllo, eccezion fatta per alcuni piccoli episodi che non vale nemmeno la pena riportare”.

Gli episodi su cui la polizia kosovara ha preferito glissare sono due ed entrambi avvenuti proprio nel giorno di San Vito. Il primo riguarda il lieve ferimento di quattro motociclisti serbi avvenuto nella parte meridionale di Mitrovica. Secondo il quotidiano albanese “Zeri”, i motociclisti sono stati oggetto di lancio di sassi da parte di cittadini albanesi nel momento in cui attraversavano Mitrovica sud per recarsi a Pristina. La versione è stata confermata da Milija Milošević, comandante della stazione di polizia di Mitrovica nord, il quale ha anche precisato che solo uno dei quattro motociclisti è stato portato all’ospedale di Mitrovica nord per ricevere delle cure.

Il secondo incidente si è verificato invece a Gazimestan. Koha ditore ha riportato la notizia del danneggiamento, ad opera di alcuni manifestanti, di una vettura dell’emittente televisiva di Tirana Top-Channel, precisando che la polizia del Kosovo non ha intrapreso alcuna azione nei confronti dei responsabili.

Difficile valutare l’impatto politico di queste celebrazioni di Vidovdan in Kosovo. Tutti sembrano avere almeno un buon, seppur fragile, motivo per cantare vittoria. Belgrado ha dimostrato ancora una volta a Pristina e alla comunità internazionale che il confine nord non esiste e che ogni tentativo di inserire la regione di Mitrovica nell’architettura statale del Kosovo indipendente è sinora fallito. La retorica delle celebrazioni e la presenza di autorità governative e di serbi non kosovari ha poi alimentato la speranza presso i serbi del Kosovo di un rinnovato interesse di Belgrado per la loro sorte.

Le autorità di Pristina si sono rallegrate della buona tenuta dell’ordine pubblico e i media kosovari hanno dato ampio risalto alla cronaca delle manifestazioni, evidenziandone i tratti anti-albanesi. Dal canto suo, la comunità internazionale ha tirato un sospiro di sollievo: dal punto di vista della sicurezza, infatti, eventi del genere hanno un alto potenziale esplosivo. In questo caso, però, tutto è filato liscio, o quasi.

Una cosa è certa: al di là del già noto cocktail nazional-religioso, da Gazimestan lo scorso 28 giugno non è partito alcun messaggio politico di rilievo. Visti i precedenti, e l’avvicinarsi del pronunciamento della Corte Internazionale di Giustizia sulla legittimità dell’indipendenza del Kosovo (atteso per le prossime settimane), può già essere considerato un segnale incoraggiante.

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