Viaggio lungo il Danubio: quinto giorno, mille anni senza guerra e senza rakija
Otto giorni intensi, lungo il cordone ombelicale d’Europa. Questo diario ci accompagna in un viaggio imperdibile
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Partiamo dall’hotel in pullman per raggiungere il luogo dell’imbarco, ma c’è un contrattempo, forse il primo che ci è capitato finora: qualcuno ha dimenticato qualcosa nella camera d’albergo. Girare il pullman e tornare indietro sarebbe un problema non da poco, e causerebbe una bella perdita di tempo. Eugenio, che un attimo prima stava parlando al microfono per illustrare il programma della giornata, dice a Marko di fermare e farlo scendere. Senza dire altro si lancia in una lunga corsa, tra l’altro in salita, per tornare all’albergo, con un fiato notevole considerando le sigarette che fuma. Tutti lo guardiamo stupiti dai finestrini. Immediatamente Claudio ha l’idea: quando torna l’applauso non basta, dobbiamo dargli un premio, qualcosa tipo una medaglia. Del resto, è la prima cosa che ci viene in mente: ci sono le olimpiadi in corso di svolgimento… comincia una caccia febbrile ad un oggetto idoneo. Si trova una medaglietta con un quadrifoglio, e del filo da cucire per appenderla al collo. È fatta. Pochi minuti dopo risale sul pullman e scatta la premiazione, tra le risate generali.
Anche da queste piccole cose si capisce che il gruppo è sempre più unito e coeso, come dicono i bravi mister.
Appena saliti sul barcone, Mirjana ci dà il buongiorno, come sempre con un grande sorriso, e ci augura buon ferragosto. Le chiediamo se festeggiano anche loro il ferragosto e spiega che le date sono diverse perché gli ortodossi, per le feste religiose, seguono tuttora il calendario giuliano. Ma per lei, in qualche modo, è una ricorrenza: è il suo anniversario di matrimonio. Proprio il 15 agosto del 1981 si è sposata al consolato jugoslavo di Bari, dove suo suocero era viceconsole.
Stamattina la navigazione sarà più breve, giusto un paio d’ore per raggiungere il sito archeologico di Vinča, a 20 km da Belgrado.
Sin dai tempi degli antichi Greci, la storia dell’Europa è segnata da sanguinosi conflitti. Un continente sempre in ebollizione, un mosaico di piccoli Stati in lizza, continuamente pronti a difendere i propri domini contro tutto e a conquistarne di nuovi senza considerare i diritti altrui. Eppure sembra esserci stato un tempo lontano in cui le comunità agricole europee – o almeno una parte di esse – vivevano in pace, senza bisogno di mura di difesa, intrattenendo buoni rapporti di commercio e scambio. Un’epoca che ufficialmente è preistoria, ma che pare essere stata, per diversi aspetti, molto più civile di quelle che seguirono. Una di queste culture è quella di Vinča, che porta il nome di questo villaggio situato sulle rive del Danubio. Qui venne rinvenuto il più grande insediamento neolitico in Europa. La scoperta avvenne nel 1908, ad opera di un gruppo di archeologi guidato da Miloje M. Vasić, il primo archeologo professionista della Serbia.
Qui sono stati ritrovati reperti archeologici di oltre 8.000 anni fa, a testimonianza dell’esistenza di insediamenti umani nell’area in cui oggi sorge la città di Belgrado.
Le popolazioni di Vinča avevano già raggiunto un livello notevole nello sviluppo delle tecniche agricole: coltivavano frumento, orzo, veccia, noci e altri legumi. Avevano addomesticato tutti i tipi di animali presenti oggi nei Balcani, a parte il cavallo. Producevano ceramica, lavoravano la pietra e l’avorio. La metallurgia fu introdotta nell’Europa centro-orientale intorno al 5500 a.C.
Tra il 7000 e il 3500 a. C., gli abitanti di questa regione svilupparono un sistema sociale molto più complesso di quello dei loro vicini a nord e a ovest, costruendo degli insediamenti che spesso divenivano piccole città, e integrando i mestieri specializzati. Lo scambio commerciale fra comunità di diverse aree geografiche era molto attivo, come testimoniano i numerosi ritrovamenti di conchiglie, ossidiana e alabastro in differenti regioni della Vecchia Europa. E poi sembrano aver sviluppato addirittura un sistema di scrittura. Segni incisi su vasellame di terracotta scoperto a Vinča da anni suscitano nuove ricerche al fine di scoprirne il significato…
Indubbiamente questo sito deve essere interpretato come centro di un’unica, grande tradizione culturale che si evidenzia attraverso la tecnica di costruzione delle abitazioni private, la forma del vasellame, la simbologia, il culto, le statuette. Le statuette caratteristiche della cultura di Vinča sono quelle di figure a braccia aperte, nella tipica posizione del benvenuto. A ulteriore testimonianza che si trattava di una cultura assolutamente pacifica.
Il direttore del museo che visitiamo ci spiega tutte queste cose con competenza e passione, sottolineando soprattutto questo aspetto: proprio qui, nella “polveriera balcanica”, in questo territorio che noi oggi consideriamo, quasi per sua natura, instabile e abitato da genti bellicose e reciprocamente intolleranti (basti pensare all’uso che si fa del termine “balcanizzazione”), allora viveva un popolo che per almeno 1000 anni, all’incirca dal 5500 al 4500 a.C., non ha conosciuto la guerra. Fa pensare.
Il Convivium Slow Food Dorćol, che ci accompagna, ha organizzato per noi qui presso il sito archeologico un pranzo neolitico, ideato in collaborazione con il Museo della città di Belgrado e frutto dei diversi laboratori realizzati in loco al fine di ricostruire la dieta neolitica. Il menù è il seguente:
Pane di farina di grano germogliato
Patè di maialino
Insalata a base di orzo
Dolce di grano, miele e noci
Birra artigianale.
Mangiamo su tavoli di legno all’aperto, con due giovani “birrai” che ci spiegano le caratteristiche dei due tipi di birra artigianale che producono, una bionda leggera tipo Weiss e una rossa un po’ più corposa. Il patè di maialino ce lo portano in un tubetto, che certo non fa molto neolitico ma è più comodo e divertente.
Da Vinča ci trasferiamo in pullman a Kragujevac e ci sistemiamo nell’hotel dove passeremo la notte. In questa città, che ha sempre avuto una vocazione industriale, qualche anno fa è arrivata la Fiat (anzi la FCA) di Marchionne. Dopo gli iniziali entusiasmi, sono cominciate le proteste per i turni lunghissimi, i salari bassi e tutto quello che compone un quadro ai limiti dello sfruttamento. Proteste sopite grazie al classico ricatto occupazionale: se a voi non va bene, possiamo sempre trovare un altro paese dove il costo del lavoro è ancora inferiore. È così che funziona.
Noi, dopo una breve sosta, riprendiamo il pullman per un’altra delle tappe più attese: il presidio della rakija alla prugna Crvena Ranka di Gledić, nei dintorni di Kraljevo.
La rakija, ne abbiamo già parlato ampiamente, è la bevanda alcolica per eccellenza di tutti i Balcani: non c’è regione, villaggio, casa dei Balcani in cui manchi una bottiglia pronta a dare il benvenuto agli ospiti, ad accompagnare i pasti e a segnare il ritmo dei giorni e delle stagioni. La rakija per eccellenza, soprattutto in Serbia, è quella alla prugna, chiamata Šljivovica.
La regione Serba della Šumadija è da sempre rinomata per la qualità delle sue prugne. Ma è solo sulla dolce catena montuosa che separa le città di Kraljevo e Kragujevac, chiamata Gledić, che si coltiva un’antica varietà di prugne detta Crvena Ranka (lett. la rossa precoce). Anche queste rigogliose valli, come molte aree rurali dei Balcani, si stanno progressivamente spopolando per la mancanza di lavoro e prospettive di crescita. Tante, troppe, le case disabitate che s’incontrano sulla strada che porta sino all’omonimo villaggio, Gledić, un piccolo paradiso dove la natura e il lavoro dell’uomo convivono in armonia assoluta, in un susseguirsi di querceti, frutteti, ruscelli e piccoli appezzamenti dedicati al pascolo e all’agricoltura.
Un piccolo paradiso che, però, non è così semplice da raggiungere. Noi siamo diretti, in realtà, nei dintorni del villaggio di Gledić e più precisamente nel sobborgo di… Rakija! Sì, proprio così: la ragione, è evidente, sta nel fatto che in questa valle la produzione di rakija è estremamente radicata da tempo immemorabile.
Per questo il Presidio Slow Food si chiama… udite udite… Rakija iz Rakije, che significa “Rakija da Rakija”, in pratica rakija al quadrato!
Dopo un’ora di pullman, ci fermiamo a Gledić, da dove dovremo proseguire con altri mezzi. I… potenti mezzi che l’organizzazione ci mette a disposizione sono qualche jeep e due trattori attrezzati per trainare un carretto con dei sedili. Il gruppo si divide tra quelli che preferiscono la comodità della jeep e quelli che preferiscono provare anche l’esperienza trattore (io sono tra questi), che sembrerebbero in numero anche superiore ai posti disponibili, ma alla fine bene o male ci mettiamo d’accordo.
Il tratto da percorrere in trattore non è breve e c’è un piccolo incidente di percorso (un cellulare caduto e subito recuperato), ma il paesaggio bucolico che attraversiamo non è niente male.
Arriviamo alla fattoria di Dragana “Gaga” Veljović, costruita nella prima metà del novecento. Ad aspettarci un vero e proprio comitato di accoglienza, costituito da lei, i suoi familiari, tra cui una bambina che con un sorriso timido ci offre l’inevitabile primo assaggino di rakija, l’operatore di una TV locale che continuerà a fotografarci e riprenderci per tutta la sera e… uno strano personaggio in costume tipico. Il costume è composto da stivaloni, pantaloni verde militare infilati negli stivaloni stessi, camicia bianca e un copricapo che ricorda sinistramente quello dei četnici, i paramilitari serbi della seconda guerra mondiale tornati purtroppo in auge ai tempi delle guerre degli anni ’90. Diciamo che tutto l’insieme ricorda un po’ i četnici, ma il nostro per stemperare dispensa grandi sorrisi. Inizialmente si sparge la voce che sia il sindaco, poi viene degradato ad assessore e infine a consigliere comunale. Sicuramente fa scena.
Ma soprattutto non può mancare la banda, e che banda! Abbiamo tutta per noi la Danijela Orkestar, la prima e finora unica banda di ottoni serba guidata da una donna, appunto la bionda e talentuosa trombettista Danijela, astro emergente della musica tradizionale serba. Danijela ha solo 22 anni, e ha cominciato a suonare che era praticamente una bambina. Suona con i suoi fratelli, il più piccolo dei quali quando si è formata l’orchestra aveva circa 8 anni.
Ora sono qui, reduci dai successi di Guča, una cittadina della Serbia profonda dove proprio in questi giorni si svolge il più grande festival di musica balcanica. Ricordo che, quella famosa sera a Genova, io e la mia amica Lucia, che purtroppo per ragioni familiari non può essere qui con noi, avevamo tentato di convincere Claudio a buttare dentro in questo viaggio anche un paio di giorni a Guča. Poi, purtroppo, non si è potuto fare perché la logistica, per portarci 34 persone, sarebbe stata obiettivamente complicata. La ricettività del posto e dei suoi dintorni non è (forse non è ancora) così sviluppata. Sarebbe stato bellissimo, sono anni che ci vorrei andare. Vorrà dire che stasera avremo comunque per noi un piccolo pezzo di Guča.
Ecco qui, giusto per farvi un’idea del benvenuto.
Loro suonano e i locali, seguiti dai più coraggiosi di noi, si lanciano nel kolo, la tipica danza balcanica che si balla in cerchio.
Un po’ in disparte, vediamo anche Radojka, l’anziana zia di Dragana, che è oggi l’unica persona ad abitare permanentemente e mandare avanti la fattoria, animali compresi. È chiaro che stiamo un po’ invadendo il suo mondo. Lei sembra consapevole che è in un certo senso un male necessario, ma cerca di tenersi a debita distanza da tutto il casino che stiamo facendo.
Quando torna, temporaneamente, la calma ci portano a vedere gli alberi di prugne, che danno un raccolto ogni tre anni. Per avere una buona šliva ci vuole pazienza, non si può avere fretta.
Le prugne di Crvena Ranka sono raccolte a fine agosto e riposte a fermentare con il nocciolo in antichi tini di legno fino a due mesi, per poi essere sottoposte a una prima distillazione da cui si ottiene una rakija dalla gradazione alcolica di circa 30° e per questo detta morbida. La seconda distillazione, invece, avviene solo dopo un primo invecchiamento di due mesi in barrique di legno di quercia. Ci vogliono circa 100 litri di grappa morbida per ottenerne 50 litri di grappa cosiddetta ljuta (lett. “piccante” o “arrabbiata”), da cui si eliminano sia la parte iniziale (il primo litro, litro e mezzo, ricco di metanolo e dunque nocivo) che la coda (troppo acida, di scarsa qualità, che viene utilizzata per la produzioni di distillati di seconda scelta). La rakija riposa infine dodici mesi in vecchie botti prima di essere imbottigliata, ma ci sono produttori che conservano bottiglie di annate vecchie fino a 25-30 anni. Il risultato è un liquore di alta qualità, dal colore giallo paglierino ma via via più dorato se invecchiato, dal gusto pulito e profondo, con un sentore di frutta e vaniglia.
Dopo aver visitato anche la piccola distilleria – ricavata probabilmente da una vecchia stalla adiacente la casa – dove più tardi faremo rifornimento di bottiglie, è il momento della cena. Il piatto forte è un fantastico maialino allo spiedo, con crauti in terracotta alla brace e kajmak di Kraljevo.
E, ovviamente, rakija. Anche se Eugenio, da quello che ci ha raccontato, ha raccomandato a Gaga di non esagerare stasera, visti gli effetti sul gruppo di un precedente viaggio, che aveva mostrato, diciamo così, di non reggere molto l’alcol, producendosi in scene di ubriachezza piuttosto sgradevoli. Infatti, la rakija viene servita in maniera ragionevolmente (e insolitamente) parca.
Durante la cena, almeno al nostro tavolo, tiene banco la storia del figlio della nostra compagna di viaggio Piera, che ha appena fatto sapere alla mamma via sms di aver preso una multa (si suppone pesante) per aver fatto un pezzo di strada contromano. E domani deve partire per una vacanza con gli amici in Svizzera…
La cena non è ancora finita, che già la Danijela Orkestar ricomincia a sfoderare il suo repertorio. Che, naturalmente, stasera non può non comprendere una “Bella ciao” alla Bregović. E, per chiudere, quando ormai molti di noi, me compreso, stanno già ballando (diciamo, nel mio caso, si stanno agitando in maniera totalmente incoerente), una scatenata Kalašnjikov. Il nostro cetnico, qualunque sia il suo ruolo istituzionale, si dimostra un grande ballerino e trascinatore di folle. A vederlo sembra proprio (per fortuna) più portato per questo tipo di Kalašnjikov, che prende in giro i signori della guerra.
C’è chi si sorprende nel vedermi saltare e ballare in questo modo perché, abbastanza inspiegabilmente, ha (forse aveva) l’immagine di me come una persona seria, ma io spiego che concordo con lo slogan del vecchio Goran (Bregović, è chiaro): Chi non diventa pazzo non è normale.
A concerto finito, mentre noi facciamo incetta di bottiglie, Claudio contratta con Danijela e la sua manager una prossima data nell’auditorium della radio che, ne sono certo, farà il pienone.
Il ritorno in trattore è decisamente più movimentato dell’andata. Dopo poche centinaia di metri, cominciamo a sentire preoccupanti scricchiolii. Il nostro “trattorista” scende un paio di volte a controllare, proseguiamo sperando che la struttura di legno regga in qualche modo ma alla fine… si ode un crack definitivo: ha ceduto un pezzo che sostiene i sedili. Tutti guardano Daniele, detto Dipa, che è un uomo, diciamo, di… sostanza. Lui non può negare, è possibile che il suo… peso specifico abbia qualche responsabilità nel cedimento strutturale, ma in qualche modo dobbiamo cercare di arrivare al pullman. Dopo un breve consulto, si va avanti con la seconda e terza fila in piedi (siamo in totale quattro file di tre). Io, che sono in prima fila, resto seduto ma con gli altri dobbiamo cercare di sostenere quelli della fila posteriore. Chiediamo al nostro pilota di andare più… polako che può e faticosamente giungiamo alla meta. Non è stato il viaggio più comodo della mia vita, ma sicuramente uno dei più balcanici. E qualcuno, di balcanico, ne ho già fatto…