Via Egnatia, la riscoperta

Era l’antica via che attraversava i Balcani. Ora un progetto pluriennale promuove ogni anno un viaggio a piedi, per una sua valorizzazione. Il diario della quarta edizione

13/09/2018, Ilaria C. Restifo -

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Lungo la Via Egnatia - Vincenzo Cammarata

Camminare da Durazzo a Istanbul attraverso i Balcani per riscoprire l’antica Via Egnatia, questo è il progetto di FuoriVia, associazione culturale che da anni accompagna un gruppo di studenti, professori, ricercatori e appassionati lungo cammini e percorsi storici in Europa e nel Mediterraneo.

Iniziato nel 2000 dal professor Virginio Bettini dell’Università Iuav di Venezia, negli anni il progetto ha permesso a oltre mille studenti di partire alla scoperta del Cammino di Santiago (2000-2006) della Via Francigena tra Roma e Canterbury (2006-2012) e della Via Appia-Traiana tra Roma e Brindisi (2012-2014).

Dal 2015 FuoriVia ha cominciato a camminare lungo la Via Egnatia partendo da Durazzo per un progetto quinquennale che raggiungerà Istanbul nel 2019. Ogni estate un gruppo di cinquanta persone percorre circa 250 chilometri a piedi attraverso Albania, Macedonia, Grecia e Turchia alla ricerca delle tracce di questa strada romana costruita come continuazione della Via Appia per collegare Roma all’antica Costantinopoli.

Il viaggio di FuoriVia alla scoperta della Via Egnatia e dei Balcani è continuato dal 26 luglio al 10 agosto con la sua quarta tappa. Come ogni anno, si è ripreso il cammino da dove è stato lasciato l’anno precedente. Dopo aver attraversato l’Albania, il FYROM e gran parte della Grecia, il percorso del 2018 ha coperto l’area compresa fra Kavala e Kipi, in Grecia.

Qui di seguito un breve diario del viaggio:

Verso Est

Siamo già a quota 100 km, o giù di lì. Partiti da Kavala e diretti ad est, lungo la terra di Orfeo e di Spartaco, cerchiamo tracce dell’antica via romana che spostava eserciti in Asia Minore, guidava pellegrini cristiani, accompagnava mercanti ottomani e adesso ospiterà a tratti le molecole gassose del TAP, Trans Adriatic Pipeline: Azerbaijan-Puglia. Circa un terzo del tragitto, ma i chilometri cominciano a sentirsi.

Attraversiamo le strisce pedonali in file sparse mentre gli occhi attoniti degli automobilisti fermi al semaforo fissano un raduno di 40 camminatori claudicanti che avanzano indolenziti e felici tagliando loro la strada.

Siamo a Genisea, nella Tracia profonda, alle pendici dei Monti Rodopi; una terra di confine, una no man’s land, un tempo florido centro ottomano dedito alla produzione di tabacco. Iasmos sarà la nostra prossima tappa.

In provenienza da Toxotes, oltre 20 km ad ovest di Genisea, scegliamo di percorrere una strada bianca secondaria e di scavallare a sud la moderna superstrada Egnatia Odos raggiungendo il villaggio di Thalassia, per poi procedere verso est e toccare i centri abitati di Pimni, Kossos, Nea Amissos, Magiko, Avxentiou e concludere la tappa a Genisea, appunto.

Lo facciamo attraverso campi arati a maggese, tra granoturco, girasoli, coltivazioni di cotone, pascoli e piante di tabacco, grande protagonista di queste lande.

La grande via è qui, vicino a noi, nascosta sotto i nostri piedi. Sotto l’asfalto forse? Guardiana di questo o di quel campo di foraggio? Un cippo, una pietra miliare, rubati chissà quando dalla Storia, ci chiamano, ma noi non li sentiamo. Sentiamo invece il verso di una cicogna mentre spicca il volo dal suo nido arroccato su un traliccio del progresso.

L’appuntamento con la strada antica è solo rimandato. Ci rivedremo a Iasmos.

In media res

E invece no. Non ci rivedremo a Iasmos, cara vecchia via; ci dicono più avanti. Più avanti dove? Più avanti.

E intanto arriviamo a Komotini, principale centro di questa grande piana alluvionale che abbraccia il lago Vistonidas e raccoglie le acque del fiume Nestos. A Komotini faremo l’unica sosta strategica del viaggio. Le autorità comunali hanno organizzato per noi una intera giornata di visite, conferenze e interviste radiofoniche.

Ma andiamo per ordine. Il piccolo centro abitato di Iasmos – nato nel XVII secolo in seguito all’abbandono del porto bizantino di Anastasiuoupoli – ci accoglie al tramonto al suono di muezzin e campane.

Siamo stanchi. Qualcuno di noi, decimato da sole e vesciche, viene recuperato dal furgone di Zoran, infallibile autista macedone che carica bagagli e vettovaglie per portarli alla stazione successiva.

Anastasios – Tasos per gli amici – ci attende in taverna per consegnarci le chiavi della scuola elementare in cui ci accamperemo per la notte. Domani, di buon’ora, ci rimetteremo in marcia verso Komotini.

C’è un ponte bizantino in una valle sui monti dietro Iasmos. Non sappiamo se esiste qualche tarda connessione con la grande via. I più pensano di no: il ponte romano originale si trovava molto più a valle, sulla pianura oltre la ferrovia; sono ancora visibili le basi dei piloni. Ma è curioso notare che uno spettacolare ponte bizantino in pietra, erede dell’ingegneria romana, sia ancora lì, stupefacente nella sua altera bellezza, mentre poco più a valle, un modernissimo viadotto in cemento armato, figlio del XXI secolo, sia crollato miseramente, la carreggiata sprofondata nel vallone. E Dio sa se per []e di calcolo del rischio idrogeologico o per le pessime caratteristiche dei materiali da costruzione. Quale che sia la causa, noi procediamo in silenzio il nostro cammino in attesa di un nuovo incontro con la grande via.

Plus Ultra!

A Komotini la grande via ci attende a 4 metri sotto il piano stradale, o almeno così ci dicono gli archeologi, perché anche qui non riusciamo a vederla. Esponenti della soprintendenza parlano del ritrovamento – a circa 200 metri a nord dal muro di cinta della fortezza – di un cippo commemorativo, un sepolcro e alcune iscrizioni correlate alla Egnatia romana. Motivo per cui la strada la si farebbe passare più a nord, all’interno del centro abitato che, però, in epoca romana, non esisteva ancora in quanto tale.

Komotini sarebbe infatti stata fondata nel 1343 dall’imperatore Ioannis Kantakouzenos, il quale, durante la guerra civile bizantina, avrebbe qui fondato il suo accampamento, citandolo nelle sue memorie col nome di Koumoutzina.

I pareri sono discordi, a partire dalla datazione della città-fortezza. La teoria prevalente tra gli storici greci vuole che il forte sia stato costruito alla fine del IV secolo d.C., in virtù di un’iscrizione ritrovata sulle mura di una torre lungo la cinta settentrionale, recante la dicitura: Θεοδοσίου Κτίσμα (edificio di Teodosio).

Questa teoria è supportata dal fatto che la fortezza presenta la tipica struttura di un quadriburgium, fortezza romana del tardo impero.

Ora, i detrattori di questa teoria sostengono però che il forte non viene menzionato dalle fonti storiche prima del XIV secolo Procopius, nel suo censimento dei forti della Tracia in epoca giustinianea, non ne fa menzione, e la fortezza non appare nemmeno nella Tabula Peutingeriana, che segnala invece fortezze minori. Senza contare poi le incursioni barbariche e la guerra del 1207, quando i bulgari distrussero Mosynoupolis e tutte le fortezze della Tracia lungo la Via Egnatia. E dunque per quale motivo la fortezza di Komotini sarebbe stata risparmiata?

Insomma il rebus si infittisce, i reperti della grande via in questo tratto risultano scarsi o quasi nulli, cancellati dalla Storia per una concomitanza di cause, non ultima la rimozione delle pietre e loro riutilizzo come materiale da costruzione per le necessità abitative sorte in seguito allo scambio di popolazione del 1922.

Tutto questo ci fa capire quanto ardua sia l’impresa di ricostruire un tracciato che la Storia ha cancellato quasi del tutto.

Ma noi non demordiamo. Sappiamo che la incontreremo sulle alture di Mesti e nelle pianure presso il Delta dell’Evros. Il nostro cammino non finisce qui. Plus Ultra!

 

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