Vetevendosje: no al dialogo con la Serbia, sì all’Albania

Visar Ymeri è il presidente del gruppo parlamentare di Vetevendosje! presso l’Assemblea del Kosovo. Lo abbiamo intervistato poco prima delle proteste di piazza con cui Vetëvendosje ha manifestato contro l’incontro, a Bruxelles, tra il premier kosovaro Hashim Thaci e quello serbo, Ivica Dačić

23/10/2012, Jacopo Corsini -

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Visar Ymeri - dal web

L’International Civilian Office (ICO) ha chiuso di recente. Per qualcuno questa è la fine della supervisione internazionale, qual è la sua opinione?

Non è la fine della supervisione internazionale perché persistono ancora influenze sulle istituzioni del Kosovo. Un’altra missione con poteri esecutivi è Eulex, che ha esteso il suo mandato per altri due anni e rimarrà fino a giugno 2014. Perciò, quello che qualcuno chiama “la fine della supervisione” è solo la chiusura dell’ufficio della Rappresentanza Civile Internazionale e il cambiamento delle modalità di vigilanza, ma non la sua cessazione.

La vigilanza fu imposta a causa delle condizioni necessarie per l’indipendenza del Kosovo contenute nel Piano Ahtisaari, che oggi è stato implementato. La nostra Costituzione è stata modificata a causa della cessazione dell’ICO, ma esistono molti articoli che si riferiscono alle condizioni che dobbiamo ancora soddisfare, specialmente, quello che inibisce il diritto del Kosovo all’autodeterminazione e ad una propria politica estera: l’articolo 1.3 dichiara che il Kosovo non ha il diritto di unirsi a qualsiasi altro paese. Il 95% di noi è albanese e molti chiedono il ricongiungimento all’Albania.

Lei non pensa che l’unione tra Kosovo e Albania potrebbe destabilizzare l’intera regione, specialmente la Bosnia Erzegovina e la Macedonia?

Se lei fa riferimento alla situazione della Republika Srpska in Bosnia Erzegovina occorre ricordare che è il risultato di un genocidio e questo non è il caso del Kosovo, perciò non sono due realtà paragonabili. Riteniamo che l’intera regione si stabilizzerebbe se gli albanesi fossero lasciati liberi di unirsi in un unico stato.

Seguendo il suo ragionamento anche il nord del Kosovo avrebbe il diritto di unirsi alla Serbia…

Il nord del Kosovo è parte dei territori storici dell’Albania, ma la Serbia ha modificato la sua demografia: ora vi è una maggioranza di serbi perché più di 11.000 albanesi hanno subito una pulizia etnica nel 2000 e non è mai stato concesso loro il ritorno. Tale pulizia etnica non dovrebbe essere convalidata.

Vetëvendosje riporta di violenze contro gli albanesi nel nord, ma nello stesso periodo, altri parlano di violenze quotidiane a danno dei serbi in corso in tutto il Kosovo…

Esistono differenze tra questi due tipi di violenze. Nella maggioranza dei casi le violenze commesse da albanesi contro i serbi sono atti di criminalità commessi da singoli individui. Le violenze invece commesse a danno degli albanesi sono organizzate dal governo serbo, che durante e dopo la guerra, le ha pianificate al fine di pulire etnicamente il Kosovo.

L’UE ha sempre ripetuto che il futuro del Kosovo è quello dell’integrazione…

Il nostro obiettivo politico è ovviamente l’integrazione del Kosovo con il resto d’Europa. Ma è ancora più importante per noi l’unione con l’Albania. Vorremmo avere un’Albania prospera per spianare la strada verso l’UE. Non ci sarà integrazione con l’UE finché continueremo a sottostare al potere esecutivo esercitato da missioni internazionali che non rispondono a nessuno di ciò che decidono e minano la sovranità del Kosovo.

Cosa pensa delle privatizzazioni in atto in Kosovo ed, in particolar modo, delle tre imprese pubbliche Post-Telecom, Power Company e la miniera di Trepca?

Siamo contro la privatizzazione delle nostre aziende pubbliche. Sotto il profilo economico, queste compagnie possono essere molto redditizie e sono importanti politicamente in quanto “monopolio nazionale”.

Il grande problema che dobbiamo affrontare è la disoccupazione, direttamente collegata al processo di privatizzazione in atto in Kosovo.

Riteniamo che si debba sviluppare il settore privato, ma al contempo non ci vergogniamo di dire che c’è bisogno di un settore pubblico più forte e migliore, perché è l’unico in cui i cittadini possano sentirsi uguali.

Non pensa che il problema principale dell’economia kosovara sia la corruzione?

Ovviamente è un problema grave, attualmente alimentato proprio dal processo di privatizzazione.

Sia Unmik che Eulex hanno molti dossier sui politici kosovari e sulle loro attività corruttive, ma non vogliono prendere posizione contro di loro: vogliono tenerli sotto controllo e mantenere il Kosovo stabile per il breve periodo della loro permanenza qui.

Il paradigma è quello della “stabilità di breve periodo”.

Molti rapporti internazionali dicono che il suo paese è uno dei più importanti centri dei traffici illegali…

Ma è la comunità internazionale ad avere il potere esecutivo necessario per ostacolare questi fenomeni. In un certo senso, è lei ad aver fallito nella prevenzione dei traffici illegali. Siamo un paese che è stato posto sotto sorveglianza, ma questa non era per il bene del paese e dei suoi abitanti, ma per il bene dei politici kosovari.

In Serbia è stato eletto un nuovo Presidente, Tomislav Nikolić. Pensa che cambierà qualcosa nei rapporti tra Kosovo e Serbia, in particolare nei prossimi colloqui?

Era membro del Partito radicale serbo, il partito più fascista in Serbia, e il suo primo ministro arriva dal Partito socialista serbo, fondato da Slobodan Milošević, un altro fascista.

Nikolić non è però molto diverso dal precedente Presidente serbo, considerato affidabile da Bruxelles. Se si parla di cambiamenti nella politica interna, Tadić, Nikolić e Dačić possono essere diversi, ma le loro posizioni sul Kosovo sono praticamente le stesse.

L’unica via per la normalizzazione delle relazioni con la Serbia è che questa riconosca il diritto all’autodeterminazione del popolo kosovaro e di aver commesso gravi crimini nel nord del Kosovo durante e dopo la guerra. Senza queste condizioni, non c’è possibilità di normalizzazione dei rapporti.

Ha fatto molti riferimenti al passato. Non pensa che sarebbe meglio, per lo sviluppo del Kosovo e per le relazioni di vicinato, guardare più al futuro che al passato?

Ogni popolo di questa regione ha la sua storia. Perciò parliamo del passato. Per il futuro, vogliamo un Kosovo con tutti i diritti, come qualsiasi Stato sovrano. Vogliamo un diverso sistema economico, che si basi sullo sviluppo, e dove le istituzioni statali usino tutte le risorse presenti per far funzionare l’economia. Ciò che vogliamo è che il Kosovo diventi uno stato normale.

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