Di Ivica Ðikić, Feral Tribune, 22 giugno 2006 (tit. orig. Tata, šta je to Tetovo?)
Traduzione per Osservatorio sui Balcani: Luka Zanoni
Signor Dizdarevic, lei è uno dei conduttori del progetto che in questi giorni viene promosso sotto il patronato dell’Iniziativa Igman e che cercherà di avviare una temporanea rete alternativa di inchieste giornalistiche riguardanti la Croazia, Serbia, Montenegro e Bosnia Erzegovina. Sulla base di cosa l’ Iniziativa Igman è giunta alla conclusione che è necessario questo tipo di progetto?
Vi rammento che l’Iniziativa Igman è sorta con la guerra, quando un gruppo significativo di intellettuali di Belgrado, Zagabria e altre città dell’ex Jugoslavia attraverso il monte Igman giunse nella Sarajevo sotto l’assedio serbo: questa iniziativa ha continuato ad operare anche dopo la guerra, senza l’ambizione di occuparsi di pura politica, ma con l’intento di mantenere le relazioni, in un ampio contesto, nel triangolo BiH – Serbia e Montenegro – Croazia e di portare all’attenzione delle opinioni pubbliche di questi paesi i problemi che ci opprimono e che ci impediscono di condurre relazioni normali e civili. Ora, discutendo nell’ambito dell’Iniziativa Igman siamo giunti alla conclusione che esistono molti motivi per temere il funzionamento dei media in Croazia, BiH, Montenegro e Serbia, ossia che la maggior parte dello spazio mediatico di questi paesi continua a trasmettere le stesse vibrazioni di quando si era alla vigilia della guerra, e nel periodo in cui la guerra era in corso. È cambiato qualcosa dal punto di vista cosmetico – non c’è più quel forte linguaggio dell’odio, gli attacchi contro gli altri non sono così brutali e tutto è più sbiadito e sofisticato – ma è del tutto evidente che la sostanza non è cambiata, e la sostanza è una forte dipendenza dei media dalle strutture politiche e dei tycoon, cosa particolarmente evidente proprio nel mondo dei media.
Un interessante paradosso
Per quanto ne so avete lavorato, attraverso i media, per far sì che gli uni vedano gli altri in questo cosiddetto triangolo di Dayton che, con l’indipendenza del Montenegro, ha ottenuto un altro lato. Che tipo di conoscenze avete ottenuto?
Abbiamo capito che viviamo proprio un interessante paradosso: da un lato tutti questi stati da tempo si sono orientati verso la strada europea e, per dirlo più liberamente, per una vita in una grande casa comune, mentre dall’altro lato dobbiamo constatare che adesso sappiamo meno gli uni degli altri di quanto sapevamo quindici o venti anni fa. Vorremo vivere in un’unica casa comune, ma non desideriamo sapere cosa succede a chi è più vicino a noi. Sulla base dell’impressione che molte cose si sviluppino e cambino più in fretta delle relazioni dello spazio mediatico comune, siamo arrivati all’idea che di questo ci si deve occupare in modo più concreto e attivo.
Cosa significa occuparsi più concretamente della situazione dei media descritta?
Abbiamo realizzato una piccola ricerca pilota che avrebbe dovuto dimostrare se la nostra impressione riguardo i media fosse corretta o no. Abbiamo formato un gruppo di esperti – del quale, date le circostanze, ero a capo – e durante ventuno giorni nell’aprile di quest’anno abbiamo seguito sei quotidiani (Avaz e Glas Srpski della BiH, Jutarnji list e Slobodna Dalmacija della Croazia, e abbiamo seguito la versione bosniaco erzegovese del quotidiano di Spalato, il quale – questo lo abbiamo capito ulteriormente – è politicamente molto diverso dalla versione originale, poi abbiamo seguito Politika e Danas della Serbia), abbiamo analizzato cinque settimanali (Slobodna Bosna e Dani, Nacional e Globus, e NIN), abbiamo inoltre seguito i principali telegiornali della HTV, RTS e BiH1. Abbiamo analizzato quantitativamente e qualitativamente come questi media scrivono a proposito degli altri paesi di questo triangolo: complessivamente abbiamo osservato 1053 articoli e 76 contenuti televisivi, che si sono occupati, oltre che di politica anche di tutti gli altri segmenti della società. I risultati hanno assolutamente confermato la nostra tesi di partenza, e cioè che, detto brutalmente, nessuno si occupa in modo serio dei propri vicini. Sulle televisioni, diciamo, oltre l’85% dei contenuti sugli altri si riferiscono all’Aja e ai crimini di guerra, e ciò in misura tale che ciascun paese legge il caso dell’Aja degli altri paesi come se fosse suo. Diciamo la Croazia si è occupata dei croato bosniaci all’Aja, sicché è del tutto dubbio se si occupano di Bosnia, la Serbia si è occupata dei serbi di Croazia all’Aja…
Cosa si dice nel restante quindici percento?
Alcune notizia di cronaca nera, ossia perlopiù alcune notizie negative dagli altri paesi, oppure, tenendo presente la particolarità del mese di aprile, informazioni sulle inondazioni, perché il Danubio aveva inondato la Serbia e la Croazia, sicché i media croati hanno scritto delle inondazioni in Serbia e viceversa, perché ad entrambi è arrivata l’ondata d’acqua. Oppure, per esempio, tutti si sono occupati della notizia di come le prostitute di Spalato si preparavano per l’arrivo della portaerei americana, e questo illustra che tipo di informazioni relative ai vicini interessano ai media locali. Si è giunti, quindi, al fatto che nessuno si occupa sistematicamente e in modo approfondito e in modo positivo della vita che si conduce negli altri stati, ma si tratta di una percezione che è assolutamente fuoriuscita dal sistema coordinato del crollo della Jugoslavia. Ovviamente il senso di quello che abbiamo fatto non era di criticare o di creare una politica redazionale dei giornali e delle televisioni che abbiamo analizzato, il nostro obiettivo era piuttosto di mostrare come – nel momento in cui si cerca di andare verso l’Unione europea, che si basa sulla conoscenza reciproca – i media locali continuano a produrre una ignoranza reciproca. Capisco che la gente sia stata pressata da tutto ciò che è accaduto durante la guerra e capisco che tuttora siano in vigore quelle emozioni e quelle passioni, e non è illogico che nei media ci sia una situazione come quella che c’è stata negli ultimi dieci anni, ma diventa un po’ più illogico il fatto che tutto questo cresce come un modello che nessuno ha intenzione di cambiare.
Un brutto vicinato
Il motivo del suo discorso, oltre all’influenza della politica e dei tycoon, è dato anche dalla corsa senza scrupoli dei media per il profitto, sicché in questa corsa si asseconda un’opinione pubblica che – forse correttamente – crede di essere nazionalistica e xenofoba?
Ovviamente questo è un altro aspetto importante, perché oggi i media sono sul mercato, ma non si tratta solo di questo: al contrario si tratta del fatto che ha vinto una visione sui vicini come qualcosa che è contrario ai nostri interessi, che ci fa da concorrenza in senso negativo e da cui si deve prendere le distanze ad ogni costo, e questo è anche il risultato del fatto che le nuove generazioni che sono cresciute e che crescono non avevano accesso alla conoscenza del vicinato come qualcosa di positivo. Oggi i bambini nei loro libri scolastici non hanno che tre righe sui paesi confinanti, e quello che hanno è del tutto negativo. Questo crea delle situazioni in cui per esempio mio figlio qualche giorno fa mi ha chiesto "cos’è Tetovo?" davvero non penso che le cose si debbano rimediare con qualche azione propagandistica, ma è davvero scandaloso che, per esempio, in BiH dalla guerra ad oggi non è stato possibile leggere o vedere che in Croazia esistono i laghi di Plitvice. Ovviamente ci sono esempi anche in senso contrario, ossia riguardanti gli altri paesi.
Si tratta esclusivamente di una politica redazionale dei media oppure questa fotografia dei media rispecchia il pensiero della maggior parte dell’opinione pubblica di questi tre paesi?
Penso che l’opinione pubblica abbia molto più bisogno di sapere qualcosa sui propri vicini di quanto non si possa concludere dal comportamento dei media. Per questo il nostro progetto si snoda su due direzioni. La prima riguarda il fatto che – grazie all’aiuto dell’ambasciata norvegese a Sarajevo – siamo riusciti a garantire il denaro per scegliere dieci – quindici giornalisti della regione, e mi riferisco a giornalisti il cui nome e cognome è rispettato, e gli ho chiesto di scrivere a proprio piacimento quanti testi vogliono sulla realtà del paese in cui vivono, tenendo presente che i temi di non devono per forza riguardare la politica o gli scandali. Pagheremo i testi in base al budget che avremo a disposizione, e li offriremo alle redazioni degli altri paesi, che sono interessate a pubblicarli. Si tratta di un piccolo tentativo, in un periodo di 3-4 mesi, di rinfrescare i contenuti dei giornali dei quattro paesi, in misura alle richieste di questi giornali e nella misura in cui questo non vada a distruggere la loro concezione redazionale. Ho svolto un test su dieci – quindici redazioni in tre paesi e nessuno mi ha detto di non essere interessato per questo tipo di testi, e i motivi, tra gli altri, risiedono nel fatto che ogni redattore ha interesse ad avere un testo di un giornalista che non sia compromesso e poi per il fatto che le piccole redazioni semplicemente non sono in grado di assumere e pagare qualcuno che venga da un altro paese. Questo è un buon indicatore del fatto che le redazioni non hanno pregiudizi verso i vicini, o meglio, la maggior parte delle redazioni, perché per esempio so che Slobodna Dalmacija non prenderà i testi di cui sto parlando, per il fatto che la loro edizione bosniaco erzegovese è, in senso giornalistico, ciò che di più duro e terribile esista da queste parti e per il fatto che non è cambiata molto rispetto a come era nella prima metà degli anni novanta. Quando vedremo come funzionerà questa cosa nell’arco dei prossimi tre-quattro mesi, allora forse si potrà anche pensare ad un serio progetto di rete comune nella regione, che funzioni secondo tutti i criteri professionali e in cui la gente sia assunta in modo stabile.
Le tartarughe di Zagabria
Qual è l’altra direzione del progetto?
L’altra direzione riguarda la collaborazione con Radio Free Europe (RFE) di Praga: loro, insieme all’Iniziativa Igman, sono già partiti con un progetto televisivo settimanale e una trasmissione radiofonica in stile magazine, che verrà trasmessa in questi quattro paesi, più l’Albania, e nelle lingue dei paesi in cui la trasmissione verrà mandata in onda. Il progetto, con molto scetticismo, è stato offerto alle radio e televisioni della regione e ha incontrato una grande accoglienza, poi è stato offerto anche alle pagine nazionali e – a differenza di Zagabria – con piacere è stato accolto a Sarajevo e a Belgrado.
La HTV come ha spiegato il rifiuto di questo progetto?
Hanno freddamente rigettato l’idea dicendo che il loro schema di programmazione viene fatto con due anni di anticipo e che non hanno spazi, ma questa è la riconoscibile sindrome di Zagabria, secondo la quale riguardo a tutto ciò che nella regione profuma adotta il cosiddetto sistema a tartaruga: ritira la testa e bofonchia incomprensibili spiegazioni. Però venticinque emittenti televisive e radiofoniche di questi paesi non solo hanno mostrato interesse, ma non vedono l’ora che questa cosa parta, e dovrebbe partire a fine estate. Queste sono, quindi, le due azioni concrete che sono emerse dalle nostre discussioni e analisi nell’ambito dell’Iniziativa Igman, e dalla consapevolezza che con questo livello di conoscenza reciproca non possiamo aspettarci quasi nulla nel senso della tanto proclamata strada verso l’integrazione europea.