Velahavle
Trip hop, break beat e Velahavle. Intervista a Samir Hodović, bassista e frontman, e Armin Hujić, chitarrista. Dalle prime registrazioni durante l’assedio di Sarajevo alla produzione britannica di Kemal Okan
Di Francesca Rolandi, Monika Piekarz e Andrea (Paco) Mariani
Qual è la storia della vostra band?
Samir: ci conosciamo da molto tempo. Durante la guerra eravamo molto annoiati, abbiamo iniziato a suonare. Poi nel 1999 abbiamo registrato il nostro primo singolo "Cosanostra" e quello è stato il primo passo verso un più serio impegno nella musica. La band è composta da 4 membri, ma alle esibizioni live partecipano anche alcuni altri musicisti che sono praticamente membri del gruppo. Tra cui la vocal guest Ralitsa Kashova, dalla Bulgaria.
Che cosa significa il nome Velahavle?
Samir: ha due significati. Uno è locale e suona come "Per l’amor di Dio!", ma quello originario proviene dall’arabo e significa qualcosa come: "Non ci può essere aiuto senza l’aiuto di Dio". Le persone più anziane lo usano ancora qua in Bosnia, ma penso che verrà dimenticato nel giro di una generazione. Per quanto riguarda i più giovani, alcuni ne conoscono il significato, altri invece no e ce lo chiedono.
Come descrivereste la vostra musica?
Armin: è una fusione tra trip hop e break beat.
Quali sono le vostre ispirazioni? Il produttore britannico drum’n’bass Kemal Okan ha collaborato con voi nel 2005 per la registrazione di Reconnect. Uno dei brani di quel vostro primo disco è la rilettura di una canzone popolare bulgara. Ci sono influenze molto diverse…
Samir: le nostre influenze musicali provengono più che altro dall’esterno e dai differenti tipi di musica che abbiamo ascoltato da teenager. Riguardo a Kemal, per noi è ancora incredibile che lui abbia accettato di lavorare con noi, dal momento che è una star di fama mondiale. Noi eravamo suoi fan da tempo e poi è arrivata l’occasione di incontrarlo, qua a Sarajevo, dove si trovava per un party; in qualche modo lo abbiamo colpito, ha ascoltato del nostro materiale, gli è piaciuto e ha deciso di produrlo. Avevamo iniziato a registrare del materiale per l’album 4 o 5 anni prima, e in quell’arco di tempo ci eravamo interrogati rispetto alle diverse opzioni sonore per la realizzazione finale, ma ci mancava un produttore. A quel punto è arrivato Kemal.
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Per quanto riguarda invece l’altra collaborazione, con Ralista, la nostra vocal guest, l’abbiamo conosciuta nel Pavarotti Center, a Mostar, mentre stavamo registrando il primo disco. Quando l’abbiamo sentita cantare le abbiamo proposto di registrare le stesse melodie nello studio dove registravamo noi. Questo è stato l’inizio. La canzone, "Prituri se planinata", è una canzone tradizionale bulgara, ma nella versione originale suona in maniera completamente diversa perché sfrutta un’altra melodia.
Si fa spesso riferimento agli anni ’80 come alla "golden age" dell’ambiente artistico sarajevese, quando la città era considerata la capitale culturale dell’ex Jugoslavia. Questa eredità ha ancora un’influenza sul presente?
Samir: credo che in campo musicale ciclicamente, ogni dieci anni, Sarajevo dia qualcosa che meriti di essere ricordato. Nella prima metà degli anni ’80 c’era una grande scena underground, che successivamente divenne mainstream. Dieci anni dopo, durante la guerra, abbiamo avuto una scena underground veramente eccezionale, che sfortunatamente scomparve negli ultimi giorni del conflitto. Da 2 o 3 anni abbiamo 10 o 15 band che credo verranno ricordate come la "scena di Sarajevo".
Ci sono delle collaborazioni tra le diverse band?
Samir: ci conosciamo bene, abbiamo molti progetti comuni, cerchiamo di aiutarci gli uni con gli altri e di portare avanti collaborazioni musicali. Adesso ad esempio stiamo pensando di realizzare un remix del nostro primo album, a cui dovrebbero partecipare alcune altre band locali.
Quali possibilità ci sono per le band a Sarajevo?
Samir: non ci sono possibilità, non ci sono spazi per i concerti. Non sono sicuro di quale sia la causa, ma non esiste un’industria musicale e devi fare tutto da solo: realizzare l’album, produrlo, trovare i soldi per realizzare i video, trovare gli spazi per i concerti. Nel settore musicale, in Bosnia, non c’è alcun sostegno.
Armin: ci sono anche dei grossi problemi riguardanti la pirateria, che ha il monopolio sui prodotti. E’ molto difficile vendere i cd originali.
Qual è la causa di tutto questo?
Armin: dopo la guerra molte persone con un background "urbano" sono scappate da Sarajevo e non vi hanno fatto più ritorno, mentre una grossa fetta di popolazione dalle campagne si è trasferita in città. E dunque molta parte di quello che era considerato "urbano" è scomparso e i nuovi poteri hanno preso il controllo dei media e quindi anche della scena musicale: da qui nasce ad esempio il turbofolk.
Qual è la vostra relazione con Sarajevo?
Samir: Sarajevo ci ha creati per come siamo oggi, e ha avuto un forte impatto sulla vita di ognuno di noi. È una realtà particolare: siamo chiusi e isolati in mezzo alle montagne. Uno dei tratti fondamentali del vivere in questa città è che un giorno la odi e il giorno dopo la ami.
Suonate spesso all’estero?
Samir: abbiamo avuto più successo fuori dalla Bosnia che nel nostro paese. La maggior parte dei nostri concerti sono all’estero. Per quanto riguarda il secondo album, ancora in cantiere, abbiamo alcuni contatti in Gran Bretagna e in Germania che spero porteranno a qualcosa. Fortunatamente il fatto che Kemal abbia prodotto il nostro primo album è un buon biglietto da visita.
Per quanto riguarda il music system, come sono attualmente le relazioni con le altre repubbliche dell’ex Jugoslavia?
Samir: ovviamente non così forti come quando eravamo parte di un unico paese, ma esistono. Noi abbiamo molti contatti con altre band di quest’area. E purtroppo vediamo che anche negli altri paesi ci sono molti problemi nel settore musicale. Se la situazione fosse migliore per tutti, probabilmente anche i legami sarebbero più forti.
Siete ottimisti per il futuro?
Samir: come ho già detto contiamo molto sulla scena attuale. È molto vivace e può avere qualcosa da dire anche al resto d’Europa. Se ci verrà data una chance.