Vaccini e Covid-19: i Balcani occidentali si sentono esclusi
Dubbi, polemiche, ritardi. Le campagne vaccinali contro il Covid-19 nei Balcani occidentali sono partite solo in Serbia ed Albania, mentre gli altri paesi dell’area rischiano di accumulare pericolosi ritardi, nonostante alcune iniziative di supporto promosse dall’Unione europea
Il 27 dicembre scorso, dopo una lunga e trepidante attesa e con grandi speranze, l’Ue ha lanciato la campagna vaccinale contro il Covid-19, con le prime dosi del vaccino Pfizer/BioNTech inoculate in contemporanea in tutti paesi dell’Unione.
Già il giorno successivo la Commissione ha lanciato un pacchetto di sostegno da 70 milioni di euro (attraverso lo strumento dei fondi pre-accessione IPA-II) destinato ai Balcani occidentali, per aiutare gli stati dell’area a vaccinare le fasce più vulnerabili della popolazione e ad acquistare le attrezzature e i materiali necessari allo scopo.
“Nel corso della pandemia, l’Ue ha dimostrato di trattare i Balcani occidentali come partner privilegiati. Continuiamo ad agire in questo spirito per i vaccini”, ha dichiarato a caldo il Commissario all’allargamento Olivér Várhelyi. Il 19 gennaio, fonti della Commissione hanno reso noto che l’Ue lavora oggi ad un piano per condividere le dosi in eccesso con i vicini “poveri”, come i paesi africani e quelli del vicinato, Balcani occidentali compresi.
Alle iniziative Ue, hanno fatto però da contraltare le preoccupazioni e i malumori di molti paesi dell’area, che si sentono emarginati nella corsa ai vaccini e che ancora faticano ad assicurarsi le dosi necessarie a far partire le proprie campagne vaccinali. Una delle voci più critiche è stata quella del premier albanese Edi Rama. “L’Ue ci ha invitato a investire esclusivamente nel sistema COVAX [vedi box], ma seguendo le indicazioni di Bruxelles avremmo dovuto aspettare a tempo indeterminato”, ha dichiarato Rama lo scorso 11 gennaio, dopo aver ricevuto la prima dose di vaccino Pfizer, parte di una donazione in arrivo dalla Germania .
Se il dibattito sul ruolo dell’Ue – egoista o altruista – è probabilmente destinato a continuare a lungo, una cosa è però certa: i ritardi nell’acquisto di vaccini e nell’organizzazione delle campagne vaccinali nei Balcani occidentali sono già un fatto concreto.
Serbia ed Albania, prime della classe
Nonostante gli strali euro-critici di Rama proprio l’Albania, insieme alla Serbia, è uno dei due paesi dei Balcani occidentali che è già riuscita a far partire le vaccinazioni. Le prime dosi – appena 975 – sono arrivate in regalo dalla Germania. Rama ha anche tentato di mantenere il segreto sulla loro reale provenienza, informazione che però è presto diventata di dominio pubblico.
A inizio gennaio, il governo di Tirana ha annunciato di aver contrattato 500mila dosi di vaccino Pfizer/BioNTech, di cui 10mila sono già arrivate sul suolo albanese, con un accordo che Rama si è rifiutato però di rendere pubblico, citando il “segreto commerciale”. La campagna vaccinale coprirà innanzitutto i circa 23mila lavoratori del settore sanitario, insieme agli over-75. Secondo la stampa locale, però, la strada per portare a compimento la vaccinazione sarà lunga: le previsioni più ottimistiche parlano di almeno quattordici mesi, anche se non si esclude che potrebbe durare anche due anni .
La situazione in Serbia è ancora più dinamica. Belgrado è riuscita a far partire simbolicamente le vaccinazioni già il 24 dicembre, quando tra i primi a sottoporsi al vaccino (Pfizer/BioNTech, consegnato in 5mila dosi) c’è stata la premier Ana Brnabić. La Serbia ha reso subito chiaro di voler guardare a tutte le possibili alternative per assicurarsi in fretta quantità significative di vaccini.
Il 6 gennaio sono arrivate a Belgrado le prime dosi del vaccino “Sputnik V” sviluppato nella Federazione russa. Il governo serbo ne ha acquistato in totale due milioni di dosi di cui 250mila che dovrebbero essere consegnate in questi giorni. Pochi giorni prima, il 16 gennaio, all’aeroporto di Belgrado era atterrato un cargo con un milione di dosi del vaccino cinese “Sinopharm”, mentre il governo ha annunciato l’ulteriore acquisto di 8oomila dosi dell’“AstraZeneca” grazie ad un accordo bilaterale con la Polonia.
La Serbia è quindi l’unico paese dei Balcani occidentali oggi in grado di far partire una vera vaccinazione di massa: per realizzarla è stato approntato un sistema di registrazione online sul sito di e-governance del governo serbo , a cui lo scorso 20 gennaio si erano giò registrate ufficialmente 436mila persone, soprattutto over-50.
Macedonia del nord e Kosovo, in attesa dei vaccini
Febbraio dovrebbe essere il mese dell’inizio della vaccinazione sia in Macedonia del nord che in Kosovo. I due paesi hanno entrambi trovato un accordo con la Pfizer/BioNTech, ma per la consegna delle prime dosi si dovrà aspettare ancora qualche settimana.
Per il momento, il governo di Skopje ha annunciato di essersi assicurato 800mila dosi entro la fine del 2021. La data di prima consegna resta da definire, ma i primi vaccini arriveranno anche in Macedonia del nord grazie ad una donazione, questa volta in arrivo dalla Serbia, che ne dovrebbe consegnare a breve circa ottomila alle autorità di Skopje .
Lo scorso 6 gennaio anche il Kosovo ha dichiarato di attendere i primi vaccini per febbraio: in totale, Pristina si è assicurata 535mila dosi (Pfizer/BioNTech) attraverso un accordo diretto con la casa farmaceutica ed ulteriori 600mila grazie ad un accordo bilaterale con il governo austriaco (oltre a 720mila dosi dal sistema COVAX). Nel frattempo, una quantità simbolica di vaccini dovrebbe arrivare dall’Albania, come annunciato nelle settimane scorse da Rama.
Intanto, però, in Kosovo la questione vaccini ha già causato pesanti polemiche, quando il 24 dicembre scorso il governo serbo ha annunciato la distribuzione di alcune dosi nel nord del Kosovo, abitato prevalentemente da popolazione serba. Le istituzioni kosovare hanno reagito duramente, e Vjosa Osmani, presidente ad-interim, ha parlato di “flagrante violazione degli accordi di Bruxelles”.
La risposta dell’omologo serbo Aleksandar Vučić non si è fatta attendere: “Non abbiamo spedito artiglieria o carri armati, ma medicine”, ha replicato Vučić, dicendosi disposto ad aiutare anche la popolazione albanese. In un clima di perdurante sfiducia, entrambe le parti si sono accusate vicendevolmente di utilizzare il caso per fini politici.
Bosnia Erzegovina e Montenegro, ancora senza prospettive concrete
Nella corsa ai vaccini nei Balcani occidentali, Bosnia Erzegovina e Montenegro rappresentano al momento i fanalini di coda. Per motivi diversi i due paesi non sono ancora riusciti a concretizzare l’acquisto di vaccini e il destino delle proprie campagne di vaccinazione resta al momento senza prospettive concrete.
Per approvvigionarsi, fino ad ora Podgorica ha puntato solamente al meccanismo COVAX, che però per il momento non ha dato i risultati sperati. Lo scarso successo ha alimentato serrate polemiche: l’attuale governo del premier Krivokapić, entrato recentemente in carica, ha accusato il precedente, dominato dalla figura dell’“eterno” presidente Milo Đukanović, di non aver saputo gestire la delicata questione.
Sulle orme della vicina Serbia, il Montenegro ha dichiarato di non volersi precludere nessuna strada, neppure quella di forniture dalla Federazione russa o dalla Cina. La speranza espressa dal governo è che le prime dosi possano arrivare già entro la fine di gennaio, ma resta da vedere se questo obiettivo possa essere realizzato.
Anche in Bosnia Erzegovina c’è chi spera di ricevere le prime dosi entro fine gennaio. Come per il Montenegro, però, ancora nessuna certezza a riguardo. Il governo centrale ha ordinato un milione e duecentomila dosi attraverso il meccanismo COVAX. Le divisioni politiche che spaccano il paese hanno affossato qualsiasi tentativo di esplorare strade alternative.
Solo a metà gennaio il parlamento ha approvato una risoluzione che apre anche ad eventuali accordi bilaterali per assicurarsi le dosi necessarie, anche se con la domanda di vaccini che a livello mondiale oggi supera abbondantemente la capacità di produzione, non sarà facile recuperare il tempo perduto.
Nel frattempo la Republika Srpska ha annunciato di voler procedere autonomamente, ed ha annunciato di essersi assicurata forniture del vaccino russo “Sputnik V”: secondo Milorad Dodik, ex presidente della Srpska e oggi rappresentante serbo alla presidenza tripartita, già la prossima settimana dovrebbero arrivarne 10mila dosi . Lo stesso Dodik ha annunciato che al momento sono in corso negoziati con la Serbia per ottenere anche forniture del vaccino cinese. L’acquisto diretto dei vaccini da parte delle entità apre però le porte a possibili conflitti con il governo centrale, che ha già specificato che l’uso di medicinali in Bosnia Erzegovina è soggetto all’approvazione preventiva dell’Agenzia statale per i medicinali.
Cos’è il COVAX
Garantire che i vaccini contro il Covid-19 possano essere accessibili a tutti paesi del globo, indipendentemente dal loro peso economico. È questo l’obiettivo dell’iniziativa Covax, che mira a supportare lo sviluppo e la distribuzione di due miliardi di dosi entro la fine del 2021. Guidata da Gavi (Vaccine Alliance), Organizzazione mondiale della sanità (WHO) e Coalition for Epidemic Preparedness Innovations (CEPI), Covax è basata sul principio di equo accesso ai vaccini , con vantaggi sia per i paesi poveri, non in grado di negoziare direttamente con i produttori, che per quelli ricchi, che non saranno al sicuro finché la pandemia non sarà stata fermata a livello globale.