Uranio impoverito: conclusi i lavori della commissione
Lo scorso primo marzo la Commissione d’inchiesta del Senato sull’uranio impoverito, ha chiuso i lavori con l’approvazione della relazione finale. Un’intervista di Osservatorio sui Balcani al senatore Luigi Malabarba, del Partito della Rifondazione Comunista, membro della commissione
La Commissione d’inchiesta del Senato, che ha votato la relazione finale dei lavori lo scorso primo marzo, era stata chiamata ad indagare sui casi di morte e di gravi malattie che hanno colpito il personale italiano impegnato nelle missioni internazionali di pace e sulle loro cause, ma anche sulle condizioni della conservazione e sull’eventuale utilizzo di uranio impverito nelle esercitazioni militari sul territorio italiano. Dopo nemmeno dieci mesi di indagine, costellati di difficoltà, si è arrivati alle tanto attese conclusioni. Mentre il Presidente della Commissione Paolo Franco ha dichiarato che "non sono emersi elementi per affermare una responsabilità diretta dell’uranio impoverito" pur ammettendo il ritrovamento di "nanoparticelle che potrebbero essere state prodotte dall’esplosione dei proiettili", tutti i componenti di opposizione della stessa si sono dichiarati non soddisfatti. Tra essi il senatore Luigi Malabarba che a seguito della prima seduta di voto, interrotta a causa di forti divergenze tra i membri della Commissione, aveva diramato un comunicato dai toni accesi. Proprio Malabarba spiega a Osservatorio sui Balcani i motivi di questa insoddisfazione e quali possibili sviluppi si auspicano in futuro.
Senatore, Lei si è dichiarato insoddisfatto delle conclusioni della Commissione d’inchiesta di cui ha fatto parte e che è arrivata alla sua istituzione dopo notevoli difficoltà. Perché?
La valutazione dell’attività della commissione deve essere rapportata agli obiettivi che erano stati indicati nel disegno di legge di istituzione della commissione stessa. Questi erano di per sé autolimitanti, tanto da rendere complicato il tentativo di affrontare in maniera esaustiva la questione delle malattie dei militari e delle conseguenze dei bombardamenti sulle popolazioni civili locali. Voglio ricordare che l’istituzione della stessa era stata proposta alla fine della scorsa legislatura, ma allora non si era arrivati alla definizione neppure dei termini che avrebbero dovuto comportare quel tipo di lavoro.
Una volta formata la commissione, c’è stato poi un sabotaggio chiarissimo da parte del ministero della Difesa, ma anche da parte di alcune lobby delle gerarchie militari dentro i vari partiti, soprattutto della maggioranza. Esiste tutta la documentazione relativa ai passaggi che denotano il blocco dell’attività attraverso il nucleo sopratutto di Forza Italia, da un lato il ministro Martino, dall’altra il Presidente del Senato. Essi hanno fatto un lavoro concertato per impedire alla commissione di lavorare, seppure nel luglio di due anni fa si fosse arrivati ad una posizione unanime per istituire una commissione.
In effetti anche dai resoconti delle sedute della Commissione emerge che è stato difficile reperire i dati di cui parla…
I limiti statistici sono stati tali, non penso casualmente, da impedire alla commissione qualsiasi definizione approfondita di vario tipo. Per cominciare dalle relazioni Mandelli. Laddove invece esistono dei dati, vi è stato un boicottaggio diretto del ministero della Difesa che non ha permesso ai distretti militari di fornirceli, dati dei quali avevamo bisogno per poter avanzare sulla strada dell’approfondimento.
Sottolineo che una commissione d’inchiesta ha potere inquirente. Se la commissione fosse stata più coesa avrebbe dovuto, giustamente, prendere un’iniziativa di carattere penale, indicare dunque sanzioni nei confronti di chi non rispondeva alle richieste. Ma non c’erano le condizioni per pretenderlo, ed è anche per questo che la relazione finale è stata votata dalla maggioranza mentre noi ci siamo ovviamente astenuti.
Una proposta da parte nostra di rafforzamento del documento finale avrebbe comportato la vanificazione di qualsiasi conclusione. La tattica parlamentare della maggioranza sarebbe stata quella di far mancare il numero legale necessario al voto del testo conclusivo, non obbligatorio invece durante le sedute di lavoro dove su 21 membri le presenze non hanno mai superato le 3-4 persone e tutte dell’opposizione. Dunque se in sede di voto avesse votato solo l’opposizione, la relazione non sarebbe arrivata neppure agli atti del Senato.
Nonostante tutto, avete pensato fosse utile istituire la Commissione e avviare i lavori. Si sono comunque raggiunti dei risultati?
Infatti. Tutto lasciava intendere che non sarebbe stato facile il lavoro che ci era richiesto e non era chiaro se valeva la pena istituire la commissione con le autolimitazioni di cui ho già paralto. Abbiamo optato per farlo, perché abbiamo valutato che la produzione di documentazione sarebbe stata comunque utile a fronte, nel giro di un anno, della possibilità di avere una nuova maggioranza.
Da questo punto di vista credo si possa fare un bilancio abbastanza positivo, sia rispetto alle consulenze sebbene non siano state tutte quelle che avremmo voluto, sia rispetto al materiale prodotto. Il lavoro fatto ha rappresentato un’occasione importante per un’inchiesta futura, da realizzarsi in seno ad una nuova commissione ad inizio legislatura.
Ci sono degli aspetti contenuti nella relazione finale che riguardano prettamente i militari e che sono importanti. Nella relazione infatti è scritto un tracciato chiaro, per cui le conseguenze delle esplosioni, non solo all’uranio impoverito, si manifestano con una scansione abbastanza lineare. C’è un’esplosione ad alta temperatura, poi una dispersione nell’aria del particolato (polveri sottili) che inalato o ingerito passa nei tessuti. E la provocazione dei tumori ne è la conseguenza.
Naturalmente la prova che anche queste nanoparticelle trovate nei tessuti dei malati costituiscono elemento di creazione di patologie lo dobbiamo ancora dimostrare, nel senso che non abbiamo avuto la possibilità di produrre una serie di ricerche, ma rappresenta uno studio sostanzialmente in corso che porterà a tali conclusioni.
In che senso questo tracciato diventa già importante per i militari? E le ricerche di cui parla, una delle quali è allegata alla relazione finale in forma di proposta, rappresentano indicazioni per una prossima commissione oppure si realizzeranno prima di allora?
Mi riferisco all’accenno contenuto nella relazione rispetto al fatto che l’uranio impoverito ha effetti indiretti sulla patologia, e che dal punto di vista giuridico potrebbero diventare addirittura diretti. Nelle parti che possono servire al contingente militare, la relazione contiene una serie di indicazioni sufficienti per rafforzare le iniziative legali in corso e a quelle che si stanno aprendo legate ai malati e ai familiari dei militari deceduti. Cioè, in essa sono indicate nero su bianco delle indicazioni per rivendicare risarcimenti e garantire protezione e tutela a chi la richiede. Sia gli avvocati che stanno seguendo il personale militare, sia i magistrati, in particolare il magistrato Raffaele Guariniello (procuratore aggiunto di Torino) stanno lavorando su questo terreno.
Abbiamo fin qui parlato di due piani di lavoro, quello istituzionale/parlamentare e quello di coloro che hanno lavorato in qualità di consulenti della commissione. Anche se non va mai dimenticato il terzo livello, che personalmente ritengo fondamentale, cioè quello della mobilitazione delle associazioni, delle persone, delle popolazioni che abitano intorno alle basi in Sardegna, ma anche i contatti diretti che ci sono con i teatri di guerra, importantissimi per mantenere l’attenzione sull’argomento.
Ma torniamo ai consulenti. Essi rimangono in contatto con alcuni di noi parlamentari e sebbene non ci sia più la commissione si continua a fare ricerca direttamente, in qualità di singoli cittadini e rappresentanti di istituzioni diverse da una commissione. Quindi anche nei mesi che ci separano da una nuova commissione, potrà esserci una continuità di attività che permetterà alla futura commissione di riprendere sperimentazioni già in corso.
Rispetto alla nuova commissione sarà importante definire bene gli obbiettivi, quindi non solo l’inserimento della popolazione civile come ambito di ricerca, ma anche aprire lo scenario dei teatri di guerra successivi ai Balcani. Ad esempio, sappiamo che ci sono già dei malati che tornano dall’Iraq. Ma anche la questione dei poligoni di tiro in Italia, le modalità di stoccaggio dell’uranio impoverito, facendo indagini più pregnanti e a tutto campo.
Ha nominato la questione dei civili. A fine novembre 2005, in prossimità della pubblicazione della relazione finale della Commissione d’inchiesta bosniaca sul caso DU, siete stati in missione nei Balcani. Avete incontrato la Presidente della Commissione – Jelena Durkovic, oltre ai contingenti militari italiani di stanza in Bosnia Erzegovina e Kosovo. Quali sono stati i risultati dell’incontro?
L’incontro da parte nostra era doveroso perché non era possibile fare un’inchiesta sulle conseguenze dell’uso dell’uranio impoverito senza avere nemmeno un contatto formale con la realtà dei Balcani, sia con il contingente militare in Bosnia e in Kosovo, sia con i parlamentari della commissione di Bosnia Erzegovina.
La missione è durata un giorno e mezzo e dunque si è trattato di un primo contatto, che aveva l’obiettivo di sottolineare che questa è una realtà fondamentale, centrale per continuare l’inchiesta. La conoscenza e lo scambio con coloro che hanno lavorato come noi a livello istituzionale, ma anche con i medici, gli ospedali, tuttele realtà della comunità locale, avrebbe richiesto un maggior livello di apprfondimento.
Nel caso si aprirà con una nuova commissione il campo di ricerca sulle popolazioni, noi saremo in grado di interloquire con coloro che possiamo dire di avere già incontrato. L’incontro di novembre rappresenta dunque una traccia di lavoro che potrà dare i suoi frutti solo in una seconda fase. Inoltre, considerando la difficoltà di reperire statistiche prima, durante, e dopo i bombardamenti sia a causa di massicci esodi della popolazione sia della distruzione degli archivi, mi auguro che l’Italia possa in futuro dare delle risorse affinché i paesi dei Balcani producano quelle importanti evidenze statistiche che oggi hanno difficoltà a raccogliere.