Uno sguardo sulla crisi jugoslava

Un progetto per raccogliere, archiviare e pubblicare fonti storiche relative alla dissoluzione della ex Jugoslavia. Per stimolare il dibattito pubblico su una storia ancora recente, e sulla quale la storiografia spesso soffre di "amnesie selettive". Un’intervista

02/01/2012, Ana Ljubojević -

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La dissoluzione jugoslava - Livio Senigalliesi

L’Istituto di Storia Contemporanea insieme al Centro per il Diritto Umanitario, entrambe organizzazioni con sede a Belgrado, hanno avviato nel 2010 un progetto intitolato “Jugoslovenska kriza” (La crisi jugoslava) che ha come scopo la localizzazione, l’archiviazione e l’edizione critica dei più importanti documenti associati alla dissoluzione dello Stato jugoslavo. Abbiamo intervistato Vladimir Petrović, ricercatore all’Istituto di Storia Contemporanea di Belgrado.

Sino ad ora nel quadro del progetto “La crisi jugoslava” sono stati pubblicati tre libri: “La Bosnia Erzegovina durante la dissoluzione della SFRJ” (curato da  Kosta Nikolić), “Le élite politiche serbe e il piano Vance-Owen. I e II” (curato da Vladimir Petrović) e “Dalla pace alla guerra. Documenti della presidenza della SFRJ del 1991” (curato da Kosta Nikolić e Vladimir Petrović). Quale il motivo alla base di queste pubblicazioni?

Abbiamo presentato e distribuito questi volumi con lo scopo di incentivare un dibattito pubblico, basato su fatti provati, sulle caratteristiche delle guerre nell’ex Jugoslavia. Al momento stiamo lavorando alla divulgazione in internet del materiale raccolto.

Nel 2012 vorremmo proporre altri titoli: “La Presidenza SFRJ, dalla pace alla guerra. I, II, II, IV”, “La Presidenza SFRJ e il piano di Vance”, “Le élites politiche serbe” e “La conferenza di Londra”. Questi libri “coprirebbero” il periodo dall’inizio del 1991 alla metà del 1993, anno in cui è stato istituito il Tribunale dell’Aja per i crimini nella ex Jugoslavia (TPIJ).

Le pubblicazioni di storia contemporanea hanno un ruolo importante per fare i conti con il passato…

E’ importante occuparsi della nostra storia recente, e soprattutto documentare le violazioni sistematiche dei diritti umani avvenute durante le guerre dell’ex Jugoslavia. E’ anche importante fare ricerca sui fatti che a lungo sono stati nascosti o marginalizzati nel discorso pubblico.Le nuove pubblicazioni, e i dibattiti che esse susciteranno, hanno proprio lo scopo di impedire per sempre la negazione dei crimini di guerra e di conseguenza favorire la stabilizzazione e il miglioramento dei processi legati al confronto con un passato difficile.

Ritiene che in Serbia vi sia un’analisi “selettiva” rispetto ai crimini di guerra?

Ci sono pochi Paesi che volontariamente, in modo totale, veloce e profondo, si sono sforzati di chiarire i crimini commessi nel nome dello Stato. In Serbia, i risultati del processo di confronto con il passato, sebbene non impressionanti, sarebbero stati ancora più deboli senza una pressione esterna.

Di conseguenza, i migliori risultati si sono visti nell’ambito della cooperazione con il TPIJ, mentre altre dimensioni della giustizia transizionale sono state trascurate. D’altro canto solo una profonda trasformazione della società post-conflittuale può garantire risultati stabili. Il processo della gestione del passato dev’essere infatti reso interno e non lasciato “scivolare” sulla superficie. I processi giuridici per i crimini di guerra sono solo la condizione necessaria, non quella sufficiente affinché questo avvenga.

Recentemente lei ha preso parte ad un progetto dell’OSCE titolato “Justice and War Crimes”…

Il progetto è stato promosso per rafforzare le capacità del sistema giudiziario di gestire i crimini di guerra, offrendo alle corti e alla Procura serba la consulenza di circa venti collaboratori. Oltre a giuristi, vi hanno preso parte anche storici, giornalisti e sociologi, mostrando così un approccio multidisciplinare.

Attualmente i processi giudiziari rappresentano il meccanismo principale della giustizia transizionale. Qual è la prospettiva futura per altre forme di giustizia transizionale?

Teoricamente, nella regione dei Balcani occidentali esistono molti meccanismi non-giudiziari della giustizia transizionale. Sono state approvate varie leggi sulla lustrazione e in più sono state create alcune commissioni per stabilire i fatti accaduti durante la guerra. Purtroppo, queste leggi avevano lo scopo di “chiudere il discorso” sui crimini di guerra e di far passare sotto silenzio le voci critiche. Inoltre occorre considerare la forte frammentazione politica dello spazio pubblico jugoslavo. Per questa ragione le iniziative transnazionali sono di particolare importanza. Sottolineerei tra tutte l’iniziativa Rekom, mirata a creare una commissione regionale dedicata a stabilire i fatti delle ultime guerre jugoslave.

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