Unione europea: il crollo
Viviamo giorni drammatici, che ricordano i tempi del 1989, quando tutto cambiò con estrema rapidità. E vi sono inquietanti similitudini con il crollo della Jugoslavia. Un commento
La sensazione di essere arrivati al capolinea oramai è netta. Le cose corrono veloci. Non accadevano con tanta rapidità dal 1989, quando a crollare era stato il muro di Berlino. Troppo inquietanti le similitudini con la caduta di un altro impero, quello jugoslavo, per evocarle. Ma l’inefficienza delle istituzioni europee, l’incapacità di prendere decisioni rapide e di gestire la crisi fanno tirare un sin troppo facile parallelo con la presidenza collegiale e il governo della federazione jugoslava.
Voglia di muri
Intanto, non senza un certo entusiasmo e con un ampio consenso popolare, cresce in tutto il continente la voglia di sicurezza e di barriere protettive. Chiudersi per difendersi da immani pericoli che potrebbero sconvolgere per sempre la tranquilla vita di ogni giorno. Una nuova cortina di ferro sta nascendo e si fa strada la consapevolezza che se il filo spinato dovesse essere sostituito da una struttura di cemento armato con tanto di torrette di guardia, nessuno si lamenterebbe più di tanto.
Se solo un anno fa qualcuno avesse ipotizzato che un reticolo sarebbe stato eretto ai confini o che sarebbero stati ripristinati i controlli di frontiera tra i paesi dell’Unione, sarebbe stato preso per pazzo. Oppure nessuno avrebbe potuto credere che governi democratici avrebbero preso seriamente in considerazione l’ipotesi di sequestrare i beni dei profughi per pagare le loro spese di mantenimento.
Sta arrivando l’inverno
L’inverno sta arrivando. I primi a capirlo sono stati gli ungheresi che hanno subito voluto giocare il ruolo dei grandi Protettori del Nord. Era chiaro che la Barriera doveva essere difesa dall’assalto dei profughi che minacciavano le antiche tradizioni. Dovevano proteggere se stessi e anche l’Europa dal pericolo. In Ungheria, già a giugno, una campagna governativa invitava i migranti a rispettare la cultura locale e a non rubare posti di lavoro ai residenti.
Pochi avevano pensato che si sarebbe necessariamente dovuto arrivare ad una nuova sintesi, che l’est avrebbe certamente fatto sentire il suo peso a livello comunitario
Nessuno voleva restare lì, ma il paese si sentiva sotto attacco. A essere messa a rischio era l’omogeneità culturale della nazione. Parlava Orban, ma esprimeva le paure di tutta l’Europa di mezzo. Da Varsavia a Lubiana era chiaro che non si sarebbero aperte le porte ai rifugiati e che ci si sarebbe difesi da loro e anche da Bruxelles, che avrebbe voluto ripartire quote di migranti in tutti i paesi dell’Unione. Prendere tutte quelle persone, invitarli addirittura a casa propria, a molti appariva un’idiozia colossale.
I fallimenti del 1989
Con una certa faciloneria, nel 1989, si pensava che con il crollo del comunismo il vecchio continente si sarebbe presto uniformato e che sarebbe diventato un tutt’uno. Bruxelles, affaccendata a conquistare nuovi mercati, non è sembrata accorgersi che ci si stava allargando ad un mondo che si conosceva poco e di cui non si aveva troppa voglia di occuparsi. Nei comodi salotti belgi, lontani dalle nuove frontiere d’Europa, si pensava che tutto sarebbe stato come prima e che i nuovi venuti non avrebbero cambiato più di tanto l’Unione. Nell’Est ci si era illusi che presto si sarebbero raggiunti i livelli di vita dell’Ovest, più che di democrazia e di libertà si sognavano automobili di grossa cilindrata ed altri beni materiali che durante il comunismo erano stati negati. Alla fine tutti si erano illusi.
Pochi avevano pensato che si sarebbe necessariamente dovuto arrivare ad una nuova sintesi, che l’est avrebbe certamente fatto sentire il suo peso a livello comunitario. Per l’Europa dell’est, oggi, non si tratta solo di difendersi dai migranti, ma anche dal multiculturalismo occidentale, un modello percepito, oramai, come fallimentare. Da oriente si guarda con orrore ad un Ovest nazionalmente annacquato, privo di sufficiente patriottismo per salvarsi dall’assedio di orde di stranieri che lo stanno cambiando inesorabilmente. Uno scenario questo che si vuole evitare ad ogni costo. Da questo punto vista chiudere le porte ai profughi che, secondo le convenzioni internazionali avrebbero diritto d’asilo, appare un gioco da ragazzi e le ragioni per farlo sembrano ovvie.
Democrature
L’instaurazione ad est di una serie di “democrature”, che antepongono quelli che vengono percepiti come fondamentali interessi nazionali a quelli che sono i diritti individuali appare la risposta più adatta ed anche l’unica soluzione. I veri nemici sono i liberali e tutti quelli che, senza il necessario amor patrio, vorrebbero far assumere alla nazione comportamenti e modelli di vita assolutamente estranei. I cittadini sembrano aver nostalgia di figure forti, capaci di indicare la rotta e la soluzione dei problemi. Gente senza peli sulla lingua, in grado di far sentire la propria voce a Bruxelles, molto diversa dalle ubbidienti figure che avevano condotto questi paesi sulla strada delle integrazioni europee.
Quello che appare evidente è che l’est Europa è ben intenzionato a difendere i suoi valori, la sua cultura, le sue tradizioni e la sua compattezza etnica. Principi questi non negoziabili e che non avranno difficoltà ad essere anteposti anche a quelli economici. Non sarebbe la prima volta che ciò accade.
Al momento della dissoluzione della Jugoslavia, l’occidente cercò di salvare la federazione inondando di aiuti il pericolante governo federale. Si pensava di creare una logica convenienza nello stare assieme. Non si capì che i crescenti nazionalismi non potevano essere frenati dai quattrini. Non è escluso che la storia possa ripetersi.
Il muro immaginario che corre tra Stettino e Trieste dalla sua caduta non era stato così alto. Per la prima volta i paesi della nuova Europa stanno dicendo all’Occidente di non voler seguire la sua strada e anche in Occidente c’è chi crede che la strada percorsa sia quella sbagliata. Lo si percepisce chiaramente dalla periferie dell’impero. Ogni giorno che passa il processo sembra diventare sempre più irreversibile. In un clima di crescenti paure una nuova età dei nazionalismi sembra essere alle porte.