Un’attesa lunga 13 anni
Le reazioni all’arresto di Karadžić in Bosnia Erzegovina. Il punto di vista delle vittime, la posizione dei politici e della società civile. L’attesa della giustizia e la preoccupazione per il futuro del Paese, nostro resoconto
"Non potevo crederci. Gli amici hanno cominciato a chiamarmi e mandarmi messaggi, poi non sono riuscita a dormire tutta la notte. Certo che sono soddisfatta, significa che la giustizia esiste. Adesso può iniziare il futuro per la Bosnia Erzegovina". Jasmila Zbanic è una giovane regista di Sarajevo. Il suo film "Grbavica" (Il segreto di Esma), sulle donne vittime di stupro etnico durante le guerre degli anni ’90, le è valso l’Orso d’oro al Festival di Berlino 2006. Ora sta lavorando ad un nuovo film, "Na putu" (Sulla strada), una storia d’amore ambientata nella Sarajevo odierna ancora alle prese con un conflitto terminato 13 fa. "Per me questo è un messaggio diretto ai fascisti, non è possibile massacrare e stuprare come hanno fatto loro e poi farla franca. Prima di questo arresto non era così chiaro, e ci sono ancora troppi criminali che camminano liberamente per le strade. Ma questo finalmente è un messaggio di incoraggiamento per le vittime".
Già, le vittime. Come hanno accolto la notizia dell’arresto? Hajra Catic, rappresentante dell’associazione "Zene Srebrenice" (Donne di Srebrenica), raggiunta telefonicamente a Tuzla ha dichiarato ad Osservatorio sui Balcani che: "Abbiamo aspettato questo momento per 13 anni. Certo, l’arresto di Karadžić non ci restituirà i nostri figli, ma è importante che vada di fronte alla giustizia. Anche se mi chiedo perché lo abbiano arrestato solo ora, sapevano dov’era per tutto questo tempo. Speriamo solo che a questo punto arrivi presto all’Aja anche Mladic".
L’ingegnere Sead Jakupovic, invece, è uno dei sopravvissuti alla detenzione nel campo di concentramento di Omarska, presso Prijedor. Come ogni anno si sta preparando per la cerimonia di commemorazione che ricorderà, il 6 e 7 agosto prossimi, la chiusura del campo, avvenuta nel 1992 dopo circa 4 mesi di orrore. Anche lui ora sta pensando a Mladic: "Questo arresto significa che in Serbia è cambiato qualcosa, e questo sicuramente avrà conseguenze anche sulla situazione qui, in Bosnia Erzegovina. Certo, siamo felici, anche se poteva succedere molto prima. Ci auguriamo solo che presto anche Mladic venga condotto di fronte ai giudici".
Mirsad Tokaca è il direttore del Centro per la Ricerca e la Documentazione di Sarajevo. La sua organizzazione ha realizzato in anni di lavoro un imponente archivio digitale sulla guerra bosniaca, che ha permesso di definire l’identità e il numero delle circa 100.000 vittime del conflitto, interrompendo le manipolazioni dei numeri (che arrivavano fino a 2-300.000 morti per il periodo ’92-’95). "Naturalmente è una buona notizia. Ma non basta arrestare Karadžić e Mladic, occorre eliminare le conseguenze delle loro azioni, la separazione etnica, la divisione territoriale. Credo che il processo a Karadžić sarà molto importante, emergeranno nuove prove sui crimini da loro commessi, ma questo non basta. C’è ancora un lungo percorso di fronte a noi".
Il Centro per l’Azione Nonviolenta (CNA) lavora da anni a Sarajevo e Belgrado promuovendo la cultura della pace e del dialogo, organizzando tra l’altro incontri tra veterani di guerra di opposte fazioni. Secondo Nedzad Horozovic, che lavora per il CNA a Sarajevo, "si tratta di un evento eccezionale, ma solo da un punto di vista simbolico. Karadžić rappresenta l’ideologia serba che ha portato alle guerre degli anni ’90, e il suo arresto sta a significare che niente è intoccabile e sacro. Questo è molto importante per l’opinione pubblica non solo qui in Bosnia Erzegovina ma anche nel resto della regione. Però restiamo a livello dei simboli, dal punto di vista politico non credo che cambierà molto".
Intanto, mentre sui portali delle principali agenzie cominciano a scorrere le immagini surreali del "medico omeopata" Radovan Karadžić/Dragan Dabić, presentate in conferenza stampa a Belgrado dal presidente del Consiglio Nazionale di Cooperazione con l’Aja Rasim Ljajić e dal procuratore Vladimir Vukčević, a Sarajevo i media locali si concentrano sulle reazioni dei principali politici.
Secondo l’Alto Rappresentante della comunità internazionale in Bosnia Erzegovina, Miroslav Lajčak, "l’arresto di oggi mostra che la giustizia raggiunge tutti".
Haris Silajdžić, uno dei tre rappresentanti della presidenza bosniaca, ha invece dichiarato di essere "molto contento per il fatto che il governo serbo e il presidente Tadić abbiano trovato il coraggio per compiere questo passo".
Secondo il presidente del partito socialdemocratico, Zlatko Lagumdžija, l’arresto di Karadžić mostra che "quando uno Stato vuole fare qualcosa, lo può fare".
Singolare la posizione di Milorad Dodik, premier della Republika Srpska (RS), l’entità serba della Bosnia Erzegovina, che ha dichiarato che la cattura di Radovan Karadžić pone fine alle pressioni che da anni vengono condotte nei confronti della RS, e che "la responsabilità di Karadžić è una responsabilità personale".
La Bosnia Erzegovina di oggi assomiglia troppo da vicino all’immagine che avevano in mente Karadžić e i suoi accoliti. Forse l’espressione più evidente della divisione in cui versa il Paese è stata la mini inchiesta condotta rapidamente dalla televisione di Stato BHT nelle ore immediatamente successive all’arresto. Cameraman e giornalista giravano per le strade di Sarajevo e Banja Luka, mostrando l’atteggiamento diametralmente opposto degli abitanti di queste due città nei confronti dell’arresto.
Dopo aver mostrato alcune centinaia di sarajevesi che avevano già cominciato le celebrazioni a notte fonda e sotto la pioggia, la televisione mostrava un tassista di Banja Luka che dichiarava che "solo i serbi finiscono all’Aja", mentre un altro passante ricordava che "Radovan è l’eroe che ha creato la Republika Srpska".
Conclusasi la tetra latitanza del dottor Karadžić, c’è solo da augurarsi che l’elaborazione del passato recente di questo Paese non resti circoscritta alle aule dei Tribunali.