Un’antropologia dell’identità alla Biennale di Venezia

Intervista a Huseyin Caglayan, rappresentante della Turchia alla Biennale di Venezia, presente con un video sperimentale su antropologia, geografia, identità. Un film che per l’artista turco-cipriota rappresenta il "frutto di anni di lavoro"

24/06/2005, Redazione -

Un-antropologia-dell-identita-alla-Biennale-di-Venezia

Huseyin Caglayan

Di Mujde Yazici, Radikal, 11 giugno 2005
Traduzione per Osservatorio sui Balcani: Fabio Salomoni

Huseyn Caglayan ha sudato freddo a Venezia. Dopo aver incontrato alcuni piccoli problemi tecnici durante la presentazione alla stampa del suo video nel Padiglione della Turchia, è riuscito a presentare una copia "pulita" all’inaugurazione ufficiale. Poi è riuscito anche a portare a termine il suo "dovere nazionale" presentando al ministro Kursad Tuzmen l’attrice Tilda Swinton, protagonista del video. Al cocktail ha partecipato un’altro nome importante del panorama artistico internazionale, anch’esso di origine turco cipriota, Tracey Emin, presenze che hanno suscitato una grande curiosità nella stampa straniera.

Abbiamo parlato con Huseyn Caglayan nel palazzo della Fondazione Levi, sul Canal Grande, dove è possibile vedere il video dell’artista.

Lei rappresenta da solo la Turchia. Che tipo di responsabilità è?

Sinceramente all’inizio non mi vedevo come qualcuno che potesse rappresentare il Padiglione nazionale, non mi sono mai pensato così. Quando mi è arrivata questa proposta, mi ha fatto molto felice

Da chi le è arrivata la proposta?

Dalla signora Beral Madra, dall’ex ministro della Culura Erkan Mumcu e dalla signora Sule Soysal, rappresentante del Ministero degli Esteri. La signora Madra ha fatto il mio nome e gli altri hanno accettato. Anche il gallerista Murat Pilevneli ha avuto un ruolo importante, l’organizzatore del progetto è lui. Con la banca Garanti avevo avuto rapporti di lavoro in passato. Sono stati loro a far avanzare il progetto e garantire la sponsorizzazione. "Turquality" era stato il mio sponsor in lavori precedenti, ho proposto a loro di sponsorizzare anche questo progetto ed hanno accettato. E’ in questo modo che il progetto si è lentamente concretizzato. E’ stato un periodo lungo e faticoso ma anche molto emozionante. Per me era un’esperienza importante, per la prima volta ho fatto un film del genere. In passato ho girato altri film ma questo ha una dimensione molto diversa.

"La presenza assente" è allo stesso tempo un film che racconta una storia ed anche qualcosa di più sperimentale. Qual è l’ispirazione che lo ha prodotto?

Io mi interesso di cose come la geografia, l’antropologia e l’identità. E’ il riassunto di anni di lavoro. Per me il poter fare qui un lavoro simile è un lusso, un lusso perché fare qualcosa nel Padiglione turco è molto difficile.
Quando faccio del design penso sempre a cose che sono in movimento. Quando disegno degli abiti anche. Afferro l’attimo dalla vita e creo una storia. Poi da soli questi abiti formano una collezione. Probabilmente sono uno che racconta bene delle storie. In realtà racconto della favole pensando alla vita contemporanea. Per questo, come ha detto lei, il lavoro finale finisce per raccontare una storia ed anche per essere un’opera sperimentale . Nonostante contenga il mio modo di guardare le cose, anche l’equipe è importante. Questo tipo di lavori si sviluppano nel tempo, sono il risultato di anni di interesse per questo genere di cose. Quando si guarda agli altri miei lavori è possibile cogliere un collegamento. Ho fatto lavori con una prospettiva socio-politica, lavori che avevano a che fare con i pregiudizi oppure con ciò che non si conosce. A volte poi ho affrontato argomenti simili da punti di vista diversi.

Nel film manca completamente una prospettiva "orientalista". E’ stata una scelta?

Sono molto cauto verso lo sguardo orientalista, ma in questo video non me ne sono preoccupato molto. In realtà non voglio utilizzare questa cautela come materiale per le mie opere perché credo si tratti di una trappola, una trappola che ci siamo preparati da soli. Credo che questa cautela diventi un punto di vista troppo netto. Sono le idee quelle che attirano la mia attenzione. Io non mi presento mai con l’identità di turco che vive in un altro luogo. Io sono turco ma non ritengo affatto che il mio lavoro debba avere a che fare con l’essere turco oppure con la Turchia. Certo in Turchia ci sono abbastanza problemi, ci sono parecchie cose che si devono discutere ma lo si dovrebbe fare in modo più sottile, più defilato. Quello che mi interessa non è produrre commenti, ma piuttosto creare un punto di vista, perché quando cadete nel commento finite per diventare i rappresentanti di una qualche idea oppure finite per mettervi in opposizione a qualcosa. A me sembra inutile essere il rappresentante di qualcosa in questo modo, mi sembra che si possa produrre molto più senso evitando di affrontare molti degli argomenti più seri.

Lei è anche uno stilista. Tempo fa ha dichiarato che gli stilisti non si danno la pena di occuparsi dei problemi del mondo. E’ possibile dire di lei che "cerca di alimentare il desiderio di produrre pensiero con l’arte?"

Sì, questo progetto mi aiuta a comprendere il mondo.

Le due cose si sostengono a vicenda?

Senza dubbio, camminano insieme e si influenzano reciprocamente. Avrei potuto trasformare "La presenza assente" in una collezione d’abiti, l’ho già fatto con un mio lavoro precedente che aveva a che fare con il DNA, l’ho trasformato in una collezione. Credo che questi due aspetti siano strettamente legati fra loro e costituiscano due parti di uno stesso modo di guardare le cose.

Lei in precedenza ha partecipato alla Biennale di Istanbul. Ora è a Venezia. Secondo lei quale posto occupa la Biennale di Istanbul nel panorama artistico mondiale?

Per me la Biennale deve avere una relazione con la città in cui si tiene ed è anche molto importante la posizione che un artista occupa all’interno di quella città. Le biennali secondo me dovrebbero essere legate ad una città, perché nel contempo la biennale coincide anche con il turismo, è una forma di turismo, il turismo d’arte. Quelli che vengono per la biennale allo stesso tempo visitano anche Istanbul, lo stesso vale per Venezia. La Biennale per me è una manifestazione sociale e culturale in senso ampio. Avete modo di vedere la città ed anche molte opere d’arte. Aver la possibilità di partecipare ad una manifestazione di questo genere è in realtà un lusso. Purtroppo i miei impegni non mi permettono di vedere Istanbul e neanche tutte le altre biennali. Credo però che la biennale non sia semplicemente una manifestazione artistica, è piuttosto l’ambiente nel suo insieme che vi trasmette qualcosa, è un esperienza più completa. Senza dubbio per Istanbul la Biennale è una manifestazione molto importante.

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