Una strada per l’orso. L’Europa sudorientale e i corridoi ecologici
Disboscamento, urbanizzazione e crisi climatica frammentano gli habitat dei grandi carnivori. Una serie di progetti europei lavora per tutelarli. Favorendo, insieme alla biodiversità, una coesistenza pacifica

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Orsi in Romania, progetto Coop4Safe - © Matei Plesa
Piantare arbusti da frutto per gli orsi, rimuovere specie invasive dai pascoli alpini, preservare una rete silenziosa di boschi che collega i Carpazi al Mediterraneo: sono alcune delle azioni previste da una serie di progetti europei (tra cui Forest Connect , il più ambizioso) per rafforzare i corridoi ecologici che permettono a lupi, orsi e linci di spostarsi liberamente evitando le aree antropizzate.
Connessioni perdute
Teatro di fitte foreste e aspre distese rocciose, le montagne dell’Europa sudorientale hanno offerto per secoli rifugio a orsi, lupi e linci, mantenendo condizioni favorevoli anche quando questi animali scomparivano dall’Europa occidentale. Oggi ospitano le popolazioni più numerose del continente. Se gli habitat principali sono in gran parte protetti, non lo sono altrettanto i corridoi ecologici, fondamentali per gli spostamenti legati all’alimentazione e alla riproduzione.
La loro crisi è causata dall’espansione urbana e infrastrutturale in aree chiave, dalla deforestazione – spesso illegale, soprattutto in Romania – e dagli effetti del cambiamento climatico, che riduce le risorse alimentari e alimenta incendi sempre più distruttivi. A peggiorare la situazione, un turismo escursionistico in forte espansione e spesso privo di regole, che invade anche le zone più selvagge di Carpazi e Balcani.
"La frammentazione degli habitat è il fattore chiave della perdita di biodiversità in tutto il mondo, e lo è anche qui”, spiega Christian-Remus Papp, coordinatore nazionale per la fauna selvatica al WWF Romania, indicando gli abeti che incombono appena oltre le case di Băile Tușnad , villaggio ungherese-romeno incastonato nei Carpazi, in punto chiave di un corridoio ecologico, dove si sperimenta da anni la coesistenza tra comunità umane e orsi, attraverso monitoraggi, soluzioni tecnologiche e coinvolgimento della comunità.
Quando le specie non possono più spostarsi per cercare cibo e tranquillità o riprodursi, aggiunge lo studioso, finiscono per ridursi a popolazioni isolate e fragili, sia per il numero esiguo sia per la scarsa diversità genetica, che nel lungo termine ne compromette la risposta allo stress ambientale e alle malattie. L’equilibrio degli ecosistemi ne risente: meno carnivori significa foreste meno stabili e funzionali.
La frammentazione, prosegue Papp, è anche una delle maggiori cause del conflitto: privati di alternative, lupi e orsi finiscono spesso per avvicinarsi a villaggi e centri abitati in cerca di rifiuti, arnie, frutteti. Talvolta, attratti da comportamenti irresponsabili – come dar loro cibo per fotografarli – si spingono sempre più vicino alle persone, e finiscono per abituarsi alla loro presenza, con tutti i rischi che questo comporta “È semplice: se non creiamo le condizioni perché trovino bacche e prede nei boschi, si avvicineranno ai centri abitati”, ribadisce Papp.
La mappa della connettività
La necessità di proteggere i corridoi ecologici è nota da decenni, e le risposte efficaci sono arrivate soprattutto attraverso progetti internazionali, in gran parte nell’ambito di progetti europei come i programmi Interreg e della Convenzione dei Carpazi. Dal 2004, iniziative come Transgreen e Connect Green hanno mappato le sovrapposizioni tra “infrastrutture grigie” e “aree verdi”, producendo dati fondamentali e strumenti pratici come app per segnalare animali investiti su strada, mentre il successivo Save Green ha sviluppato una metodologia d’azione attraverso il confronto con attori locali. È nata così una mappa interattive dei corridoi dell’intera eco-regione dei Carpazi .
Le aree favorevoli ai carnivori, segnate in verde, corrispondono all’ossatura della catena montuosa, e le zone “di collegamento”, più o meno strette, in giallo. Segnate in rosso, le regioni dove i punti critici sono più sottili e frequenti. Si concentrano nella parte centro-occidentale della Romania e in Slovacchia, al confine con Ungheria e Repubblica Ceca.
Uno di questi nodi, a sudovest di Brașov, è tra le zone con più alta densità di orsi in Europa. Non è un caso se qui, e in Slovacchia, si sono verificati incidenti anche mortali, come l’attacco recente a un motociclista italiano sulla strada Transfăgărășan.
Forest Connect: oltre i Carpazi
Lanciato nel 2023 e attivo fino al 2026, Forest Connect (parte del programma Interreg Danube, con un budget di 2,9 milioni) raccoglie l’eredità dei progetti precedenti con un respiro più ampio: si estende oltre i Carpazi per raggiungere le Alpi Dinariche, coinvolgendo paesi come Montenegro e Serbia, oltre Ucraina, Bulgaria, Romania e Slovacchia.
A livello concettuale, per Papp, la novità è che Forest Connect “considera anche gli scenari in funzione del cambiamento climatico, modellando la distribuzione futura di foreste e habitat in tre diversi scenari, spingendosi fino al 2100, secondo diversi scenari climatici e tre orizzonti temporali: 2050, 2075, e 2100”.
Ogni paese, aggiunge Aleksandra Ugarković di WWF Adria, coordinatrice del progetto, svolge compiti diversi, anche in base alle differenti esperienze e condizioni ma in modo coordinato. “Serbia e Bulgaria, come la Romania, sono particolarmente coinvolte nella piantumazione di alberelli in aree pilota sulla Stara Planina. In Montenegro, in questo momento il progetto sta seguendo due orsi radiocollarati, e ha disposto una rete di fototrappole per tracciarne percorsi e abitudini. Ucraina e Slovacchia, invece, rappresentano un’importante dati per l’habitat delle linci che lì abbondano a differenza delle altre aree di progetto”.
Un gemello digitale
A sorreggere il progetto c’è una robusta ossatura di studi scientifici e applicazioni tecnologiche. Il più innovativo è il “Digital twin”, una rappresentazione virtuale dei sistemi ecologici, basato su dati reali e su modelli predittivi basati sull’intelligenza artificiale. Un “gemello digitale” sviluppato da Anna Davison (università di Wageningen) e Melanie Arp dell’ong olandese Sensing Clues è stata già realizzata a Băile Tușnad, nell’ambito di una serie di iniziative volute dal comune che in pochi anni ha quasi azzerato i danni causati dagli orsi in città.
“Lo soprannominiamo bear radar. Grazie ai dati raccolti con radiocollari e fototrappole, abbiamo costruito un modello capace di individuare nello spazio e nel tempo le aree a rischio, creando ‘barriere virtuali’: quando un orso le oltrepassa, scatta l’allarme", spiega.
Con Forest Connect, quell’esperienza si amplia: i dati sugli spostamenti degli orsi si incrociano con la mappatura degli ostacoli ai corridoi ecologici e con scenari climatici futuri. L’obiettivo è guidare le azioni di protezione, anche identificando “rifugi climatici” destinati a restare stabili nel tempo.
Piantare alberi, prevenire i conflitti
Con la popolazione di orsi più numerosa d’Europa, la Romania è il cuore del progetto. Oltre al “digital twin”, il WWF locale – spiega Ioana Ismail, responsabile rumena del progetto – sta conducendo interventi pilota nei “colli di bottiglia” nella contea di Maramureș, nei pressi di Strâmbu-Băiuț, al confine con l’Ucraina, e sui monti Apuseni nel settore occidentale del paese.
“Sono stati piantati arbusti da frutto selvatici e rimosse specie aliene dannose. Le nuove piante, come il biancospino, favoriscono sia la fauna selvatica che le greggi degli allevatori”.
Progetti transnazionali hanno bisogno anche di applicazioni in regione più circoscritte. Nella regione storica di Maramureș, tra la Romania settentrionale e la Transcarpazia ucraina, e le contee rumene Satu Mare e Suceava, al confine tra Romania, e i lembi più orientali della Slovacchia, è in corso un altro progetto Interreg, Coop4Safe .
A differenza di Forest Connect, è più orientato ai rapporti con il territorio e alla riduzione del conflitto, pur mantenendo la connettività ecologica al centro delle sue attività. Con un budget di 832 mila euro e la collaborazione di associazioni e amministrazioni delle aree protette coinvolte nei tre paesi, il progetto punta a sviluppare un sistema di monitoraggio della biodiversità, promuovere soluzioni basate sulla natura e attivare percorsi condivisi per coinvolgere le comunità locali.
“Il progetto si articola su tre livelli”, spiega Alexandra Verdes di WWF Romania, responsabile del progetto. “In primo luogo vogliamo sviluppare un sistema di raccolta e monitoraggio dei dati, tanto per la valutazione della biodiversità che dei conflitti uomo-fauna selvatica.
In base a questo vogliamo promuovere soluzioni basate sulla natura per il ripristino degli habitat e la connettività ecologica, e infine vogliamo sviluppare strumenti per la prevenzione dei conflitti, comprese attività divulgative e di citizen science, con app che permettono ai cittadini di contribuire al monitoraggio. Il tutto si inquadra in una "cooperazione transfrontaliera tra le organizzazioni interessate nella zona di confine di Slovacchia, Romania e Ucraina”.
In Romania, aggiunge Alexandra Sallay-Mosoi, responsabile tecnica dell’iniziativa per gli orsi di Băile Tușnad, che ha seguito tutta la conversazione fornendo spunti scientifici e tecnici, “il clima politico a livello nazionale non è più tanto favorevole alla coesistenza , ma l’accettazione rimane forte in molte aree rurali coinvolte nel progetto”. Però nessuno, tra i promotori dei progetti, è sicuro che sarà sempre così. “I conflitti, in qualche misura, ci saranno sempre, bisogna imparare a gestirli”, commenta Ugarković. “Ricordando che quasi sempre sono dovuti a problemi causati da noi umani, compresa la frammentazione degli habitat. E quindi sta a noi risolverli”.
Questo materiale è pubblicato nel contesto del progetto "Cohesion4Climate" cofinanziato dall’Unione europea. L’UE non è in alcun modo responsabile delle informazioni o dei punti di vista espressi nel quadro del progetto; la responsabilità sui contenuti è unicamente di OBCT.
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