Una partigiana slovena nelle carceri del Duce

Audio.doc ha creato una piattaforma on-line on l’obiettivo che divenga un archivio di documentazione sui campi e luoghi di internamento durante il ventennio della dittatura fascista. Tra le storie raccolte anche quella di una giovane partigiana slovena

30/05/2013, Eva Senčar -

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Un estratto delle lettere scambiate presso il carcere di Rovereto - www.campifascisti.it

(Articolo tratto e tradotto dal quotidiano sloveno Delo, pubblicato originariamente il 17 marzo del 2013)

Milenka Pungerčar racconta delle lettere d’amore che l’hanno aiutata a reggere ai giorni passati in carcere. All’inizio parla in modo pacato, quasi disinteressato, poi nei momenti successivi, le emozioni emergono dalla sua voce. Lettere che ha ricevuto mentre era rinchiusa in una prigione italiana durante la Seconda guerra mondiale e che ha poi donato ai curatori di una mostra di lettere partigiane.

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"Dei campi di lavoro e delle prigioni politiche si sa poco – le ha scritto Andrea Giuseppini, attivista di un’organizzazione italiana  – raccogliendo queste lettere si può scrivere una pagina mai scritta nelle ricerche fatte sulla storia del suo popolo fino ad oggi e al quale il regime del Duce aveva tolto la libertà".

Giuseppini dopo aver avuto sotto mano la collezione di queste lettere capì che si trattava di prigionieri politici rinchiusi nel carcere di Rovereto. Chiese quindi a Milenka un incontro. “Per parlarmi dal vivo e sapere com’era la vita nel carcere. Ma cosa mai avrei potuto raccontargli?”, aveva pensato lei.

Raccontare di come, quando aveva sedici anni, avevano vietato di parlare in madrelingua nelle scuole. Di come avevano chiuso la biblioteca e portato via i libri in sloveno e, nei primi giorni di guerra, avevano portato chissà dove i migliori docenti! E poi di come era diventata un’attivista – distribuiva bandierine con su scritto “Tedeschi, tornatevene da dove siete venuti!” – con conseguente denuncia alla polizia. Di come era fuggita in Croazia nel 1942 per poi ritornare a Lubiana con un treno di fuggiaschi. Qui aderì al fronte di liberazione e si trovò davanti alla Corte marziale.

Venne condannata a tredici anni e tre mesi di prigione. La pena sarebbe stata il doppio se – per ironia della sorte – non fosse stata tutelata dalla legge secondo la quale ai minorenni non poteva essere assegnata la stessa pena dei maggiorenni.

Le prigioniere condannate a molti anni di reclusione venivano trasferite nel carcere femminile di Venezia. Si trovò così, nella stessa cella, in compagnia di circa venti prigioniere. Ricorda che con lei erano rinchiuse anche Pepca Kardelj, Vida Tomšič e le sorelle Žagar.

"La vita era dura, anche per una ragione molto semplice: le condannate politiche si ribellavano, non volevano accettare di lavorare perché così avrebbero sostenuto l’esercito che ci aveva invaso. Così, per punizione, ci misero in isolamento, nel buio, tra le zanzare, con una scodella di brodo di nulla al giorno e un pezzo di pane ogni due giorni".

Milenka s’ammalò gravemente. Le compagne di prigione che non erano in isolamento vennero a sapere di come stava male grazie alle comunicazioni che si passavano da muro a muro con l’alfabeto Morse. Sopravvisse solo grazie alla compassione del medico del carcere, il quale minacciò la "superiora" di portarla davanti alla Corte marziale se Milenka non fosse stata immediatamente trasportata al reparto ospedaliero.

La superiora decise di disfarsi di Milenka. La fece trasferire in una prigione più piccola, soltanto per mostrarle cos’era un vero regime carcerario. A Rovereto, in provincia di Trento, fu l’unica incarcerata per motivi politici di tutto il reparto femminile, mentre in quello maschile erano tutti prigionieri provenienti da Lubiana. Questi la notarono durante l’ora d’aria in cortile, attraverso un buco nella rete. Grazie al rapporto di confidenza che avevano costruito con i guardiani, riuscirono a farle avere un pezzo di carta. “C’era scritto che quando io ero nel cortile lui alzava lo sguardo molto di più" racconta Milenka. "E così, iniziai la corrispondenza con Slavko Cvelbar, di soli vent’anni".

"I messaggi venivano messi in una scatola di fiammiferi poi lasciata ogni volta in un luogo differente: sotto una pietra o in qualche altro angolo, oppure nella scarpa mentre era a riparare dal calzolaio. All’inizio rispondevo con riserbo. Lui era giovane, mi faceva una corte spietata e le sue parole erano piene di desiderio… scriveva di come mi immaginava camminare a piedi nudi sulla rugiada dei Gorjanci… Insomma, scriveva di cose in quel momento irraggiungibili", aggiunge Milenka. Assieme alle parole dolci scritte su carta igienica, riceveva anche informazioni sulla situazione al fronte e notizie su quale strada avevano fatto le lettere che non erano state sequestrate.

Il direttore del carcere consegnò le lettere alla moglie del procuratore della provincia di Trento, perché ne controllasse il contenuto. Racconta Milenka: “Nata in Istria, conosceva lo sloveno. Quando vide le lettere volle conoscermi e venne a farmi visita insieme a suo marito. Ai loro occhi sembrai un’ingenua ragazzina. Suscitai la loro compassione. La signora mi difese e disse che quelle lettere erano un’innocua corrispondenza amorosa". Il direttore del carcere a quel punto decise: "L’innamorata potrà scambiare la sua corrispondenza anche legalmente!”.

Così divennero fidanzati ufficiali anche se non si erano mai incontrati. E quell’unica volta che diedero loro la possibilità di incontrarsi, dovettero fare la parte degli innamorati. “L’abbracciai senza guardarlo, nascondendo la testa nell’incavo del suo collo”, ricorda Milenka. Oggi le è rimasto comunque un bel ricordo, grazie al fatto che persino in carcere aveva trovato persone che erano state capaci di costruire un rapporto umano anche con le loro "vittime".

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Milenka tornò a casa, dall’Italia, nel Natale del 1943 e si riunì ai partigiani sino alla liberazione. Finita la guerra raccolse le cartoline e lettere che aveva del periodo della guerra ma non sapendo cosa farne, pubblicò un annuncio al quale rispose il filatelico Veselko Guštin. Quest’ultimo le utilizzò per documentare le vie postali del periodo bellico. Poi allestì a Škofja Loka, grazie alle cartoline e alle lettere ricevute da Milenka Pungerčar, una mostra filatelica a cui Guštin diede un titolo significativo: "Gli sloveni nei campi del Duce". La mostra venne portata in molte città europee e arrivò persino in Cina. Più tardi, il suo contenuto fu uno degli importanti pilastri della mostra nota come "La posta partigiana".

“Per scoprire e conservare gli eventi di un determinato periodo bastano alcuni frammenti significativi del passato. E’ possibile che i francobolli, le buste e le cartoline ci sembrino insignificanti e per questo motivo rischiano di perdersi nelle soffitte o nella spazzatura", afferma Milenka. "Certo, del valore del collezionismo sono più consapevoli gli appassionati e i collezionisti di professione ma forse oggi, di fronte al nostro futuro incerto le cose stanno cambiando”.

“Per sapere dove vogliamo andare e come andare avanti, vale la pena guardare indietro, nel passato, per imparare dall’esperienza – positiva o negativa che sia – e farne tesoro”, conclude il suo racconto Milenka Pungerčar.

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