Una giustizia lontana dalla riconciliazione
Il Tribunale dell’Aja ha contribuito a rafforzare narrazioni concorrenti e contrapposte rivendicazioni di vittimismo etnico. La lezione dell’esperienza sudafricana e l’importanza di strumenti regionali per il confronto con il passato
Il 28 febbraio 2013, la Camera d’Appello del Tribunale dell’Aja ha assolto Momčilo Perišić, ex capo di Stato Maggiore dell’Esercito Popolare Jugoslavo (JNA) che, solo due anni prima, era stato condannato a 27 anni di reclusione. Com’era prevedibile, la sentenza ha provocato reazioni fortemente polarizzate nell’ex Jugoslavia, e in particolare in Bosnia Erzegovina (BiH), mettendo in evidenza ancora una volta che ‘giustizia’ è un concetto controverso per antonomasia. Questo, inoltre, problematizza la tesi ricorrente secondo cui il Tribunale può contribuire alla riconciliazione, amministrando la giustizia e mettendo i criminali di guerra di fronte alle loro responsabilità. Può farlo, quando la giustizia per un gruppo etnico rappresenta l’ingiustizia per un altro, e quando l’appartenenza etnica influenza il modo in cui gli individui reagiscono alle sentenze del Tribunale?Ciò che è emerso con forza da questo dibattito, vivace e molto importante, è una netta prevalenza di punti di vista profondamente scettici sulla capacità del Tribunale di promuovere la riconciliazione. La lontananza del Tribunale dall’ex Jugoslavia, il fatto che abbia perseguito solo un numero relativamente piccolo di criminali di guerra, le immense sfide sottese al promuovere la riconciliazione in società post-belliche, con un investimento solo minimo da parte della politica, sono alcuni dei numerosi fattori che ci impongono di chiederci se è effettivamente realistico che il Tribunale dell’Aja (o qualsiasi altro tribunale penale) possa favorire la riconciliazione. Per citare il giudice Patrick Robinson: “Contribuire alla pace, alla sicurezza e alla riconciliazione, o fornire un senso di giustizia alle vittime e comunità, sono obiettivi ammirevoli ed effetti desiderabili dei procedimenti penali, ma tali obiettivi non possono guidare il lavoro del Tribunale e non sono sotto il suo controllo.”
Verità giudiziarie e verità storiche
Conclusione del dibattito
Con quest’intervento Janine N. Clark tira le somme del dibattito di cui è stata protagonista assieme a Refik Hodžić e dedicato al Tribunale dell’Aja e alla sua eredità
Uno dei lasciti più importanti del Tribunale sarà la ricchezza di fatti che i suoi processi hanno accertato e documentato. Non possiamo pensare, tuttavia, che la semplice esistenza di questi fatti – in forma di archivi del Tribunale, centri di informazione e così via – possa in ultima analisi contribuire alla riconciliazione nel lungo termine. Perché ciò avvenga, le verità giudiziarie devono diventare verità storiche condivise. Questo significa affrontare le narrazioni concorrenti e le contrapposte rivendicazioni etniche di vittimismo che il lavoro del Tribunale ha contribuito a rafforzare. Altri strumenti di giustizia transizionale hanno potenzialmente un importante ruolo da svolgere, per stimolare un dibattito costruttivo sul passato e generare una necessaria consapevolezza e il riconoscimento di sofferenza e perdita tra le etnie.
Recom
Un rinnovato interesse per il modello della verità e riconciliazione – sottolineato, in particolare, dalla formazione della cosiddetta Coalizione RECOM nel 2008 – è quindi da accogliere con favore. Mentre una Commissione per la Verità e la Riconciliazione regionale (TRC), che RECOM sta sostenendo, è eccessivamente ambiziosa, la possibilità di più TRC localizzate dovrebbe essere approfondita, in particolare in paesi come la Bosnia Erzegovina. Una Commissione non deve necessariamente concedere l’amnistia ai responsabili dei crimini; la Commissione sudafricana era unica in questo senso. Una lezione importante che si può cogliere dall’esperienza sudafricana, tuttavia, è che una Commissione è più efficace se il suo lavoro è fortemente pubblicizzato attraverso i media, consentendo alle comunità locali di coinvolgersi pienamente. Questo è un imperativo. La distanza del Tribunale dall’ex Jugoslavia, l’insufficienza dei suoi sforzi di sensibilizzazione e la lunghezza e complessità dei suoi processi hanno prodotto un allontanamento da parte delle popolazioni locali, rendendo così più facile ignorare i risultati del Tribunale, accusarlo di parzialità e persistere nella negazione dei crimini.
Per concludere, è importante sottolineare che non si può fare affidamento esclusivamente sui diversi strumenti di giustizia transizionale per facilitare la riconciliazione. Investimenti economici e la creazione di posti di lavoro sono fattori importanti che possono potenzialmente aiutare questo complesso processo. Durante i miei anni di lavoro sul campo nell’ex Jugoslavia, persone intervistate appartenenti a tutti i gruppi etnici hanno più volte insistito sul fatto che, se tutti potessero avere posti di lavoro e una maggiore sicurezza economica, ciò creerebbe nuove opportunità di contatti inter-etnici e comunicazione, e darebbe alla gente un incentivo per concentrarsi sul futuro, invece di dilungarsi sul passato.
Questa pubblicazione è stata prodotta con il contributo dell’Unione Europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l’opinione dell’Unione Europea. Vai alla pagina del progetto Racconta l’Europa all’Europa.