Una catastrofe evitabile
Georgia e Russia sono caduti in una guerra che non avrebbe mai dovuto avere inizio, e i civili ne pagano il prezzo. Un’analisi di IWPR dedicata alle popolazioni vittime del conflitto e spesso dimenticate dalle diplomazie, pubblicata subito dopo lo scoppio delle ostilità. Nostra traduzione
Di Thomas de Waal*, Londra, per IWPR, 11 agosto 2008 (titolo originale: "South Ossetia: An Avoidable Catastrophe ").
Traduzione per Osservatorio Caucaso: Carlo Dall’Asta
Nell’arco di pochi giorni, nel Caucaso si è svolta una vera e propria catastrofe, innescata da un conflitto riguardante un fazzoletto di terra. Una catastrofe che avrebbe potuto essere evitata.
Al cuore di tutto ciò sta una immane tragedia umana, a cui non si sta dando il giusto peso perché troppi commentatori si soffermano sul significato geopolitico del conflitto.
Il territorio che ha sofferto più di ogni altro è l’Ossezia del Sud, che dal punto di vista etnico è patria sia di osseti che di georgiani, con questi ultimi che costituiscono circa un terzo della popolazione.
Qui le distruzioni sono state terribili, e pare che diverse centinaia di civili siano morti, soprattutto in conseguenza dell’iniziale attacco georgiano del 7 e 8 agosto. Gosha Kelekhsayev, un interprete osseto di Tskhinvali, con cui ho parlato telefonicamente il 10 agosto, ha detto: "In questo momento mi trovo nel centro della città, ma non esiste più una città".
Gli osseti che fuggono dalla zona dei combattimenti parlano di atrocità georgiane e di uccisioni indiscriminate di civili.
Anche i villaggi a maggioranza etnica georgiana che si trovano all’interno dell’Ossezia del Sud sono stati attaccati, e potrebbero ora trovarsi ad essere evacuati coll’avanzare delle forze russe verso Sud. Il loro futuro potrebbe essere gravemente a rischio.
Ora, in una seconda ondata di violenze, a fuggire e morire sono sono i georgiani, da Gali in Abkhazia a Gori nel Nord del Paese.
L’Ossezia del Sud è un territorio piccolo e vulnerabile, che una settimana fa aveva non più 75mila abitanti, in un patchwork di villaggi ed in una tranquilla cittadina di provincia situati sulle colline ai piedi del Caucaso.
La cinica indifferenza, da parte sia di Mosca che di Tbilisi, per l’incolumità di queste persone, ha permesso l’avvio del conflitto.
Il 7 agosto, dopo giorni di incidenti e scontri a fuoco nella zona di conflitto dell’Ossezia del Sud, il Presidente georgiano Mikhail Saakashvili ha tenuto un discorso in cui ha dichiarato di aver dato agli abitanti georgiani dei villaggi l’ordine di non sparare, e di voler offrire all’Ossezia del Sud una "illimitata autonomia" all’interno dello Stato georgiano, con la Russia a fare da garante dell’accordo.
Entrambe le fazioni hanno ribadito che il giorno successivo si sarebbe discusso in un incontro, per trovare una via per porre un argine agli scontri.
Quella stessa sera però, Saakashvili ha deciso per la soluzione militare. Le forze armate georgiane hanno lanciato un massiccio attacco di artiglieria su Tskhinvali, seguito il giorno successivo da un attacco di terra che includeva i carri armati.
Si trattava di una città priva di obiettivi puramente militari, piena di civili a cui non erano stati dati avvertimenti e che si aspettavano da un momento all’altro dei colloqui di pace.
L’attacco sembrava progettato per prendere tutti di sorpresa – forse perché gran parte dalla leadership russa era a Pechino per l’apertura dei Giochi olimpici. Questo attacco ha distrutto anche, unilateralmente, gli accordi per i negoziati e quelli di peacekeeping che per 16 anni erano stati portati avanti sotto l’egida dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa.
Le truppe russe di peacekeeping stanziate in Ossezia del Sud figurano tra le vittime dell’attacco georgiano.
Poi è arrivata l’inevitabile risposta. A Mosca importa altrettanto poco degli osseti del Sud, quanto dei georgiani che sta bombardando, e vede il territorio solo come una pedina nel suo tentativo di riportare indietro nella sua sfera di influenza la Georgia e gli altri suoi confinanti.
Non più tardi del 4 agosto il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov, un esponente relativamente moderato della leadership di Mosca, ha detto: "Noi faremo tutto il possibile per impedire l’ingresso dell’Ucraina e della Georgia nella NATO."
Né potrebbero i comuni cittadini dell’Ossezia del Sud avere fiducia nel governo di Eduard Kokoity, che ha la reputazione di essere permissivo verso la criminalità e si è prodotto in dichiarazioni ed azioni provocatorie nei confronti di Tbilisi nel corso di gran parte di quest’estate. È probabile che le autorità "de facto" di Tskhinvali avrebbero già da tempo perso il potere se esse non fossero state il "fattore di coagulazione" anti-georgiano.
Se i politici avessero mostrato maggiore moderazione e maggior saggezza, questo conflitto avrebbe potuto essere evitato.
Le sue origini si situano in una delle molte dispute tra maggioranze e minoranze che hanno accompagnato la disgregazione dell’Unione Sovietica. Gli osseti, un popolo che vive in parte in Russia, a nord dei monti del Caucaso, e in parte in Georgia, in generale si trovava molto più a suo agio sotto il dominio russo, piuttosto che come parte del nuovo stato georgiano post-sovietico. Una piccola e sporca guerra con Tbilisi nel 1990-92 portò ad una dichiarazione d’indipendenza, ma costò mille vite e lasciò una immensa eredità di rancori.
Ma, al di fuori dell’alta politica, le relazioni etniche non sono mai state cattive. Per un decennio dopo la secessione "de facto" dalla Georgia nel 1991, l’Ossezia del Sud era una zona franca e un rifugio per i contrabbandieri. La regione era al di fuori del controllo di Tbilisi, ma osseti e georgiani andavano avanti e indietro e commerciavano ampiamente gli uni con gli altri nel mercato del villaggio di Ergneti, non soggetto a tassazione .
Poi, nel 2004, giunse al potere Saakashvili, con grandi promesse di restituire al paese i territori perduti. Egli chiuse il mercato di Ergneti e cercò di isolare l’Ossezia del Sud, dando il via ad una estate di violenze. Ispirandosi al re georgiano del medioevo Davide il Costruttore, egli s’impegnò a restaurare l’integrità territoriale del Paese entro il termine della sua presidenza.
Cercò di scardinare la cornice, tutt’altro che perfetta, dei negoziati avviati dalla Russia per risolvere la situazione in Ossezia del Sud, ma non riuscì a proporre una valida alternativa.
Da parte loro, i russi alzarono la posta e tesero un’esca alla loro "bestia nera" Saakashvili, avviando un’"annessione morbida" dell’Ossezia del Sud. Mosca concesse passaporti sovietici agli osseti del sud e collocò suoi funzionari nei posti del governo "de facto". I soldati russi, ancorché teoricamente dei peacekeepers, fungevano informalmente da esercito di occupazione.
Saakashvili è noto per essere volubile e portato a rischiare, trasformandosi da guerrafondaio in pacifista, da democratico in autoritario. In diverse occasioni le autorità internazionali lo hanno fermato sull’orlo del baratro.
In una visita a Washington nel 2004, egli ricevette un aspro rimprovero dall’allora Segretario di Stato Colin Powell, che gli intimò di agire con cautela. Due mesi fa, egli avrebbe potuto innescare una guerra con l’altra provincia separatista dell’Abkhazia, reclamando l’espulsione dei peacekeepers russi dalla regione, ma la diplomazia europea lo persuase a fare un passo indietro.
Questa volta, Saakashvili ha superato l’orlo del precipizio.
La provocazione è reale, ma il presidente georgiano è tanto avventato da credere che questa sia una guerra che egli può vincere, o che l’Occidente è contento di vederla scoppiare.
Sia il Presidente George Bush che il senatore John McCain – che sperano ora in una vittoria dei repubblicani alle presidenziali – hanno visitato la Georgia e hanno tenuto accesi discorsi lodando Saakashvili. Ma Washington è ora in un grave impaccio: sostenendo Tbilisi, cerca un modo per fermare la guerra, ma sta anche ben attenta a non farsi coinvolgere in un conflitto con Mosca.
Le reazioni nella maggior parte d’Europa saranno sempre più improntate all’esasperazione. Anche prima della crisi un certo numero di governi, e particolarmente quello francese e tedesco, parlavano di un "affaticamento" riguardo alla Georgia. Benché essi abbiano ampiamente appoggiato il governo di Saakashvili, non si sono mai convinti che egli fosse un campione di democrazia. La vista dei suoi reparti antisommossa che sparavano lacrimogeni sui manifestanti a Tbilisi e che distruggevano una emittente televisiva di opposizione lo scorso novembre ha rotto definitivamente questa illusione.
E l’Europa ha una lunga agenda di temi da discutere con la Russia, che ritiene più importanti della rissa post-sovietica con Tbilisi. Parigi e Berlino ora diranno di essere stati nel giusto quando, al recente summit di Bucarest, esortavano alla cautela sulle ambizioni Nato della Georgia. Quando il polverone si sarà posato, ci saranno parole dure sia verso Tbilisi che verso Mosca.
Entrambe le parti meritano una esplicita condanna. Le preoccupazioni umanitaria si è ora focalizzata sul territorio della Georgia vera e propria, con le notizie di dozzine di vittime civili dei raid aerei russi e di un esodo di massa dalla città di Gori, a Sud dell’Ossezia del Sud.
Ora si teme che Mosca stia usando la situazione degli osseti come scusa per le sue ambizioni di rovesciare il governo Saakashvili. Quasi certamente nella leadership russa è in corso un dibattito, su quanto in là spingersi in Georgia: se fermarsi ora e rivendicare gli alti motivi morali dell’intervento in Ossezia del Sud, o andare avanti e provocare un "cambio di regime" a Tbilisi, ignorando l’indignazione dell’Occidente.
Stando ad alcuni indizi, ad avere la meglio sono per ora i "falchi", nella persona dell’ex presidente ed attuale primo ministro Vladimir Putin, che ha virtualmente una faida personale con Saakashvili. Putin da Pechino ha reagito con rabbia agli eventi, molte ore prima che il Presidente, Dmitry Medvedev, rendesse una dichiarazione pubblica. Ed è stato Putin che è volato nella capitale del Nord Ossezia, Vladikavkaz, per coordinare la gestione russa della crisi e ha fatto il minaccioso commento che il popolo georgiano avrebbe "giudicato obiettivamente la propria leadership".
Un’altra area che desta grandi preoccupazioni è l’Abkhazia, dove sembra che la Russia abbia inviato migliaia di altri soldati, molti di più dei 3.000 peacekeeper che le è permesso mantenere laggiù secondo i termini dell’accordo per il cessate il fuoco del 1993.
Secondo alcune notizie, le truppe abkhaze e russe si stanno spingendo nella gola del Kodori, la sola area dell’Abkhazia sotto controllo georgiano. E si teme per le più di 20 mila persone di etnia georgiana che vivono nella regione di Gali, nell’Abkhazia meridionale. La loro posizione è precaria, stretti come sono tra Tbilisi e le autorità "de facto" di Sukhumi.
Diplomaticamente, il vero problema in questa crisi è che non c’è nessun mediatore "naturale", che potrebbe essere percepito come imparziale.
I russi, che formalmente avevano un ruolo di mediatori in Ossezia del Sud, ora sono una delle fazioni nel conflitto. I Paesi occidentali della NATO, e in particolare gli Stati Uniti, sono visti come amici della Georgia.
Perché il conflitto si avvii alla conclusione, tutte le fazioni devono chiaramente ammettere che questa è in primo luogo una tragedia umanitaria per i civili – sia georgiani che osseti – e promettere un imparziale aiuto e supporto per tutti quelli che stanno soffrendo.
*Thomas de Waal è un redattore di IWPR Caucaso. Questo articolo è stato precedentemente pubblicato sull’Observer del 10 agosto.