Un tentativo di giustizia transizionale: la Corte speciale del Kosovo
Istituzione “ibrida”, con sede all’Aja ma parte del sistema giudiziario del Kosovo, il nuovo tribunale speciale istituito per giudicare i crimini dell’UCK promette, tra non poche critiche, un nuovo approccio alla giustizia transnazionale
La Corte speciale (CS), istituita dal parlamento del Kosovo nel 2015, si presenta come un nuovo tentativo di fare giustizia per i crimini di guerra impuniti. Una serie di tribunali precedenti (ICTY, UNMIK, tribunali locali e successivamente EULEX) hanno tentato, in buona parte fallendo, di processare gli autori dei crimini di guerra .
La promessa della CS di rimediare ai fallimenti del passato risiede nella sua natura di corte ibrida. Parte della magistratura del Kosovo, ma situata all’Aja e composta da giudici internazionali, la Corte rappresenta un nuovo tipo di tribunale ibrido che vorrebbe combinare la forza dei tribunali internazionali con i benefici della gestione locale. Le sue caratteristiche ibride consentirebbero di evitare il pregiudizio etnico, l’intimidazione sociale e la pressione politica che in genere affliggono le indagini sui crimini di guerra.
Nonostante le promesse di un nuovo modello istituzionale e in attesa dei primi processi, la CS rimane fortemente contestata in Kosovo. I critici ne fanno notare la giurisdizione etnicamente distorta, le origini poco chiare e la segretezza del funzionamento come difetti di nascita che ne contaminano la missione di condurre indagini imparziali. Tali problemi si sono fatti più significativi nel contesto delle aspettative etnicamente connotate che caratterizzano il Kosovo del dopoguerra, creando un’atmosfera inospitale per il funzionamento della CS.
Mandato di parte
Sin dall’inizio, l’idea della CS è stata fortemente contestata dagli albanesi del Kosovo alla luce del documento che ne ha delineato lo statuto: il rapporto Marty del 2011. In particolare, il mandato della CS comprende indagini su crimini contro l’umanità, crimini di guerra ai sensi del diritto internazionale e crimini ai sensi della legge del Kosovo che sono stati commessi o avviati nel territorio del Kosovo e rientrano nel rapporto Marty, compresa l’indagine penale da parte della Special Investigative Task Force (SITF) . Tutti i precedenti tribunali per i crimini di guerra avevano chiaramente stabilito che la maggior parte di tali crimini riguardava l’uso eccessivo della forza da parte dell’esercito di Jugoslavia e delle forze di polizia serbe. Tuttavia, il rapporto Marty si concentra solo sui membri dell’Esercito di liberazione del Kosovo (UCK) e su un periodo di tempo specifico, tra il primo gennaio 1998 e il 31 dicembre 2000.
Dato il loro focus specifico, molti in Kosovo vedono la CS come una forma di giustizia selettiva. Secondo l’analista albanese del Kosovo Njomza Haxhibeqiri, "il principale difetto della CS è il mandato, che prende di mira solo i membri dell’UCK e la fa quindi percepire come illegittima dalla prospettiva degli albanesi del Kosovo". Un sondaggio dell’aprile 2017 conferma che il 76,4% degli albanesi del Kosovo ritiene ingiusto che la CS persegua principalmente crimini di guerra e crimini contro l’umanità associati all’UCK.
Come spiega ulteriormente Haxhibeqiri, "se la Legge sulla CS estendesse il suo mandato oltre il rapporto Marty, per processare anche i crimini commessi da altri, le risparmierebbe un sacco di problemi. In questo modo avrebbe il sostegno del Kosovo e potrebbe davvero contribuire alla verità invece di concentrarsi solo su una parte di essa”. Un altro analista albanese del Kosovo che si occupa della questione, Agon Maliqi, avverte che tale focus rischia di creare più risentimento che giustizia: “Il lavoro della CS, se la procura ha successo, potrebbe produrre un certo senso di giustizia nella comunità serba del Kosovo e tra gli albanesi vittime dell’UCK. Tuttavia, colpire gli autori di crimini da una parte sola alimenterà alla fine… un senso di ingiustizia nella più ampia comunità albanese”.
Il problema della parzialità della CS, tuttavia, è soggettivo. Secondo l’attivista serbo Aleksandar Rapajic, il ruolo della corte è quello di determinare la responsabilità individuale, non collettiva: "La percezione che la CS sia stata istituita contro gli albanesi del Kosovo proviene da coloro che temono di poter essere processati e condannati da questa istituzione… Queste persone, che hanno commesso crimini di guerra e ottenuto sostanziali profitti, fanno appello a ‘interessi più elevati’ per sfuggire alle proprie responsabilità…". L’argomento della responsabilità individuale, tuttavia, si applica a tutti i gruppi etnici e non spiega perché solo gli albanesi dovrebbero esservi soggetti.
Accuse nebulose
La contestazione del mandato della CS va di pari passo con le scarse prove offerte dal rapporto Marty a sostegno delle accuse contro un gruppo specifico, soprattutto alla luce delle prove accertate che la maggior parte di tali crimini fu opera dell’esercito della Jugoslavia e delle forze di polizia. Il fallimento da parte dei precedenti tribunali locali e internazionali (che avevano ampia competenza per indagare sulle accuse di Marty) di fornire prove, se non investigare sui crimini, rende difficile per la CS giustificare la necessità di concentrarsi su un gruppo specifico. Secondo Haxhibeqiri, "l’art. 19 del rapporto di Dick Marty sul trattamento disumano e il traffico illecito di organi fornisce chiare raccomandazioni a: istituzioni kosovare, istituzioni serbe e, soprattutto, EULEX. Il rapporto Marty è pubblico dal 2010… Per cinque anni, EULEX ha avuto il tempo e il mandato necessari per far luce sui presunti crimini… tuttavia, non l’ha fatto".
Secondo i critici della CS, il passare del tempo certamente non aiuta a far luce sui crimini di guerra. Secondo la giornalista Leonora Aliu, “sono trascorsi quasi 20 anni dalla guerra e tutte le istituzioni che hanno avviato indagini o processi per crimini di guerra, prima che fosse istituita la CS, avevano maggiori possibilità di processare i criminali di guerra. C’erano più possibilità di trovare testimoni vivi, con ricordi freschi e prove… Pertanto, questa istituzione sarà una grande delusione”.
Come per quasi tutto in Kosovo, i serbi del Kosovo vedono diversamente le accuse di Marty e il passare del tempo. Secondo Rapajic, "i crimini di guerra non vanno in prescrizione… è possibile condurre processi per crimini di guerra anche dopo molto tempo. Questo ci dà la speranza che i casi che la CS ha il mandato di indagare andranno a processo e che le famiglie delle vittime avranno giustizia, nonostante il passare del tempo”.
Unite nel segreto
Poiché gran parte dello scetticismo nei confronti della CS è un sottoprodotto dei fallimenti dei tribunali precedenti, la nuova istituzione avrebbe bisogno di farsi conoscere dall’opinione pubblica e presentare con chiarezza il proprio mandato e obiettivi. Tuttavia, l’opinione pubblica del Kosovo è in gran parte all’oscuro della sua attività. Come spiega Maliqi, “la divulgazione è stata minima. Non sembra esserci stato alcuno sforzo per affrontare le percezioni sulla natura selettiva della corte”. Haxhibeqiri conferma: “Non hanno nemmeno un ufficio in Kosovo, cosa che potrebbe essere considerata strana. Anche se il mandato non fosse selettivo, questo distacco fa sì che la popolazione la veda come un’influenza esterna e non qualcosa che è guidato dall’interno. Le prese di posizione rimangono inesistenti e le apparizioni pubbliche molto rare”.
La comunicazione limitata dà spazio a interpretazioni errate e disinformazione. Secondo Aliu, “ogni volta che un noto ex leader dell’UCK ritorna dall’Aja, dichiara alle telecamere che il processo è contro l’UCK e ingiusto. In questo momento, tutto ciò che le persone sanno della CS è ciò che sentono al telegiornale, per lo più dichiarazioni eroiche di ex membri dell’UCK, o voci. Ma non sentono nulla di concreto che potrebbe aiutare le persone a farsi un’opinione logica e realistica”.
Il risultato è un’atmosfera socialmente e politicamente inospitale per il lavoro della CS. Un rapporto del Gruppo di studi giuridici e politici conclude, non sorprendentemente, che l’ufficio relazioni esterne della CS deve cooperare maggiormente con il governo del Kosovo, i gruppi della società civile e la comunità internazionale per realizzare un programma globale e inclusivo di dialogo pubblico che contrasterebbe la generale percezione della CS come un insulto o addirittura una cospirazione contro l’UCK e la sua battaglia per la libertà.
L’articolo fa parte di un più ampio progetto di ricerca supportato dalla Kosovo Foundation for Open Society nell’ambito del progetto "Costruire conoscenze sul Kosovo (3.0)", i cui risultati saranno presto pubblicati.