Un difficile confronto col passato

Alla vigilia del decennale del massacro di Srebrenica, il parlamento serbo non raggiunge l’accordo per approvare la dichiarazione di condanna di quella terribile pagina di storia europea. Il crimine di Srebrenica viene invece condannato dal Consiglio dei ministri dell’Unione Serbia e Montenegro

17/06/2005, Jadranka Gilić - Podgorica

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Memoriale di Potocari (foto L. Zanoni)

La videoregistrazione dei sei musulmani di Srebrenica uccisi a freddo, trasmessa il 1° giugno durante un’udienza del processo all’ex presidente Slobodan Milosevic presso il Tribunale penale internazionale dell’Aja, è immediatamente andata in onda su varie emittenti televisive locali, scioccando fortemente il pubblico e provocando le reazioni dei politici.

Il video documenta i crimini commessi dall’unità paramilitare "Scorpioni" contro i civili Bosgnacchi e testimonia che unità paramilitari serbe parteciparono al genocidio di Srebrenica: nel luglio 1995 furono circa 8.000 i bosniaco-musulmani massacrati.

A seguito della messa in onda del filmato, almeno 12 persone sono state arrestate in quanto sospettate di aver partecipato alle esecuzioni dei civili di Srebrenica. I due principali accusati per la strage – l’ex capo politico della serbia di Bosnia Radovan Karadzic, e il loro capo militare Ratko Mladic – sono però ancora latitanti.

Anche se la leadership serba, dopo la diffusione del filmato, ha condannato il massacro esprimendo le condoglianze e la volontà di confrontarsi col passato, mediante la rivelazione dei fatti sull’esecuzione dei crimini, e individualizzando la colpa, il parlamento serbo non ha accettato la proposta delle 8 ONG e dei deputati Zarko Korac e Natasa Micic di adottare la Dichiarazione su Srebrenica, con la quale i firmatari volevano che il parlamento si esprimesse in merito al crimine compiuto, nel decennale del massacro di Srebrenica.

Al centro delle difficoltà il testo della Dichiarazione. La maggioranza dei deputati voleva condannare ugualmente tutti i crimini compiuti durante la guerra nella ex Jugoslavia, mentre il Partito democratico (DS), a suo tempo fondato dall’assassinato premier Zoran Djindjic, e il Movimento per il rinnovamento serbo (SPO) del ministro degli esteri Vuk Draskovic, volevano condannare a parte il crimine di Srebrenica, come il più grande crimine commesso durante gli anni ’90.

All’emittente B92, il vice presidente del DS, Dusan Petrovic, ha dichiarato che: "Il crimine di Srebrenica è diventato un simbolo sia in Europa che in tutto il mondo ed anche se il DS trovasse necessario condannare tutti i crimini, alla luce del decennale del massacro di Srebrenica, il DS trova necessario che il Parlamento della Serbia debba esprimere una posizione coraggiosamente, moralmente e politicamente chiara, affermando che l’uccisione di migliaia di persone, in pochi giorni, è stato un atto terribile, che mai più dovrà accadere."

Inoltre, il DS ha proposto di condurre gli esecutori dei crimini di fronte alla giustizia e di individualizzare la colpa. Petrovic ha anche ricordato gli spiacevoli eventi accaduti di recente alla Facoltà di legge di Belgrado, quando il gruppo auto-nominatosi "Nomokanon" (vocabolo che la Chiesa ortodossa ha mutuato dal greco antico, traducibile con "regola morale"), ha organizzato una controversa tavola rotonda intitolata "La verità su Srebrenica", chiedendo che quel tragico 11 luglio 1995 venga celebrato come la "giornata della liberazione" della cittadina bosniaca. Secondo loro il crimine di Srebrenica non fu un genocidio, e neanche un massacro, ma una semplice azione di guerra, dove i morti furono al massimo 2.000, ed erano tutti combattenti. Pertanto, il DS trova necessario che lo stato esprima, finalmente, una chiara posizione e che prenda le distanze tanto dai crimini quanto dai loro esecutori.

Dall’altra parte il Partito radicale serbo (SRS) aveva proposto un testo che condanna i crimini di guerra in generale, a prescindere da chi siano stati commessi, mentre i socialisti del partito fondato da Slobodan Milosevic, comunicano, attraverso il loro leader, Ivica Dacic, che "bisogna tenere conto di tutta la situazione generale. Srebrenica è stata un crimine, ma lo sono stati anche i crimini commessi da musulmani e croati ".

A fronte dell’incapacità del parlamento serbo di varare una mozione di condanna, il Consiglio dei ministri dell’Unione di Serbia e Montenegro, il 15 giugno scorso, con un comunicato ha espresso l’assoluta condanna per il crimine di Srebrenica. Nel comunicato del governo dell’Unione statale si dichiara "la profonda partecipazione al cordoglio delle vittime e la preghiera che in un angolo del loro cuore vi sia la possibilità di percepire la differenza fra quegli assassini e il popolo serbomontenegrino". È stato deciso che una delegazione del governo serbomontenegrino andrà l’11 luglio a Srebrenica per commemorare il decimo anniversario del massacro dell’enclave musulmana. "Chi ha ucciso a Srebrenica, chi ha organizzato e ordinato quel massacro non rappresenta la Serbia e Montenegro, rappresenta un regime totalitario, di t[]e e di morte al quale larga parte del nostro popolo ha opposto resistenza", afferma ancora il comunicato.

Dall’altra parte, l’alto rappresentane del Partito democratico socialista (DPS) Miodrag Vukovic, della coalizione governativa del Montenegro, ha dichiarato che il DPS è contrario alla proposta del Comitato di Helsinki per i diritti umani volta a sollecitare il parlamento montenegrino a fare una dichiarazione sui crimini di Srebrenica. Secondo Vukovic non c’è bisogno che il Parlamento del Montenegro discuta della Dichiarazione su Srebrenica, perché il Montenegro condanna i crimini, riconosce il Tribunale internazionale dell’Aja e "non intende ricordarsi dei terribili eventi del recente passato". Vukovic ha anche aggiunto che tutti adesso vogliono adottare varie dichiarazioni, ma "le carte non aiutano nessuno". Vukovic ha anche spiegato che "Qui si tratta di crimini ovvi e mostruosi dai quali bisogna tenere fuori il Montenegro, perché, per fortuna, non ha partecipato alle esecuzioni".

Nonostante la ferma posizione del DPS, il partito minore della coalizione di governo, l’SDP (Partito socialdemocratico), attraverso il vicepresidente del parlamento montenegrino, Rifat Rastoder, ha annunciato il sostegno alla Dichiarazione, che dovrebbe condannare sia i crimini di Srebrenica sia gli altri crimini degli anni ’90. Rastoder ha spiegato che anche se il Montenegro non ha partecipato direttamente alle esecuzioni di Srebrenica, l’esercito montenegrino faceva parte dell’esercito di Milosevic e dunque ci sarebbe una responsabilità indiretta del Paese. Il vice presidente del parlamento ha anche aggiunto che il Montenegro ha più di un motivo per confrontarsi col passato a causa della guerra a Dubrovnik, delle deportazioni illegali di profughi bosniaci, condotte dalla polizia montenegrina nella primavera del 1992, del crimine di Strpci, del crimine contro un gruppo etnico di musulmani a Bukovica e delle esecuzione dei profughi kosovari a Kaludjerski laz.

Il quotidiano "Vijesti", nell’edizione del 15 giugno, scrive che sono state avviate le indagini sul caso delle deportazioni illegali di profughi della Bosnia Erzegovina (BiH). Nella primavera del 1992 la polizia montenegrina arrestò e deportò più di 100 profughi bosniaci, poi consegnati alle forze di Karadzic, ex presidente della Republika Srpska e uno dei principali ricercati dal Tribunale Internazionale de L’Aja. Il motivo di tali deportazioni era lo scambio con gli ostaggi serbi in BiH, ma le vittime sono scomparse e le loro famiglie chiedono la verità e vogliono essere risarcite.

A distanza di 13 anni in Montenegro si riapre il caso e sono state rilasciate dichiarazioni ufficiali da Vladimir Susovic, allora Procuratore della Repubblica, e di alcuni altri partecipanti alla vicenda, ma si aspettano ancora le dichiarazioni ufficiali di Momir Bulatovic, l’allora Presidente della repubblica, e di Milo Djukanovic, attuale premier del Montenegro. È stata annunciata anche la presenza delle Nazioni Unite e di altre organizzazioni internazionali nel processo di svelamento della verità sul destino degli scomparsi musulmani.

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