Un Danubio quasi blu

Il Danubio è tornato quasi blu, dopo il grave inquinamento causato dalla miniera d’oro di Baia Mare in Romania. Presto si costituirà un organismo di protezione transnazionale. Un articolo pubblicato sul Corriere della Sera.

24/06/2004, Redazione -

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Si fa sera

Si fa sera

Nel 2000 la catastrofe ecologica di Baia Mare. Prima ancora i danni della guerra jugoslava. Sorvegliata speciale resta l’agricoltura. L’allargamento dell’Unione solleva nuovi timori.

Gli ungheresi la ricordano ancora come «la più grande catastrofe ecologica dopo Chernobyl». La notte del 30 gennaio di quattro anni fa centomila metri cubi d’acqua carica di cianuro, usato per separare l’oro da altri metalli, fuoriuscirono da un bacino di raccolta della miniera aurifera di Baia Mare in Romania. La gigantesca ondata velenosa si riversò lentamente nei fiumi Lapus e Somos, raggiunse il Tibisco, sfociò nel Danubio e dilagò fino al Mar Nero devastando al suo passaggio ogni forma di vita animale e vegetale e arrecando danni gravissimi all’ecosistema.

Nella sola Ungheria si raccolsero in più di un mese quattrocento tonnellate di pesci morti.
Da allora la collaborazione fra i Paesi rivieraschi, per evitare il ripetersi di simili disastri, si è fatta più stretta, e si è rafforzata ulteriormente dopo l’allargamento ad est dell’Unione europea.

Fra i tanti organismi che vigilano sulla salute del secondo fiume europeo un ruolo di primo piano viene svolto dalla Commissione internazionale per la protezione del Danubio (Icpdr), che ha anche il compito di facilitare lo scambio di informazioni fra i Paesi del bacino danubiano: Austria, Bosnia, Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Germania, Ungheria, Moldavia, Romania, Serbia-Montenegro, Slovacchia, Slovenia e Ucraina.


«La cooperazione internazionale riveste una funzione fondamentale – dice Peter Kovacs, direttore del dipartimento per le acque e la protezione del suolo del ministero dell’Ambiente ungherese – lo abbiamo capito una volta di più dal disastro di Baia Mare: la qualità delle nostre acque dipende da quanto avviene al di là dei nostri confini. Siamo un Paese di transito e il 90 per cento delle nostre acque proviene dall’estero. Per questo è davvero di vitale importanza sviluppare i rapporti con i vicini. Fortunatamente la catastrofe si è consumata d’inverno e le conseguenze per il Danubio e gli affluenti hanno potuto essere circoscritte. La vita è tornata ovunque».

Il «grande signore della Mitteleuropa» si è dunque ristabilito. Ha assistito da silenzioso spettatore agli sconvolgimenti che hanno ridisegnato il volto politico del Vecchio continente riscoprendo il ruolo millenario di ponte naturale fra Est e Ovest, di punto di congiunzione fra nazioni irrigate da una medesima cultura, spezzato più volte da guerre sanguinose. L’ultima, in terra jugoslava, lo aveva duramente prostrato.
Le macerie dei tre ponti di Novi Sad, distrutti dai bombardamenti Nato, hanno bloccato a lungo traffici e commerci, costretto aziende, cantieri, società di navigazione a ridimensionare progetti e a licenziare, per non parlare degli spaventosi danni provocati dalle tonnellate di petrolio fuoriuscito dalle raffinerie bombardate e penetrato nei terreni agricoli, dalle enormi quantità di veleni, residui tossici, ordigni che hanno contaminato le acque.

Lungo i 2.400 chilometri di acque navigabili, solcate in media da cinquemila navi, il traffico commerciale stenta a riguadagnare il terreno perduto. I cento milioni di tonnellate di prodotti – ferro, granaglie, acciaio, carbone, petrolio – che transitavano annualmente prima del conflitto jugoslavo appaiono un obiettivo difficile da raggiungere. Perché molti dei vecchi clienti hanno scelto nel frattempo altre vie di comunicazione complicando il recupero, lamentano gli armatori romeni e ungheresi, dei mercati tradizionali. Se la navigazione commerciale stenta a ritrovare i ritmi di un tempo, quella turistica sta conoscendo un momento di grande espansione. Basta fermarsi a Budapest vicino al ponte Elisabetta e gettare uno sguardo alla moltitudine di battelli e navi che garantiscono «crociere da sogno» nella nuova e vecchia Europa.
L’ultimo itinerario di successo, inaugurato l’anno scorso da un’agenzia francese, conduce i passeggeri fino a Novi Sad e, al ritorno, deviando sul Tibisco, li fa approdare alla regione del Tokaj con annessa degustazione dei più rinomati vini magiari.

Nel club europeo entrano nuovi soci, sulle sponde del Danubio si festeggia il rientro in famiglia e si affaccia un problema: l’allargamento dell’Unione europea rischia di aumentare l’inquinamento del fiume? La segnalazione arriva dalla Commissione internazionale secondo cui l’accelerazione dell’attività industriale e uno sfruttamento più intenso dell’agricoltura potrebbero compromettere gli equilibri ambientali. Occorre fare in modo, raccomanda un rapporto dell’Icpdr, che l’inquinamento non raggiunga i livelli antecedenti la caduta della cortina di ferro.

Sarà questo l’argomento all’ordine del giorno il 29 giugno del primo «Danubio day», l’occasione per celebrare la firma della Convenzione internazionale di protezione del Danubio, ma soprattutto per mettere a punto le strategie che mettano al riparo il fiume, appena convalescente, da pericolose malattie e varare un piano di aiuti per i Paesi, in particolare la Romania, sprovvisti dei mezzi necessari per assicurare la pulizia delle acque.

Osservata speciale è l’agricoltura. È dall’uso più massiccio di concimi e fertilizzanti che nascono infatti le minacce più serie per il Danubio. Preoccupazioni esagerate? «Negli ultimi tempi la situazione è sensibilmente migliorata – risponde Peter Kovacs – i controlli si sono fatti più severi, è aumentato il numero degli impianti di depurazione. Nei primi anni dopo la caduta del comunismo le industrie hanno continuato a inquinare e a pagare le multe, ma oggi le sanzioni sono molto più severe, è stata introdotta l’"imposta ecologica" e le multinazionali che hanno soppiantato i vecchi colossi di Stato rispettano le regole. In agricoltura si usano meno pesticidi. I verdi sono molto attivi, i cittadini segnalano le minime infrazioni con l’affermarsi di una coscienza ecologica che era prima latitante. E poi c’è Bruxelles a sorvegliare che regolamenti e disposizioni vengano rigorosamente osservati».

Aggiunge Andras Korompay, dell’ispettorato dell’economia idrica di Budapest: «La qualità dell’acqua è decisamente migliorata e i fondi strutturali dell’Unione europea ci aiuteranno a intervenire con maggior rapidità, a ultimare la rete fognaria di Budapest entro il 2009 e a realizzare il programma nazionale di depurazione delle acque».

 

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