Umorismo turco
Fare satira politica e religiosa in Turchia. La forza della tradizione umoristica, il successo di pubblico, i problemi giudiziari. Nostra intervista a Metin Üstündağ, co-fondatore della rivista “Penguen”
Le riviste satirico-umoristiche turche, nel corso della loro lunga storia, pur mutando fisionomia sono sempre state delle cartine di tornasole del clima sociale e politico del Paese.
Strumento di aperta contestazione politica, di rottura dei tabù sessuali e sociali o di spensierato divertimento, le riviste d’umorismo sono un prodotto e anche un riflesso delle molteplici realtà contraddittorie che coesistono in Turchia e che, secondo alcuni umoristi, rappresentano la fonte dalla quale attingere il sorriso.
La stampa satirico-umoristica a Costantinopoli risale alla seconda metà del XIX secolo. Le riviste del periodo, ispirate nei disegni ai coevi francesi e inglesi, oltre a segnare il passaggio da una cultura umoristica orale a quella su carta stampata, diedero anche voce alle preoccupazioni politiche, morali e religiose della società multietnica ottomana.
“Diojen” (Diogene), periodico fondato nel 1870 dallo scrittore e giornalista greco ottomano Teodor Kasab con la collaborazione dello scrittore Namık Kemal, è considerato il modello cui si sarebbero ispirate le pubblicazioni umoristiche turche nei decenni seguenti. Corredato di testi e vignette – compresa una in cui è raffigurato Diogene che chiede ad Alessandro Magno di non togliergli il sole – la rivista fu pubblicata prima in greco, poi in francese, turco e armeno. Kasab, che già prima della salita al trono del sultano Abdülhamid II lo definiva un “figura particolarmente idonea alla caricaturizzazione”, dopo la sua incoronazione prima finì in prigione e poi fu esiliato per la sua satira.
Tra il 1908 e il 1914, quando venne momentaneamente ristabilita la libertà d’espressione, ci fu un’enorme proliferazione di quotidiani e periodici tra cui spiccarono anche quelli di satira. Basti pensare che, contando solo quelle turche e armene, vennero pubblicate rispettivamente cinquanta e diciotto testate satiriche.
Dopo il 1914 l’identità ottomana cedette sempre più il passo a quella turca. La proclamazione della Repubblica nel 1923 e le seguenti riforme mirarono a recidere definitivamente il legame con la civiltà ottomana. Una maniera di fare ciò fu anche quella di ridicolizzare i passatempi ottomani, come faceva con le sue vignette Salih Erimez nei primi anni ’40 sulla rivista “Karikatür”.
In linea generale, però, le riviste umoristiche del primo quarantennio del ‘900 furono finalizzate a divertire e ad allietare i lettori senza andare a toccare alcun argomento politico o sociale. È per questo che quando uscì “Marko Paşa”, nel 1946, l’effetto fu quello di una bomba.
Nel contesto di un paese schiacciato dal peso del regime monopartitico di İsmet İnönü (Pascià), “Marko Paşa” fece una vera e propria opposizione politica di sinistra diventando portavoce del malcontento popolare attraverso un umorismo e un linguaggio inedito, tratto direttamente da quello parlato. La rivista, fondata dallo scrittore icona della satira turca Aziz Nesin (morto nel 1994) assieme allo scrittore Sabahattin Ali, arrivò a vendere fino a 70mila copie – un record per il periodo. I suoi fautori – Nesin, Ali, il vignettista Mim Uykusuz e gli altri collaboratori – furono perseguitati e imprigionati diverse volte e la rivista fu chiusa. Questo però non impedì che venisse ripubblicata con nomi diversi ogni volta che se ne presentava l’occasione. Apparvero così fino al 1950 “Merhum Paşa” (Il Pascià deceduto), “Malum paşa” (Il Solito pascià), “Bizim Paşa” (Il Nostro pascià) e altri ancora.
Altra tappa fondamentale nella storia delle riviste satiriche turche è il “Gırgır” di Tan e Oğuz Aral. Questa rivista, che uscì per la prima volta nel 1972, con il suo tiraggio record di 600mila copie settimanali fu per l’epoca un vero e proprio mezzo di comunicazione di massa. Di impostazione secolare e anti-sovietica, il suo slogan era “Gırgır: blocca i problemi economici, la noia, i dolori del cuore e i litigi coniugali ed è rimedio ad ogni male”, a indicare una posizione tendenzialmente apolitica. La rivista assunse un carattere di contestazione solo dopo il colpo di Stato dell’80, e due anni dopo fu obbligata a chiudere.
“Gırgır” fu anche la scuola dove si formarono i vignettisti senior del panorama odierno che, separatisi dalla rivista madre, ne fondarono altre. La più importante tra queste, fondata nella prima metà degli anni ’80, fu “Limon” rivista apertamente schierata a sinistra che si presentò sin dall’inizio come uno strumento di opposizione politica ma ebbe anche il coraggio di affrontare tabù sociali come la rappresentazione della violenza o la pornografia.
Oggi nel panorama turco si contano venti testate umoristiche, ma le vendite maggiori si registrano solo per tre pubblicazioni, derivate dallo staff di “Limon”: “Penguen” (Pinguino) con circa 70mila copie a settimana, seguita da “LeMan” con 50mila copie e da “Uykusuz” (L’Insonne) a breve distanza.
La lettura delle riviste umoristiche è un fenomeno esteso soprattutto tra la gioventù urbana compresa in una fascia d’età molto ampia che va dai dieci ai trentacinque anni. Di conseguenza, anche i temi trattati sono incentrati sugli ambiti d’interesse di questi ragazzi e spaziano dal sesso alla ridicolizzazione dei luoghi comuni o delle consuetudini sociali. Spesso sono gli animali a prendere la parola – pecore che si lamentano per essere prese in considerazione solo durante la festa del sacrificio – o polli che chiedono alle madri quando verrà loro insegnato a volare. D’altra parte gli stessi disegnatori e gli scrittori delle riviste, eccettuati alcuni casi, sono per la maggior parte giovani con un’età media che si aggira attorno ai 25 anni.
Una costante di questi settimanali è la copertina, riservata esclusivamente ad un fatto di politica o di attualità. Il personaggio dominante della scena politica turca attuale è il premier Tayyip Erdoğan, che viene ritratto frequentemente da queste tre riviste, ma non solo.
Ritrarre il premier o i politici può anche causare l’avvio di processi per offesa alla persona, come è accaduto nel 2005 a “Penguen”. La rivista, per solidarietà ad un vignettista del quotidiano Cumhuriyet contro cui il premier aveva fatto causa per aver ritratto un gatto con la sua testa, aveva ideato il calendario “Il Mondo dei Tayyip” in cui tutti i vignettisti del giornale avevano ritratto un animale con la testa di Erdoğan. La Cassazione in questo caso ha assolto gli “imputati”, mentre in un’altra occasione ha condannato la “Penguen” a risarcire 5mila lire turche all’ex ministro della cultura Atilla Koç descritto nelle pagine del giornale come “il ministro della perdita di tempo”.
Osservatorio Balcani e Caucaso ha parlato di “Penguen” con Metin Üstündağ (Met Üst), uno dei suoi fondatori più “anziani”.
Da dove arriva il pinguino che dà il nome alla vostra rivista?
L’emblema della nostra rivista è stato disegnato da Selçuk Erdem [altro co-fondatore della rivista assieme a Erdil Yaşaroğlu e Bahadır Baruter, ndr]. Si tratta di un pinguino che cerca di costruirsi delle ali per volare ed è una metafora ricca di significato. È un uccello lontano dalla nostra geografia ma ci è vicino dal punto di vista dello spirito.
Quali sono i temi affrontati nei vostri disegni?
Trattiamo di temi d’attualità e di politica, poi ognuno di noi ha anche uno spazio privato all’interno della rivista. Io per esempio ritraggo le persone e i momenti della loro vita a partire dalle relazioni amorose e di coppia.
Penguen dedica un ampio spazio ai fumettisti delle nuove generazioni. So che organizzate anche un giorno di workshop alla settimana rivolto ai giovani che vogliono fare i vignettisti. Come tramandate il vostro mestiere?
C’è una tradizione che è iniziata con la rivista “Gırgır” e il nostro maestro Oğuz Aral. Gli scrittori e i vignettisti delle riviste di satira provengono dalle file dei lettori di quelle riviste. Il mestiere si tramanda dal maestro all’allievo. Col tempo l’apprendista diventa a sua volta maestro, si distacca dalla rivista d’origine e ne fonda una propria.
A causa delle vignette che avete disegnato l’AKP (Partito della giustizia e dello sviluppo del premier Erdoğan) vi ha fatto causa per ben due volte. Come avete reagito durante i processi? Vi capita di avere ancora problemi a causa di qualche vignetta?
Un processo per un verso è una prova del fatto che si faccia della buona satira, ma può essere anche devastante dal punto di vista economico. Per tutta la durata del processo, però, siamo andati in giro con l’orgoglio e la fiducia di aver fatto bene il nostro lavoro. Ci capita anche che ci facciano causa singolarmente. Una mia raccolta di vignette i “Pazar Sevişgenleri” (Gli Amorosi domenicali) è stata fatta ritirare dalle librerie immediatamente dopo la distribuzione, perché ritenuta oscena. Mi hanno fatto causa, ma sono stato assolto. Siamo abituati a queste cose.
Riuscite a parlare di tutto liberamente? O vi capita di autoimporvi delle censure? In Turchia, Paese musulmano con una tradizione umoristica ben radicata, è possibile fare umorismo anche su temi religiosi?
Possiamo disegnare liberamente tutto ciò che vogliamo. L’unica cosa è che a partire dal periodo di “Gırgır” seguiamo una sorta di “costituzione” non scritta, che consiste nel non trattare alcuni argomenti personali, come un handicap, oppure la dimensione del sacro. A patto di restare all’interno di questa regola, si può disegnare di tutto. Inoltre creiamo anche un linguaggio sottinteso che conosciamo solo noi e il lettore. L’umorismo non conosce divieti o censure, si trova sempre un canale di sbocco. Per quanto riguarda la religione, per esempio, facciamo delle vignette che rappresentano gli imam o le comunità dei fedeli. Poi c’è la tradizione delle storielle umoristiche Bektaşi. La Turchia ha delle condizioni particolari, con un Islam anatolico che si differenzia da quello arabo per il fatto di essere più tollerante.
Si sente dire che ciascun Paese ha un proprio tipo di umorismo, difficile da comprendere da chi non appartiene alla stessa cultura. Lei pensa che l’umorismo possa avere anche la caratteristica di avvicinare ciò che è diverso?
Alcuni temi e punti di vista sono specifici di un determinato luogo. È vero, però, che l’umorismo ha la caratteristica di abbattere i tabù e di avvicinare le persone. Un aspetto universale dell’umorismo è quello di dare voce all’opposizione. Ed è questo che caratterizza principalmente il nostro modo di intenderlo.