Ultimo treno per lo spazio
Una lunga tradizione negli studi spaziali che, dopo la transizione, rischia di andare perduta. Per la Bulgaria l’ultima occasione per salvarla si chiama Agenzia Spaziale Europea, ma bisogna fare in fretta, ci racconta Lachezar Filipov, vicedirettore dell’Istituto per le Ricerche Spaziali
La Bulgaria ha una lunga tradizione nel campo degli studi spaziali, maturata dal secondo dopoguerra al 1989. Con la transizione i fondi sono stati tagliati e buona parte degli specialisti sono emigrati. Oggi l’obiettivo è quello di entrare nell’Agenzia Spaziale Europea, ma il governo resta passivo, e l’esperienza accumulata rischia di essere definitivamente perduta. Ne parliamo con Lachezar Filipov, vicedirettore dell’Istituto per le Ricerche Spaziali e direttore del Dipartimento di Astrofisica presso l’Accademia Bulgara delle Scienze.
La Bulgaria è un paese relativamente piccolo, e per chi non è addetto ai lavori non è facile associare il suo nome all’esplorazione spaziale. Qual è la storia delle vostre ricerche in questo settore?
La Bulgaria ha una tradizione molto importante nel campo degli studi sul cosmo, una tradizione iniziata quaranta anni fa, prima con la creazione di un gruppo di studio sulla fisica del cosmo, poi con la nascita di un laboratorio e infine, nell’87 con la creazione dell’Istituto di Ricerche Spaziali. Fino al ’91 facevamo parte del sistema Intercosmos, a cui partecipavano quasi tutti i paesi dell’Europa Orientale. I questi anni abbiamo lanciato nello spazio due cosmonauti e, nel 1981, un satellite tutto nostro, il Bulgaria 1300, che all’epoca, con le sue 21 apparecchiature di rilevazione, era all’avanguardia nel settore. Nel complesso, poi, abbiamo partecipato a più di cento esperimenti spaziali, e alla messa a punto di almeno trecento satelliti.
Cosa è successo con la fine del regime nell’89?
Con l’inizio del periodo di transizione, il nostro settore di studio è stato probabilmente il più colpito, visto che richiede fondi e investimenti di una certa consistenza. In pochi anni il numero degli scienziati nell’Istituto per le Ricerche Spaziali è sceso drasticamente, passando dai 420 dell’88 (quando fu lanciato in orbita il secondo ed ultimo bulgaro nello spazio, Aleksandar Aleksandrov) agli attuali 160. Con lo scioglimento di Intercosmos, poi, la Bulgaria si è venuta a trovare in una sorta di limbo: non eravamo parte dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA) e nemmeno della NASA. Anche con i russi, poi, è diventato impossibile lavorare, visto che hanno iniziato a chiedere molti soldi, troppi per le possibilità economiche della Bulgaria.
Qual è la situazione oggi? Sono davvero necessarie le ricerche spaziali per un paese come la Bulgaria?
Nei diciotto anni della transizione, la Bulgaria non ha preso alcuna chiara posizione sul tema delle ricerche spaziali, e i fondi a disposizione sono divenuti sempre più limitati. Diciotto anni sono lunghi, anche per una transizione difficile come la nostra. Sono molte le ragioni che, a mio avviso, rendono necessaria la riorganizzazione e la riattivazione della ricerca spaziale in Bulgaria. Innanzitutto salvare l’esperienza e la tradizione accumulata negli anni che, come dicevo, è sostanziosa e importante. Questo significa soprattutto rivitalizzare e ridare speranza al nostro potenziale umano. I buoni risultati raggiunti al culmine della storia della nostra ricerca, non erano dovuti tanto ai fondi elargiti dal governo comunista, quanto dall’alto livello raggiunto nell’istruzione in campo scientifico-matematico.
Se ho ben capito, la ricerca in campo spaziale avrebbe quindi un carattere anche simbolico…
Certamente. I giovani che hanno capacità e voglia di lavorare nel campo della scienza, in Bulgaria, oggi sono a dir poco demoralizzati. Chi ha talento non ha altra alternativa che emigrare in Europa Occidentale o negli Stati Uniti. Per rilanciare la ricerca non c’è bisogno di progetti faraonici, ma bisogna dare un segnale, far tornare la speranza di una prospettiva in Bulgaria nei giovani scienziati che, data la situazione attuale, preferiscono emigrare e prendere uno stipendio in euro anche a costo di far lavorare le braccia piuttosto che il cervello. Un vero spreco.
Al momento la Bulgaria è membro dell’Agenzia Spaziale Europea?
No, e purtroppo siamo uno dei pochi paesi nell’Ue che non ha ancora iniziato nemmeno il percorso di associazione. Proprio questo, nel giugno scorso, è stata decisa la preparazione di un Programma Spaziale Nazionale, a cui lavora una commissione interministeriale di cui anche il nostro istituto fa parte. Adesso il programma è pronto, e deve solo essere approvato. In esso si delineano le iniziative da prendere nei prossimi cinque anni, tra cui proprio l’ingresso nel programma PECS, che l’ESA ha creato per facilitare l’adesione dei nuovi stati membri. Il PECS dura cinque anni, per partecipare si paga una tassa annuale di 1,2 milioni di euro, utilizzata poi per realizzare i progetti proposti dal singolo paese e approvati dall’Agenzia. All’inizio, credo, riusciremo ad utilizzare il 50-60% di questi fondi, in linea con quanto fanno oggi ungheresi, polacchi e cechi. Poi, dopo aver sviluppato una buona interfaccia con l’ESA e con l’esperienza acquisita, potremo allargare le nostre attività.
Quali sono gli altri punti previsti nella strategia quinquennale?
Il più importante è senza dubbio il lancio di un nostro microsatellite, insieme alla realizzazione di tutte le infrastrutture di terra per la ricezione e l’elaborazione dei dati. Il satellite dovrebbe chiamarsi Balkansat, ed è pensato per rispondere alle esigenze dei paesi balcanici e dell’Europa meridionale sul monitoraggio di fenomeni naturali come incendi, alluvioni e terremoti, e delle problematiche legate all’ambiente. Tutto questo avrà un costo di circa 3 milioni di leva (1,5 milioni di euro) e ci darebbe la possibilità di entrare nel programma GMES (Global Monitoring for Environment and Security), che l’ESA lancerà il 1 gennaio 2008, per la durata di 15 anni, e che è legato proprio a questo settore di studi, che sta assumendo un ruolo sempre più centrale.
Quali possibilità si aprono con la partecipazione al progetto GMES? E quali sono i rischi nel caso di restarne fuori?
Con la partecipazione attiva nel programma, la Bulgaria entrerebbe di diritto nei blocchi regionali previsti per il monitoraggio dei fenomeni naturali e dei fenomeni legati alla sicurezza, e avrebbe quindi accesso alla parte di dati che la riguardano. Con un nostro satellite potremmo inoltre vendere dati agli altri paesi il cui territorio verrà attraversato dalla sua orbita, come l’Argentina, ad esempio. Restandone fuori, bisognerebbe acquistare i dati e, in caso di necessità, si dovrà ogni volta alzare il telefono, chiedere e contrattare. Questo significherebbe poi un virtuale colpo di grazia alla ricerca spaziale in Bulgaria.
Siete impegnati anche in qualche forma di collaborazione regionale? Qual è il grado di sviluppo della ricerca spaziale nei paesi balcanici?
Al momento stiamo lavorando all’ipotesi di costituire un consorzio per l’osservazione spaziale nella regione. Da circa sei mesi collaboriamo con l’Aratos Tecnologies, un’azienda greca specializzata nel settore, per la quale abbiamo elaborato i dati sugli incendi nell’Attica dei mesi scorsi. In Grecia c’è un forte interesse e molti soldi a disposizione, ma poca esperienza, che invece noi possiamo fornire. Anche in Serbia e Macedonia c’è interesse, ma qui mancano completamente le strutture, e anche in questo caso abbiamo proposto il nostro aiuto. Le cose vanno molto meglio in Romania, che nel febbraio scorso è entrata nel PECS e che ha a disposizione un budget annuale di 4 milioni di euro. Discorso a parte invece per la Turchia, che ha un suo programma molto sviluppato sull’osservazione dei terremoti, ma che lavora soprattutto con l’aiuto e in collaborazione con gli Usa.
Il vostro Programma Spaziale Nazionale non è stato ancora approvato. Ci sono segnali che fanno sperare in senso positivo per la ripresa delle ricerche spaziali in Bulgaria?
Essere ottimisti è un dovere, ma devo dire che il governo appare molto passivo, e preferisce non affrontare chiaramente il tema. A metà marzo ho scritto personalmente al premier Serghei Stanishev, chiedendo, tra l’altro, assicurazioni sul finanziamento di quattro nostri esperimenti approvati dall’ESA nella cornice del programma SURE, che dà la possibilità agli stati non membri dell’Agenzia di accedere al laboratorio spaziale "Columbus". Il lavoro preparatorio deve essere però finanziato dallo stato proponente: si trattava, per quest’anno, di stanziare circa 100mila euro, che per un motivo o per l’altro non sono stati trovati. Come assicurare, allora, i 1,2 milioni di cui abbiamo bisogno per entrare nell’ESA? Il governo dovrebbe dire chiaramente se questa è o meno una priorità da raggiungere, o se invece abbiamo deciso di rinunciare in partenza ad entrare nell’Agenzia Spaziale Europea. Se devo essere sincero, la nostra speranza risiede soprattutto nelle pressioni dell’Ue per far rispettare ai nostri governanti gli impegni presi.