Ue, la frontiera orientale

Le nuove vie migratorie passano sempre meno per il Mar Mediterraneo. E’ il confine terrestre fra Grecia e Turchia la nuova porta d’Europa. Venti giorni fa l’Ue, attraverso l’agenzia Frontex, è intervenuta inviando uomini e mezzi, ma il sud-est Europa non è ancora preparato ad affrontare un tale fenomeno

25/11/2010, Michele Manzana -

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Migrazioni - Flickr - Gagilas

Isole Canarie, Stretto di Gibilterra, Canale di Sicilia, Mar Egeo ed ora il confine terrestre fra Grecia e Turchia. Nel giro di cinque anni le principali rotte migratorie che partono dall’Africa verso l’Europa sono cambiate parecchio e, gradualmente, si stanno spostando verso est.

Analizzando una cartina del Mediterraneo, sembra quasi di poter osservare il gioco dei vasi comunicanti: si blocca un flusso migratorio qua e se ne apre uno da un’altra parte. Con una sola costante, i flussi migratori si spostano sempre più verso est. Il confine europeo come un enorme barriera, a cui continuamente devono essere rattoppate le falle; l’agenzia Frontex – agenzia europea per la gestione del controllo alle frontiere esterne dell’Unione europea – costretta, in uno stato di eterna emergenza, ad aggiungere nuove pezze.

Ma dietro queste metafore, dietro l’immagine di un ”Europa Fortress”, dietro le cifre e i numeri asettici ci sono migliaia di vite che ogni anno tentano, spesso pagando con la morte, di fuggire alla miseria, alla fame e alla guerra. Migliaia di vittime che, come Mussa Khan, che il reportage di Paolo Martino ci ha fatto conoscere sul portale di Osservatorio Balcani e Caucaso, tentano ogni anno di raggiungere il loro personale “sogno europeo”.

Ciò che un’attenta lettura di queste cartine ci mostra però, è la mancanza di una visione globale a livello europeo per quel che riguarda il fenomeno migratorio. E’ vero, l’intervento dell’Agenzia Frontex si è rivelato, fino ad oggi, un successo. Almeno dal punto di vista che essa stessa si proponeva, la diminuzione dei flussi migratori. Le varie missioni dell’agenzia nel Mediterraneo, Hera sulle coste delle isole Canarie, Indalo nello Stretto di Gibilterra, Hermes fra Algeria e Sardegna, Poseidon nel Canale di Sicilia, Hermes nel Mar Egeo, congiuntamente alla conclusione di accordi bilaterali fra Stati membri e Stati di transito (come ad esempio il famigerato accordo Italia-Libia), si sono rivelate, al netto di tutte le discussioni per quel che riguarda il rispetto dei diritti umani, dei successi. Là dove una missione di Frontex è stata messa in atto, la riduzione dei flussi migratori nel giro di alcuni anni è visibile ed evidente. Prova lampante sono i centri d’accoglienza deserti sull’isola di Lampedusa.

Ma questi "successi" sono tali solo a livello locale. Risolto il problema in una determinata area, i migranti non scompaiono ma un nuovo flusso migratorio si apre o si intensifica solo un po’ più in là, un po’ più ad est.

Frontex Presspack Current Situation at the external borders (January – June 2010)

Le nuove rotte per l’Europa contemplano infatti sempre meno i percorsi via mare; il Mediterraneo non rappresenta più l’autostrada principale per arrivare in Europa. Le imbarcazioni fatiscenti e di fortuna cariche di migranti si vedono sempre meno nei telegiornali estivi; la riduzione è certa e, stando all’ultimo rapporto dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR), per il periodo 2009-2010, la riduzione di tali imbarcazioni nel Mar Mediterraneo supera nettamente il 50 per cento.

Allo stesso tempo però Grecia, Turchia, Balcani ed Europa dell’Est stanno diventando sempre più punto d’approdo. Ed il fenomeno è destinato ad intensificarsi nei prossimi anni. Negli ultimi due anni si sono infatti venute a delineare due rotte principali e inedite che partono entrambe dalla Turchia. La prima, completamente via terra, parte dalla Turchia e passa da Bulgaria e Romania. La seconda invece parte sempre dalla Turchia, e passa per la Grecia e l’Italia. I nuovi migranti viaggerebbero quindi principalmente via terra, nascosti su camion merci o, via mare, tentando di intrufolarsi nei traghetti che fanno la spola fra Grecia e Italia. Viaggi pericolosi, ma sicuramente meno “spettacolari” in termini mediatici rispetto alle imbarcazioni di fortuna.

Secondo le ultime cifre fornite da Frontex, quest’anno in Grecia sono stati intercettati il 90% degli immigrati che tentano di entrare illegalmente in Europa. Il confine fra Grecia e Turchia, soprattutto il confine terrestre, si sta rilevando sempre più poroso e, solo nella prima metà nel 2010, un totale di 45.000 migranti è stato intercettato sul confine greco-turco. Sempre secondo i rapporti di Frontex circa 350 migranti cercano ogni giorno di attraversare i 12 chilometri e mezzo di confine vicino alla città greca di Orestiada.

La situazione, divenuta ormai insostenibile, ha così costretto la Grecia a chiedere aiuto all’Unione europea e all’agenzia Frontex. Il 24 ottobre scorso il ministro greco della Protezione civile Christos Papoutsis ha richiesto l’intervento dei team RABIT (dall’acronimo inglese Rapid Border Intervention Teams, un gruppo di guardie di frontiera provenienti dai 27 stati membri) per ristabilire l’ordine alla frontiera greco-turca.

Accolta la richiesta, Frontex, in soli 5 giorni, il 29 ottobre, ha reso pubblici i numeri della prima missione di questo tipo nella sua storia: 175 specialisti (esperti in documenti falsi, esperti nel controllo di veicoli, unità cinofile, intervistatori, interpreti…) resi disponibili dagli stati membri dell’Ue e dai paesi Schengen associati, e innumerevoli mezzi fra cui 1 elicottero, 4 autobus, 5 minibus, 19 macchine di pattuglia e 9 camion con visori termici.

La prima missione RABIT, cominciata il 2 novembre, riveste così un significato particolare per diverse ragioni. In primis la centralità del sud-est Europa nelle nuove rotte migratorie. Questa regione, abituata ad essere un regione d’origine per quel che riguarda l’immigrazione, sta diventando sempre più una regione di transito e deve ora confrontarsi con un’ondata migratoria crescente e con un fenomeno in costante evoluzione. Grecia e Turchia non sono preparate per un tale compito, e ciò si ripercuote immancabilmente sulle garanzie date agli immigrati e sugli standard di rispetto dei diritti umani.

Diventata simbolicamente la nuova porta d’Europa, questa aerea geografica sta attirando l’attenzione di molti osservatori tanto che il primo ottobre di quest’anno l’Agenzia Frontex ha deciso di aprire nel Pireus (Grecia), un suo ufficio operativo, il primo di questo genere.

La missione ha inoltre dei risvolti a livello europeo. Rappresenta infatti, sotto molti aspetti, “una prova della solidarietà europea”, così com’è stato sottolineato da Cecilia Malmström, la Commissaria europea degli affari interni, durante una recente visita sul confine greco-turco. E i nuovi stati europei, in particolare Bulgaria, Romania, Ungheria e Slovacchia, hanno risposto prontamente, con l’invio di mezzi e personale, a questa chiamata.

Infine la prima missione RABIT è stata concepita da molti osservatori come la prima prova sul campo di un contingente europeo di guardie armate. Alla luce della discussione in Parlamento europeo su una possibile revisione del regolamento dell’agenzia Frontex per dotarla di più poteri e mezzi, questa prima missione assume immancabilmente un significato particolare.

L’area del sud-est Europa dovrà confrontarsi nei prossimi anni con un fenomeno, quello dell’immigrazione, in forte evoluzione. Ad oggi la maggior parte di questi stati non è preparata per un tale compito, e ciò si ripercuote sulle garanzie e sugli standard minimi garantiti ai migranti.

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