UE-Balcani: coesione non ricostruzione

Un’analisi a cura di Claudio Bazzocchi, dell’Osservatorio sui Balcani, del documento "Balcani occidentali ed integrazione europea" redatto dalla Commissione europea in vista del vertice di Salonicco

18/06/2003, Redazione -

UE-Balcani-coesione-non-ricostruzione1

Salonicco si prepara

Salonicco si prepara

Il 21 maggio scorso la Commissione europea ha adottato una proposta per far avanzare l’integrazione dei cinque paesi di Balcani occidentali – Albania, Croazia, Serbia e Montenegro, Bosnia-Erzegovina e Macedonia – attualmente legati all’Unione europea solo dal Processo di Stabilizzazione e Associazione (Stabilization and Association Process – Sap).

Per la prima volta, in un documento ufficiale, la Commissione adotta una strategia per andare oltre il Sap e incamminarsi verso gli accordi di pre-adesione con i cinque paesi balcanici.

La novità politica sta nel voler procedere da parte della Commissione oltre il Sap e nell’adottare alcuni degli strumenti che già sono stati utilizzati per i paesi che erano in fase di pre-adesione. Si legge infatti nel documento – che la Commissione presenterà al prossimo vertice di Salonicco – che il Sap rimarrà la pietra angolare della politica dell’Unione verso i paesi dei Balcani occidentali e che ad essa verrà data una nuova dimensione mediante elementi che hanno dimostrato il loro successo con gli altri paesi candidati. "È arrivato il momento", ha dichiarato il commissario per le relazioni esterne Patten durante la conferenza stampa di presentazione, "di arricchire la cooperazione stabilendo delle Partnership per l’Integrazione Europea". È questo il nome del nuovo quadro di relazioni fra l’Unione e i cinque paesi balcanici. Queste partnership – sempre nelle parole di Patten – sarebbero l’equivalente degli "Europe Agreements" che gli attuali dieci nuovi membri avevano firmato prima di diventare ufficialmente candidati.

Indubbiamente il segnale politico della Commissione è forte e solo per prudenza si dice che il Sap rimarrà la pietra angolare della politica della Commissione verso i Balcani occidentali. Il nuovo strumento denominato "Partnership per l’integrazione europea" lascia intendere già dal nome un significato di spessore politico che va ben oltre il Processo di Stabilizzazione e Associazione. Le parole dello stesso Patten lo stanno a confermare: "la mappa dell’Unione Europea non sarà completa finché i paesi dei Balcani occidentali non saranno compresi in essa". Questa espressione riecheggia le parole del presidente della Commissione Prodi, pronunciate a Sarajevo nell’aprile del 2002, nella giornata conclusiva dell’incontro Europe from below. In quell’occasione Prodi disse che non c’è Europa senza la presenza dei paesi balcanici.

Vediamo allora in concreto quali sono gli strumenti proposti dal documento della Commissione.

La Commissione indica prima di tutto alcuni campi di intervento fondamentali: il supporto alla costruzione delle istituzioni, lo sviluppo economico, la lotta al crimine e alla corruzione, l’integrazione regionale e la cooperazione politica, sia all’interno della regione sia nei confronti dell’Unione Europea.

Per quanto riguarda l’institution building la Commissione propone di utilizzazione il "Technical Assistance Information Exchange Office" (TAIEX) – l’ufficio che era stato fondato per i paesi in pre-adesione – anche per i Balcani occidentali per fornire assistenza tecnica al fine di adeguare la legislazione al conseguimento dell’acquis (1).

Lo strumento dei gemellaggi, che già per i paesi in pre-adesione, aveva dato ottimi risultati, viene considerato molto importante dalla Commissione affinché funzionari dei paesi membri possano portare le proprie competenze nei paesi balcanici nel campo della pubblica amministrazione.

Nell’ambito dello sviluppo economico la Commissione si impegna ad adottare le politiche necessarie alla creazione di un sistema interregionale di libero scambio, a cui i paesi interessati potranno accedere attraverso un processo step by step mediante il quale verificare il raggiungimento dei requisiti richiesti per l’accesso a tale sistema.

Per quanto riguarda il rafforzamento dello stato di diritto la Commissione inizierà un dialogo con i paesi della regione al fine di delineare obiettivi concreti e misurabili per verificare periodicamente i risultati ottenuti nel campo della giustizia e degli affari interni. La Commissione si dichiara inoltre disposta ad instaurare un dialogo concreto con i paesi interessati per avviare un processo che porti alla liberalizzazione del regime dei visti di entrata ed in generale delle politiche migratorie.

Al fine di favorire la cooperazione politica con l’UE la Commissione propone di far accedere i cinque paesi balcanici ai programmi comunitari nel campo della formazione, dell’educazione e dell’energia. La Commissione inoltre si impegnerà a favorire in ogni modo la cooperazione fra i vari parlamenti dei paesi interessati e la partecipazione dei cinque paesi in oggetto alle prese di posizione dell’UE nell’ambito della CFSP, la politica estera e di sicurezza dell’unione.

Sono questi per sommi capi i punti concreti proposti dalla commissione nell’ambito del nuovo framework della European Integration Partnership. Non si parla però nel documento di soldi, se non per un accenno al rafforzamento del budget dei programmi CARDS (2), senza menzionare però alcuna cifra. Durante la conferenza stampa il commissario Patten ha dichiarato che la Commissione chiederà al Consiglio dei Ministri dell’Unione Europea un aumento di 200 milioni di euro per i prossimi tre anni nel budget CARDS, che oggi ammonta a 4,65 miliardi di euro dal 2000 al 2006, peraltro in gran parte già spesi. Patten ha inoltre riconosciuto che si sta presentando il problema della disparità di aiuti molto forte fra Balcani occidentali e Romania e Bulgaria, paesi in pre-adesione. Sappiamo infatti che nel 2006 Romania e Bulgaria arriveranno a ricevere 1432 milioni di euro – pari al 2,5% del PIL – contro i soli 500 milioni di euro dei 5 paesi balcanici, pari all’1% del PIL. Tale divario potrebbe divenire causa di forti tensioni fra i paesi interessati, tanto che la presidenza greca dell’Unione ha stimato che da qui al 2006 sarebbero necessari altri 300 milioni di euro in più all’anno per i cinque paesi balcanici, impegno peraltro giudicato irrealistico dallo stesso Patten.

Restando in tema di fondi dobbiamo dire che si profila all’orizzonte il problema Iraq e Medio Oriente, che probabilmente renderà quasi impossibile ulteriori impegni economici dell’UE nei Balcani. Potrebbe essere proprio la questione finanziaria a rendere vano il passo politico in avanti compiuto dalla Commissione nei confronti dei paesi dei Balcani occidentali. Staremo a vedere come verrà accolto questo documento della Commissione al prossimo .

Nel frattempo è comunque importante sottolineare l’importanza politica della proposta adottata a maggio dalla Commissione. Con essa infatti si dice che d’ora in avanti l’Unione Europea dovrà impegnarsi affinché i cinque paesi dei Balcani occidentali possano gradualmente soddisfare tutti i requisiti dell’acquis comunitario. Insomma, per la Commissione la fase della ricostruzione che aveva caratterizzato il SAP sta per finire, e occorre andare oltre con nuovi strumenti che – anche se non formalmente – trattino i paesi dei Balcani occidentali alla stregua di paesi in pre-adesione. Sappiamo che questa esigenza circolava da tempo nel dibattito sull’integrazione europea da parte di autorevoli analisti. Dalla fine dello scorso anno il centro di ricerca tedesco European Stability Initiative – ESI – aveva concentrato la propria analisi sulla necessità di considerare i paesi dei Balcani occidentali alla stregua delle regioni depresse dell’Unione Europea che sono state aiutate dai fondi strutturali. La proposta di ESI è infatti quella che di adottare la stessa politica di coesione che fu adottata per le aree deboli dell’Unione mediante i fondi strutturali, dal momento che le condizioni di debolezza strutturale della regione balcanica occidentale non sarebbero molto diverse da quelle delle aree dell’Unione che hanno beneficiato dei fondi strutturali.

In un documento del marzo scorso dal titolo "The Road to Thessaloniki: Cohesion and Western Balkans", si fa presente la contraddizione secondo la quale i cinque paesi balcanici non potranno mai essere considerati credibili senza aver risolto i propri problemi economici strutturali, e non potranno risolverli senza essere trattati dall’Unione alla stregua di paesi in pre-adesione. È chiaro che una direzione del genere apre una questione politica di rilievo, poiché richiede il cambiamento delle procedure di accesso all’Unione Europea per i paesi balcanici. Sappiamo bene infatti che la maggioranza di quei paesi non sarà in grado di passare allo status di paese candidato senza una sforzo politico ed economico consistente e rapido da parte dell’UE.

C’è un precedente – secondo ESI – che può essere sfruttato per iniziare il ragionamento sull’entrata in tempi rapidi dei paesi balcanici: quello della Turchia. Il caso della Turchia ha fatto sì che la distinzione fra paesi europei candidati e paesi europei che invece ricadano nell’assistenza che l’UE riserva a tutti i paesi cosiddetti in via di sviluppo si sia sfumata. Nel 1999, infatti, la Turchia ha ottenuto lo status di candidato, ma ha continuato a ricevere fondi di assistenza dalla Direzione generale per gli Affari Esterni, e non da quella per l’Allargamento. La decisione presa a Copenhagen nel dicembre 2002 è stata quella di garantire alla Turchia i fondi provenienti dal budget per l’allargamento, senza però aprire i negoziati fino alla fine del 2004. La Turchia costituisce così una nuova categoria: pre-accesso senza negoziati. La proposta di ESI è allora quella di far entrare anche i paesi dei Balcani occidentali in questa nuova categoria.

Che questi argomenti siano all’ordine del giorno ormai dei ragionamenti sull’integrazione dei paesi balcanici lo sta a dimostrare anche l’appello congiunto (The EU and Southeastern Europe need each other) che Stjepan Mesic, presidente della Croazia, Boris Trajkowski, presidente della Macedonia, Zoran Zivkovic, primo ministro serbo, e Fatos Nano, primo ministro albanese, hanno rivolto ai paesi dell’Unione Europea dalle colonne dell’Herald Tribune il 22 maggio scorso, in vista del vertice di Salonicco. Nell’appello si propone ai paesi dell’UE di concentrare le proprie politiche di aiuto nei confronti dei Balcani occidentali sul versante della coesione, così come suggerito dal documento della presidenza greca di turno del gennaio 2003 che si occupa dell’integrazione dei Balcani occidentali (3) (Working Document: Greek Presidency Priorities for the Western Balkans). Possiamo allora leggere nell’appello, che fa riferimento diretto anche alla proposta ESI sui fondi strutturali:

"L’Unione Europea ha ottenuto un notevole successo economico nell’aiutare le regioni più povere. Irlanda, Grecia, Spagna e Portogallo hanno fatto esperienza di vere e proprie rivoluzioni nello sviluppo sociale ed economico negli ultimi 20 anni. Questo è stato possibile grazie ad una ricetta che prevedeva tre politiche fondamentali: integrazione in un mercato più largo, appropriate misure macroeconomiche e fiscali e diretto supporto da parte dell’UE tramite i fondi strutturali.

Noi siamo impegnati ad aprire i nostri mercati ai vicini e all’UE. Abbiamo fatto grandi progressi nel tagliare l’inflazione. E siamo ora molto incoraggiati dalla proposta della Grecia, presidente di turno dell’Unione, che il vertice di Salonicco possa essere l’occasione per discutere sulla possibilità di applicare le politiche di coesione e sviluppo anche nella nostra regione".

Per concludere possiamo dire che il documento della Commissione sull’integrazione dei Balcani occidentali rappresenta un piccolo passo nella direzione di considerare i cinque paesi balcanici come se fossero in pre-adesione e addirittura come possibili beneficiari delle politiche di coesione. In questo momento probabilmente la Commissione non poteva essere più coraggiosa, viste le forti tensioni che segnano l’Unione alla vigilia del vertice di Salonicco e la battaglia politica all’interno della Convenzione. Le questioni politiche fondamentali – che finalmente guardano alla coesione piuttosto che alla ricostruzione – sono state poste. Si tratta ora di attendere lo sviluppo degli eventi e di alimentare il dibattito nella direzione proposta dalla presidenza greca, dall’Esi e dall’appello dei quattro leader balcanici.

Claudio Bazzocchi

(1). L’acquis comunitario corrisponde alla piattaforma comune di diritti ed obblighi che vincolano l’insieme degli Stati membri nel contesto dell’Unione europea. Esso è in costante evoluzione ed è costituito:
· dai principi, dagli obiettivi politici e dal dispositivo dei Trattati;
· dalla legislazione adottata in applicazione dei Trattati e dalla giurisprudenza della Corte di giustizia;
· dalle dichiarazioni e dalle risoluzioni adottate nell’ambito dell’Unione;
· dagli atti che rientrano nella politica estera e di sicurezza comune (2° pilastro dell’UE);
· dagli atti che rientrano nel contesto della cooperazione giudiziaria e di polizia in materia penale (3° pilastro dell’UE);
· dagli accordi internazionali conclusi dalla Comunità e da quelli conclusi dagli Stati membri tra essi nei settori di competenza dell’Unione.

(2). CARDS è il programma di assistenza alla ricostruzione, allo sviluppo ed alla stabilizzazione dei Balcani occidentali. Il programma è congegnato in modo da introdurre un approccio strategico nell’assistenza fornita ai Paesi SAP: man mano che un singolo Paese progredisce nel Processo di Stabilizzazione e di Associazione, l’assistenza viene concentrata sul supporto alle riforme necessarie alla specifica fase. Per consentire tale flessibilità, l’assistenza diviene oggetto di un Quadro strategico per il periodo 2000-2006, di una programmazione triennale e di una programmazione annuale, esaminati da un Comitato di gestione.

(3). Nel documento della presidenza greca si legge infatti: «Nel momento in cui i paesi balcanici passano dalla stabilizzazione e ricostruzione all’associazione e ad un sostenibile sviluppo, diventano sempre più importanti le politiche che perseguono la coesione sociale ed economica sia a livello regionale sia a livello nazionale, a maggior ragione tenendo a mente i livelli di disoccupazione molto alti in molti di quei paesi, così come la dimensione sociale e regionale dei problemi etnici. La Presidenza greca intende iniziare a riflettere su come integrare l’obiettivo della coesione sociale ed economica nelle politiche dell’UE verso la regione, e in che modo e con quali mezzi, inclusi quelli finanziari, promuovere la coesione mediante il Processo di Associazione e Stabilizzazione».

Commenta e condividi

La newsletter di OBCT

Ogni venerdì nella tua casella di posta