Ucraina, tra desiderio di pace e voglia di resistere
Alla vigilia di un nuovo incontro tra Trump e Putin a Budapest, la società ucraina, secondo i sondaggi, appare divisa. Da un lato, è favorevole a un congelamento del conflitto, dall’altro crede ancora nella vittoria. In ogni caso, la pace ad ogni costo è rifiutata categoricamente

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Kyiv, Ucraina © Toomko/Shutterstock
L’incontro dello scorso 17 ottobre 2025 tra il presidente ucraino Volodymyr Zelens’kyj e Donald Trump alla Casa Bianca ha segnato un altro momento cruciale nel percorso dei negoziati in corso tra Mosca e Kyiv con mediazione statunitense per la risoluzione del conflitto, il nono a cui Trump è convinto di porre la parola fine.
Dopo quasi dieci mesi di tensioni diplomatiche e relazioni instabili con l’amministrazione americana, l’Ucraina si è trovata, di nuovo, di fronte a un nuovo potenziale punto di svolta. Il presidente degli Stati Uniti ha annunciato un imminente vertice con il presidente russo, Vladimir Putin, a Budapest, invitando entrambe le parti in causa a “fermarsi dove sono” e finire questo bagno di sangue.
Ma dietro tutte queste strette di mano diplomatiche e dichiarazioni ufficiali, come reagisce la società civile ucraina? Quale sentimento prevale tra chi, da quasi quattro anni, vive sotto i bombardamenti, ha perso familiari, ha visto distruggere le proprie città e le proprie case? Per comprendere la vera posta in gioco, è necessario guardare oltre le sale del potere e ascoltare le voci di chi questa guerra la sta vivendo sulla propria pelle.
L’incontro Zelens’kyj-Trump di ottobre: un déjà-vu amaro
La visita di Zelens’kyj alla Casa Bianca del 17 ottobre ha evocato, nei molti osservatori ucraini e non solo, il disastroso vertice del 28 febbraio scorso, quando il presidente americano e il vicepresidente JD Vance avevano pubblicamente attaccato Zelens’kyj, accusandolo (tra le altre cose) di essere “ingrato” nei confronti del sostegno americano e causando uno scandalo nel paese e l’indignazione internazionale.
Questa volta, nonostante l’atmosfera sia stata diversa, i risultati concreti hanno lasciato l’Ucraina in uno stato di incertezza ancora maggiore. La richiesta di missili Tomahawk , che il capo di Stato ucraino ha posto al centro della sua visita a Washington, addirittura disposto a scambiarli con droni moderni e sofisticati, è stata sostanzialmente respinta: Trump ha dichiarato (guarda caso dopo la sua telefonata con Putin , il quale avrebbe sottolineato che i Tomahawk non avrebbero avuto un impatto significativo sul campo di battaglia, ma andrebbero comunque a danneggiare le relazioni tra Stati Uniti e Russia) di voler “provare a finire la guerra senza i Tomahawk ”, preferendo la via diplomatica e dimostrandosi inflessibile di fronte alle pressioni ucraine. Il messaggio è stato chiaro: l’America di Trump vuole la pace, non l’escalation.
La paura del tradimento e della “pace russa”
I recenti sondaggi condotti tra la popolazione ucraina rivelano un paradosso sorprendente. Secondo un’indagine del Kyiv International Institute of Sociology (KIIS) di settembre 2025 , tre quarti degli ucraini (76%) crede nella possibilità di una vittoria dell’Ucraina con un adeguato sostegno da parte delle sanzioni contro la Russia e la fornitura di armi e denaro sufficienti.
L’ultima versione del piano di pace russo (che prevede il ritiro delle truppe ucraine dal Donbas) è categoricamente respinta dal 75% degli ucraini, solo il 17% è disposto ad accettare tali condizioni. Allo stesso tempo, se una simile proposta venisse attuata, il 65% lo considererebbe un fallimento per l’Ucraina (e solo per il 7% sarebbe un successo), mentre il 69% si aspetterebbe un nuovo attacco russo.
D’altro canto, seppur dubbiosi, gli ucraini approverebbero in maggioranza anche un congelamento del conflitto, come pensato dagli europei: l’attuale linea del fronte rimarrebbe non riconosciuta e all’Ucraina sarebbero garantite delle misure di sicurezza.
In un recente articolo di Ukrains’ka Pravda, Anton Hrušeckyj, direttore esecutivo del KIIS, spiega questa apparente contraddizione in maniera molto semplice: “La risposta alla domanda sul desiderio di negoziati non può essere considerata separatamente da diverse altre questioni. […] Se chiedete a qualsiasi persona normale quale sia il modo migliore per porre fine alla guerra, vi risponderà ‘attraverso i negoziati’. Ma la domanda corretta è: quali concessioni sono disposti a fare gli ucraini? E qui il quadro si ribalta completamente”.
Gli ucraini, insomma, sono disposti a negoziare, ma da una posizione di forza, non di debolezza. Dimostrano senza alcun dubbio un sincero desiderio di pace e rimangono flessibili nel discutere anche compromessi dolorosi, come il rinvio della liberazione di alcuni territori occupati. Tuttavia, rimane comunque un consenso inequivocabile contro una resa e una pace a qualsiasi costo e condizione.
E i numeri a tal riguardo sono eloquenti: mentre il 32% degli ucraini si dice oggi disposto a cedere territori in cambio della pace (rispetto al 10% del 2022), il 58% continua a rifiutare questa prospettiva. Inoltre, la società civile ucraina comprende perfettamente che un cessate il fuoco senza garanzie di sicurezza credibili sarebbe solo una pausa prima di una guerra ancora più ampia.
Dietro tutto ciò si nasconde anche un’altra paura profonda: quella del tradimento occidentale. Gli intellettuali ucraini hanno lanciato appelli disperati all’Occidente affinché non ceda. Un veterano di guerra ucraino, Jurij Bohdančenko, che ha perso la gamba destra dopo aver calpestato una mina russa nella regione di Cherson nel 2023, ha espresso con chiarezza il sentimento di molti : “Putin pensava che conquistarci sarebbe stato facile, ma quando ha incontrato tale resistenza, non si è fermato perché non voleva che il mondo lo considerasse debole”.
Gli ucraini sono una popolazione profondamente lacerata tra il desiderio disperato di pace e la determinazione a non cedere. Le città continuano a essere bombardate quotidianamente, con le infrastrutture energetiche che diventano sempre di più un obiettivo costante, per rendere impossibile un altro inverno a milioni di ucraini. In questo contesto, qualsiasi discussione su un cessate il fuoco e delle concessioni territoriali assume una dimensione esistenziale.
Il ruolo cruciale delle garanzie di sicurezza
Per la società civile ucraina, il vero banco di prova di qualsiasi accordo di pace, però, non sarà la linea di cessate il fuoco, ma le garanzie di sicurezza che l’accompagneranno. La Costituzione ucraina richiede un referendum per qualsiasi modifica ai confini nazionali, ma, anche se gli ucraini votassero in favore della cessione di territorio (cosa improbabile secondo i sondaggi), l’accordo sarebbe comunque illegale secondo il diritto internazionale.
Come ha spiegato l’avvocato Jeremy Pizzi alla CNN : “Indipendentemente dalla Costituzione ucraina, Zelens’kyj, o chiunque altro, non può cedere territori conquistati attraverso un’azione militare aggressiva. Il divieto di ricorrere alla forza armata per conquistare territori è assoluto ai sensi del diritto internazionale […] esiste un principio fondamentale unico che è sancito in modo chiaro e inequivocabile nella Carta delle Nazioni Unite: l’uso della forza è severamente vietato. Ciò significa anche che qualsiasi trattato ottenuto con l’uso della forza è di fatto illegale e intrinsecamente nullo”.
Il rischio maggiore di un cessate il fuoco rapido senza garanzie solide è che Putin lo utilizzi semplicemente per riorganizzare l’economia russa e ricostituire le sue forze militari. Le forze terrestri russe hanno perso oltre 700 mila soldati tra morti e feriti senza nemmeno ottenere il controllo completo della regione di Donec’k.
La questione delle garanzie di sicurezza ha assunto quindi un’urgenza particolare dopo il chiaro disimpegno americano. Subito dopo l’incontro del 17 ottobre, Zelens’kyj ha tenuto una videoconferenza con i leader europei , che hanno ribadito il loro impegno incrollabile verso l’Ucraina di fronte all’aggressione russa in corso e la volontà di stilare un vero e proprio piano di pace ucraino . Ma le parole sono una cosa, i fatti un’altra: l’Europa ha dimostrato capacità di resilienza nel sostenere l’Ucraina quando gli Stati Uniti si sono ritirati, ma è davvero pronta a fornire garanzie di sicurezza concrete? È disposta a schierare truppe sul terreno per far rispettare un cessate il fuoco?
Budapest e oltre: l’incognita Putin
Il vertice annunciato tra Trump e Putin a Budapest rappresenta l’incognita maggiore per gli ucraini. Trump ha già incontrato Putin in Alaska ad agosto, un summit ad alto profilo che non ha prodotto progressi concreti, e gli esperti temono che questo nuovo incontro bilaterale ospitato da Orbán ne sia una ripetizione. Ora Trump spera in risultati migliori a Budapest, ma Putin ha dimostrato ripetutamente di saper giocare col tempo.
Per la società civile ucraina, la grande paura è che Trump cada in una “trappola russa”, accettando un cessate il fuoco che lascerebbe l’Ucraina vulnerabile e permetterebbe a Putin di riorganizzarsi. Il presidente russo ha già rifiutato la proposta di cessate il fuoco di 30 giorni, suggerendo invece un divieto di attacchi alle infrastrutture energetiche (che non ha poi rispettato).
La dinamica negoziale favorisce Putin: le sue forze continuano ad avanzare lentamente ma in maniera costante in Ucraina. Perché, allora, dovrebbe accettare un cessate il fuoco ora, quando sente che la coalizione internazionale a sostegno dell’Ucraina sta tentennando?
Il verdetto finale sulla diplomazia di Trump in Ucraina non verrà dalla sala dei vertici a Budapest o dalla Casa Bianca, ma dalle strade di Kyiv e dalla gente che abita le altre città ucraine. Si percepisce ancora rispetto per lo sforzo del presidente ucraino, ma c’è anche la sensazione che la finestra di influenza ucraina a Washington si stia restringendo, e che queste visite stiano diventando rituali più che strumenti di pressione reale.
La società civile ucraina si trova in un momento sospeso. Da un lato, il desiderio di pace è palpabile: ogni giorno muoiono migliaia di persone, le città vengono distrutte, le famiglie separate; dall’altro, c’è la consapevolezza acuta che una pace sbagliata potrebbe essere peggiore della guerra. Per ora, la posizione degli ucraini può sembrare contraddittoria ma è profondamente razionale: sì al cessate il fuoco, sì ai negoziati, ma non a qualsiasi condizione. La pace deve essere giusta, deve essere duratura, e soprattutto deve essere garantita. Tutto il resto non è pace, è solo una pausa prima della prossima escalation.
La domanda cruciale rimane, perciò, sempre la stessa: parlare di cosa e con quali garanzie?
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