Ucraina: Slovo, da “casa della parola” a incubo

"Slovo" è un complesso residenziale, costruito negli anni 20 del ‘900 nella ex capitale dell’Ucraina Charkiv, con appartamenti per i letterati ucraini. Il garantire un’abitazione dignitosa era solo una preoccupazione marginale: si trasformò presto in un incubo di controllo, delazioni e arresti

12/05/2020, Claudia Bettiol - Kiev

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Immagine tratta dal portale proslovo.com

(Pubblicato in collaborazione con Eastjournal )

Alla fine degli anni Venti del Novecento nel centro di Charkiv, città dell’Ucraina orientale, fu costruito un unico grande blocco di appartamenti a forma di lettera “С” – la “S” dell’alfabeto cirillico. La sua forma disegna la lettera iniziale della parola слово (slovo), ovvero "parola": l’edificio era, infatti, stato appositamente pensato per ospitare i più importanti uomini di lettere ucraini, i quali sarebbero vissuti l’uno accanto all’altro occupando i 66 appartamenti di lusso che lo componevano. In realtà, tale disegno architettonico-antropologico sovietico aveva anche un suo lato oscuro: il controllo totale dello stato sull’intelligencija della neo-nata Repubblica Socialista Sovietica Ucraina (RSSU).

Charkiv, prima capitale

Rispettabile cittadina ucraina sin dagli anni Venti dell’Ottocento, la città di Charkiv – che oggi conta quasi un milione e mezzo di abitanti – è stato un importante centro culturale dapprima sotto l’impero russo e, successivamente, nel primo periodo sovietico. Fu qui che, nel 1812, nacque il primo giornale stampato in lingua ucraina dell’impero, chiamato Char’kovskij Eženedjel’nyk’ – “Il settimanale di Charkiv” – che diede vita alle prime edizioni e pubblicazioni di opere letterarie in ucraino e che fece crescere intellettualmente questa città dell’Ucraina orientale e, con sé, il resto del paese.

Dal 19 dicembre 1919 al 24 giugno 1934, Charkiv fu la prima capitale della Repubblica Socialista Sovietica Ucraina. Sebbene fosse Kiev il centro culturale e politico del paese – capitale della Repubblica Popolare Ucraina – i bolscevichi giunti al potere in seguito ai moti rivoluzionari del 1917 designarono Charkiv come città capitale della RSSU non solo per la sua posizione (più vicina alla frontiera russa), ma anche per il supporto bolscevico riscontrato in questa parte del paese. Charkiv divenne così il terzo fulcro industriale per importanza di tutta l’Unione Sovietica, nonché un grande centro scientifico e culturale: vantava numerosi istituti di ricerca e tra le migliori università al mondo. Ancora oggi, in termini di istruzione e scienza, le università e gli istituti di ricerca di Charkiv sono tra i migliori del paese (e talvolta dell’Europa orientale), spesso e volentieri in competizione con quelli dell’attuale capitale. A Charkiv sono nati poeti, scrittori, scienziati e artisti tra i più famosi di tutta la storia ucraina e sovietica: il pedagogista ed educatore Anton Makarenko, lo scienziato Vasil’ Karazin (fondatore dell’università omonima) e l’uomo di lettere Volodymyr Dobrovolskij, solo per citarne alcuni; senza dimenticare i contemporanei Serhij Žadan , autore e frontman di due band musicali, Serhij Babkin e Andrij Zaporožcija, entrambi componenti del gruppo “5’nizza ”.

Image from proslovo.com

Il fatto che Charkiv fosse capitale ha, quindi, influenzato in modo significativo il processo di ucrainizzazione della città e del paese: negli anni Venti la lingua e la cultura ucraina ebbero modo di svilupparsi e numerose furono le organizzazioni che tenevano incontri e discussioni a tema letterario e che andarono in declino già a partire dagli anni Trenta, quando la capitale fu trasferita a Kiev e Charkiv perse parte della sua atmosfera stimolante. Il trasferimento della capitale avvenne nel 1934, ovvero subito dopo la tragedia dell’Holodomor (1932-33) che determinò la morte per inedia e malnutrizione di quattro milioni di ucraini, in primo luogo contadini; anche per questo motivo Charkiv viene talvolta ricordata come “la capitale della carestia”. Nel corso dei tre lustri che la videro capitale, la città dette però il meglio di sé dal punto di vista soprattutto culturale e in questa atmosfera di rinascita nacque il complesso abitativo Slovo.

Dal sogno all’incubo

In Unione Sovietica sull’identità culturale, etnica e religiosa, doveva avere la meglio, almeno a parole, quella di classe. La professione diveniva uno dei tratti distintivi dell’individuo e lo riconduceva all’interno di un gruppo con uguali mansioni, abitudini, necessità – addirittura, situazione abitativa. Era quindi comune imbattersi in blocchi di appartamenti destinati a ferrovieri, insegnanti, operai o alla nomenklatura del partito. Per la classe intellettuale di Charkiv allora nacque Slovo, un complesso residenziale costruttivista a forma letteralmente di Parola.

L’edificazione in quegli anni rispondeva anche a necessità effettive: le condizioni di vita sociali ed economiche piuttosto sfavorevoli del primo dopoguerra si fecero, infatti, sentire anche tra gli artisti ucraini. Chi tra loro apparteneva alla vecchia classe aristocratica e non era emigrato si trovò costretto, secondo le nuove regole del partito, a ospitare famiglie di “compagni proletari” nelle stanze che risultavano “in eccedenza” nei loro ormai ex-appartamenti di proprietà (nazionalizzati dai bolscevichi). La lettura di Cuore di cane di Michail Bulgakov, scrittore nato a Kiev, può rendere un’idea del fenomeno di quegli anni. Altri uomini di lettere, meno fortunati, che non potevano permettersi di pagare un alloggio (i prezzi a Charkiv erano più alti rispetto a Kiev), si arrangiavano come potevano, spesso vivendo in ufficio o in posti improvvisati, conservando i loro preziosi manoscritti nelle pentole, in modo tale da preservarli dai topi. Fu così che, a metà degli anni Venti, gli scrittori contadini del circolo Pluh (“Aratro”), capitanati da Ostap Vyšnija , si rivolsero al governo dei Soviet con la richiesta di edificare un complesso abitativo che potesse accogliere tutti i più importanti intellettuali ucraini e garantir loro una sistemazione dignitosa.

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L’idea fu subito approvata dai bolscevichi e il progetto del complesso Slovo fu affidato all’architetto Mychaijlo Daškevyč. Anche se vicinissimo al centro città, Slovo si trovava – e si trova tuttora – nel bel mezzo dell’accogliente periferia della città, all’attuale n° 9 di Vulycja Kultury (via della Cultura). Interamente costruiti con i migliori materiali disponibili all’epoca, i 66 appartamenti – di cui due destinati all’amministrazione condominiale – erano distribuiti su 5 piani e accessibili grazie a 5 entrate; avevano tutti 3 o 4 stanze e grandi finestre, il che era un vero lusso per il tenore di vita di quegli anni; inoltre, al piano terra, era stata organizzata una scuola materna, mentre sul tetto l’architetto aveva realizzato un solarium. I lavori iniziarono nel 1927 e si protrassero per due anni. Tuttavia, per completare il progetto furono necessari alcuni finanziamenti ulteriori, che pervennero direttamente dal Cremlino: nel 1929 alcuni scrittori si recarono infatti a Mosca in occasione della "settimana della cultura ucraina" e Ostap Vyšnija ebbe il coraggio di chiedere a Stalin in persona gli aiuti economici destinati a Slovo. Stalin lo accontentò il giorno stesso.

Il quesito sorge spontaneo: perché il “buon” dittatore aveva così a cuore le sorti dell’intelligencija ucraina? Non occorre andare lontano per conoscerne la risposta: il controllo assoluto della classe intellettuale, raggruppata in un unico edificio, sarebbe stato più semplice che mai da attuare. Infatti, nel 1929, quando ai primi futuri residenti venivano assegnati i rispettivi appartamenti, pochi potevano immaginare che i telefoni appositamente installati in ogni casa (oggetto evidentemente non comune per quel tempo) sarebbero diventati veri e propri testimoni chiave per spiare la maggior parte degli abitanti del complesso e, addirittura, “invitare” i più spaventati alla denuncia dei loro vicini. Fu presto chiaro, quindi, che un edificio come Slovo era perfetto per il regime, che poteva osservare, esercitare pressione e perseguitare ogni singolo scrittore; nonché, toglierlo di mezzo.

A Mosca c’è un edificio che ricorda indubbiamente Slovo (e viceversa) sia sul piano architettonico che funzionale: La casa sul lungofiume (Dom na naberežnoj ). Realizzata tra il 1927 e il 1931 in stile costruttivista, la struttura accoglieva 505 appartamenti abitati da diversi membri della nomenklatura del partito; è tristemente nota per il gran numero di arresti avvenuti durante il periodo delle grandi purghe e protagonista del romanzo omonimo di Jurij Trifonov.

La vita breve degli abitanti di Slovo

Molti furono gli artisti ucraini che si trasferirono a Charkiv da tutta l’Ucraina e che chiesero un alloggio presso Slovo; alcuni avevano un passato e delle ideologie piuttosto ambigui, tant’è che il complesso abitativo raccolse scrittori, poeti, registi e attori più o meno simpatizzanti del nuovo regime comunista. In particolare, tra i primi inquilini che si insediarono, ci furono tre scrittori appartenenti all’Associazione ucraina di scrittori proletari (Vseukrajnska spilka proletarskyсh pysmennyсhiv o VUSPP ) che lottava contro il nazionalismo borghese e aveva come scopo quello di creare un "realismo socialista" all’interno del mondo dei letterati. Furono proprio loro i primi a denunciare più o meno volontariamente i vicini di casa, dando vita a un periodo di repressione che causò il declino definitivo di Slovo e di Charkiv.

Tra i primi arresti ufficiali, nel 1931, ci fu quello dell’attrice e scrittrice Galyna Orlivna, moglie del poeta Klym Polišuk. Incarcerata il 20 gennaio per non aver denunciato il marito considerato “antisocialista” – che fu giustiziato a colpi d’arma da fuoco nel 1937, in Carelia, insieme ad altri 9 scrittori – fu condannata a cinque anni di prigione e non poté mai più tornare in Ucraina. Gli altri arresti seguirono a ruota, tutti con accuse simili: “incitazione controrivoluzionaria tramite opere letterarie”. Il 1933 fu l’anno più tragico: lo scrittore ucraino Mychajilo Jalovyj venne arrestato per "spionaggio", inizialmente condannato a dieci anni di lavori forzati, poi alla pena di morte; il giorno successivo, durante una conversazione sul caso Jalovyj tra vicini, lo scrittore Mykola Chvyl’ovyj si sparò nella sua stanza, al colmo della disperazione.

L’ondata di repressioni si abbatté su ben 40 dei 66 appartamenti: 33 furono gli abitanti giustiziati, 5 i condannati a morte, un suicidio e una morte in circostanze poco chiare. Una repressione che coincise con una delle carestie più controverse di sempre, quella dell’Holodomor, considerata una politica intenzionale di genocidio nei confronti della popolazione ucraina.

Il destino di Slovo

Nel 1934, quando la capitale fu trasferita da Charkiv a Kiev, molti scrittori ebbero la possibilità di andarsene dalla città e da Slovo. Il complesso fu lasciato disabitato per diversi anni, in particolare durante la Seconda guerra mondiale, e si ripopolò di scrittori e pittori della nuova generazione solo a partire dagli anni Cinquanta. Oggi è abitato da cittadini comuni, non necessariamente da letterati o familiari di artisti.

Per non dimenticare questo periodo di repressioni, nel marzo 2017, è stato lanciato il progetto di ricerca ProSlovo interamente dedicato a questa struttura costruttivista e alle storie dei suoi residenti; è stato anche realizzato un documentario che segue la vita e le vicende della “casa della parola”, dalla sua nascita al rispettivo declino e abbandono. Slovo è stato, e rimane ancora oggi, un piccolo capitolo della storia dell’Ucraina.

Il documentario di ProSlovo:

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