Ucraina, nuovo controverso direttore all’Istituto della Memoria Nazionale
Oleksandr Alfyorov, proveniente dalla Terza Brigata d’Assalto, è stato recentemente nominato direttore dell’Istituto Nazionale della Memoria ucraino. Una decisione che fa discutere, viste le accuse di revisionismo e strumentalizzazione della memoria storica

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Simbolo della Terza Brigata d’Assalto - © Oleh Dubyna/Shutterstock
Oltre a quello fisico e concreto, fatto di città ed ecosistemi distrutti da bombe e combattimenti, la guerra cambia spesso anche il paesaggio mentale e simbolico di un paese, la percezione che le comunità nazionali hanno di sé.
Per l’Ucraina la questione diventa particolarmente pressante, anche a partire dal fatto che la sua identità specifica viene costantemente messa in discussione o negata dalla retorica con cui le autorità russe giustificano la propria invasione militare.
Nei territori occupati, questa ha anche come conseguenza una progressiva “russificazione ” forzata della società, attraverso l’imposizione della cittadinanza, modifiche nei curricula scolastici e talvolta divieti linguistici.
In questo senso, la reinterpretazione del passato e le politiche della memoria acquisiscono una rinnovata centralità. Molto si parla di come ucraini e ucraine stiano sempre più abbandonando l’idioma russo (che per una buona percentuale di cittadini rappresenta la propria lingua madre).
Anche in campo culturale, cinema, teatro o letteratura sono investiti da un ampio dibattito su cosa debba essere considerato propriamente “ucraino” e cosa no così come da un crescente rifiuto verso opere e autori percepiti come russi, la cui influenza nella storia e nella vita ucraine viene sempre più letto come un segno di dominazione imperiale.
Infine, con l’invasione su larga scala, si è intensificato anche il processo di “de-russificazione” dello spazio pubblico, con una ridenominazione della toponomastica e l’eliminazione di statue e monumenti legato al passato sovietico o zarista.
La nomina di Alfyorov
Proprio la persona a capo del comitato impegnato in quest’opera di “de-russificazione” a Kyiv, Oleksandr Alfyorov, è stato recentemente nominato direttore dell’Istituto Nazionale della Memoria ucraino.
La ministra degli esteri russa Marija Zacharova, di certo non nuova ad affermazioni sopra le righe, ha così commentato la notizia: “Alfyorov è una persona nota per il suo amore e il suo encomio nei confronti di Adolf Hitler. Dopo aver cresciuto una generazione di neo-banderisti, ecco che il regime di Kyiv (appellativo con cui la retorica del Cremlino è solita delegittimare il governo ucraino, ndr) si serve di loro”.
Al di là degli evidenti toni propagandistici e delle volute distorsioni operate costantemente dai rappresentanti di Mosca, qualcosa di vero nelle parole di Zacharova c’è.
Il nuovo direttore dell’Istituto Nazionale della Memoria proviene in effetti dalla Terza Brigata d’Assalto, battaglione attivo nelle forze armate ucraine – di recente promosso a corpo d’armata – comandato da Andrii Biletskyi, già fondatore dell’ormai celebre e chiacchierato gruppo di combattenti di estrema destra “Azov”, attivi come paramilitari durante la prima fase del conflitto nel 2014 e poi successivamente integrati nell’esercito regolare, fino appunto a evolversi nel comparto attuale.
Per la Terza Brigata d’Assalto, il nuovo direttore ha svolto compiti educativi e formativi. In generale, attraverso il suo lavoro da storico e divulgatore (oltre che da responsabile della “de-russificazione di Kyiv), Alfyorov lascia trasparire un’impostazione fortemente nazionalista e, anche, una tendenza a rielaborare il passato (pure remoto) del paese più per servire scopi di natura politica che per favorire la costruzione di una memoria collettiva il più possibile oggettiva e attenta alle sfumature.
Per esempio, in diverse interviste , ha espresso una visione ciclica della storia e in particolare dei rapporti russo-ucraini, dicendo che pure l’attuale invasione da parte di Mosca non deriva da decisioni governative o da specifiche ideologie (il putinismo o, come viene spesso declinato l’imperialismo russo, “rushismo”) ma da una “mentalità del popolo russo” che è “destinata a riproporsi in eterno, finché non sarà la Russia stessa a cessare di esistere”.
Similmente, anche le complesse differenze che hanno attraversato la storia ucraina vengono spesso ridotte a “interferenze di Mosca”, o, come nel caso delle tendenze socialiste di inizio XX secolo, a una “malattia”.
Per esempio, in un’intervista del 2024, ha suggerito come “bisogna[sse] fucilare i bastardi malati di socialismo. Anche Volydymyr Vinnyčenko (primo ministro della Repubblica popolare ucraina e poi capo del Direttorio di ispirazione socialista tra il 1918 e il 1919 insieme a Symon Petljura, ndr) si poteva fucilare. Perché una persona che prende soldi dai moscoviti per organizzare un’insurrezione anti-statale, e poi, diventato a capo di quello Stato, pretende 17 milioni di grivnie da altri per andarsene, visto che lì non faceva nulla, è un bastardo. E poi a Nizza si è comprato una villa, faceva parte di un collettivo di nudisti e riceveva compensi per i suoi racconti dall’Unione Sovietica,” ha sostenuto Alfyorov.
In un suo intervento particolarmente controverso ai microfoni di RBC Ukraina , Alfyionov ha spiegato che sarebbe scorretto paragonare Vladimir Putin ad Adolf Hitler, perché quest’ultimo "era un artista ed è cresciuto con la filosofia e la cultura tedesche".
“Gemelli siamesi”
L’Istituto della Memoria Nazionale cui Alfyorov è stato messo a capo è un’istituzione che già in passato ha fatto molto parlare di sé, talvolta più all’estero che nella stessa Ucraina.
Sotto la direzione di Volodymyr V"jatrovyč (2014-2019), sono state portate avanti iniziative di revisione profonda dei legami con il passato sovietico che ancora sussistono nello spazio pubblico del paese: le cosiddette “leggi di de-comunistizzazione”, che si sono intensificate con l’invasione su larga scala e che in alcuni casi hanno anche prodotto frizioni presso l’opinione pubblica.
In più, ha ripreso vigore la riabilitazione dei movimenti di liberazione nazionale attivi in Ucraina durante la seconda guerra mondiale quali l’OUN-UPA (che si macchiarono di crimini di guerra e arrivarono a collaborare con le forze d’occupazione nazista) e di figure controverse come quella di Stepan Bandera (già “eroe dell’Ucraina” dal 2010), che hanno in parte compromesso le relazioni istituzionali con l’Istituto polacco della memoria, a sua volta penetrato da marcate tendenze ultra-nazionaliste polacche.
A questo proposito, commenta per OBCT lo storico ucraino Heorhii Kasianov, “fra i due paesi le relazioni si sono mosse a ondate, con cicli continui di riconciliazione, escalation, riconciliazione, escalation. Se all’inizio degli anni Duemila i presidenti Kučma e Kwaśniewski, così come i rappresentanti delle chiese e dell’intellighenzia liberale delle due parti, avevano trovato un accordo sulla formula ‘perdoniamo e chiediamo perdono’. In seguito è entrato in gioco un altro gruppo di attori che definirei ‘gemelli siamesi’: etnonazionalisti, conservatori di destra e populisti sia in Polonia che in Ucraina. Da entrambi i lati, sebbene i tentativi di riconciliazione non siano mai venuti meno, questi gruppi hanno continuato a gettare benzina sul fuoco”.
È probabile dunque che con la nomina di Alfyorov assisteremo a “nuove puntate” di queste guerre della memoria. Non solo, com’è per certi versi “naturale”, fra Kyiv e Mosca ma, appunto, anche fra l’Ucraina e il vicino e “alleato di ferro” polacco.
È infatti da diversi mesi che Varsavia è tornata a chiedere con insistenza che si faccia chiarezza sulla controversia storica dei massacri della Volinia del 1943-44 (in cui appunto gruppi nazionalisti ucraini compirono atti di pulizia etnica nei confronti della comunità polacca presente nella regione nord-occidentale del paese), riuscendo a ottenere il via a un processo di esumazioni per recuperare i cadaveri delle vittime di quell’evento.
Il neo-eletto presidente polacco Karol Nawrocki (anch’egli con un passato da direttore dell’Istituto della memoria nazionale del proprio paese) ha posto il tema al centro della propria campagna elettorale, inquadrandolo in una retorica fortemente nazionalista (e paventando di mettere un veto all’ingresso in Europa dell’Ucraina, nel caso Kyiv non avesse riconosciuto le proprie responsabilità).
Da questo punto di vista Alfyorov si è mostrato sinora piuttosto condiscendente, facendo leva sul comune carattere “anti-russo” dei movimenti nazionali dei due paesi e, magari, ben sapendo quanto sarebbe controproducente guastare i rapporti con Varsavia. Ma, come di fatto insegna proprio l’invasione russa in Ucraina, semplificare e strumentalizzare il passato non è mai di buon auspicio per il presente.











