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Ucraina, la guerra e l’Aids

Oltre 200mila persone in Ucraina sono affette da Aids, molte di loro sono tossicodipendenti. La terapia sostitutiva con metadone si pratica in molti centri ma il più frequentato è quello di Kiev, qui giungono anche pazienti dalla Crimea

20/07/2015, Matteo Tacconi -

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Flickr - Rafee.

I pazienti attendono il loro turno in un piccolo cortile. Due di loro giocano a backgammon. Scagliano i dadi sulla tavola di legno, appoggiata su una panchina, prendendosi qualche secondo strategico prima di spostare le pedine. Qualcuno, poco più in là, si fuma una sigaretta.

Sono circa le dieci di mattina e trovare questa struttura sanitaria non è stato facile. È nascosta in fondo a un vialetto residenziale, non lontano dalla fermata Demiivska del metrò di Kiev. Nei paraggi sorge la fabbrica della Roshen, l’azienda cioccolatiera controllata dal presidente ucraino Petro Porošenko.

Se la ricerca di questo istituto è stata faticosa, la procedura alla quale si sottopongono i pazienti è quanto mai semplice. Si tratta di entrare in una stanzetta e mandare giù una pastiglia di metadone. È un oppioide sintetico che surroga l’uso di droga. Disincentiva dall’assumere sostanze tossiche, inclusa l’eroina. Dunque impedisce, potenzialmente, l’uso di siringhe. Non è un dettaglio, visto che lo scambio di aghi infetti è a tutt’oggi la principale causa di diffusione dell’Hiv in Ucraina.

L’ex repubblica sovietica è uno dei paesi europei dove l’Hiv-Aids ha avuto nel corso dell’ultimo quarto di secolo una diffusione maggiore. Ha influito sia il collasso socio-economico derivante dalla fine dell’Unione sovietica, sia il rinnovato fluire di sostanze illecite sui mercati dell’Europa orientale. La rotta dell’oppio, che parte dall’Afghanistan, ha una sua importante diramazione proprio in questo spicchio del vecchio continente.

Unaids , l’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa del contrasto a questo flagello, stima che nel 2013 c’erano 210.000 ucraini affetti da Hiv. Dal 2012, tuttavia, c’è stato qualche risultato positivo nel contenimento del problema. A contribuire sono state, tra le altre cose, le stesse cure a base di metadone. Terapia sostitutiva: è così che nel gergo medico viene definita la somministrazione di questa sostanza.

Circa quaranta dei pazienti del centro di Kiev dove siamo in visita effettuavano questo trattamento in Crimea, in quanto originari della penisola. Ma da quando la Russia l’ha annessa, il metadone è stato messo al bando. Le leggi di Mosca lo vietano e l’unica terapia consentita si fonda, volendo essere sintetici, sulla sospensione dell’uso di droghe e sull’assistenza psicologica.

Parla Gyorgy, uno dei pazienti giunti dalla Crimea. Ha iniziato a drogarsi verso i quindici, sedici anni. Ne ha circa una trentina. «Nel momento in cui è entrato in vigore il nuovo ordinamento mi sono trovato a un bivio. La scelta era se smettere di drogarmi dall’oggi al domani o mettermi a cercare droga sul mercato nero. Il che avrebbe potuto portarmi alla morte». Il riferimento è a una possibile overdose o a sostanze di qualità discutibile.

Quasi subito s’è presentata tuttavia una terza opzione. Gli uffici ucraini dell’Hiv-Aids Alliance , un’organizzazione con raggio d’azione globale, hanno lanciato un programma volto a ospitare i tossicodipendenti della Crimea a Kiev e in altre città ucraine, permettendo loro di continuare la terapia sostitutiva.

Andrei Semerov, uno dei coordinatori dell’iniziativa, spiega che tutto è partito lo scorso maggio, poco dopo lo scippo della Crimea da parte russa. «Abbiamo cercato di dare informazioni sull’esistenza del nostro programma, anche con dei volantini, sottolineando che ci saremmo fatti carico dei costi del viaggio e avremmo aiutato queste persone a trovare una sistemazione e un’occupazione, se possibile». In Crimea, prima dell’annessione alla Russia, c’erano 806 persone registrate nei centri medici dove si somministrava metadone. Non tutte si sono spostate in Ucraina, questo d’altro canto era impossibile. Eppure la risposta è stata incoraggiante, fa capire Semerov.

Gyorgy, venuto a sapere della possibilità di continuare in territorio ucraino la terapia sostitutiva, non ci ha pensato su troppo. «Sono subito venuto a Kiev, con il treno. A quell’epoca i collegamenti ferroviari erano ancora attivi, anche se iniziavano a scarseggiare. Ho trovato un biglietto di prima classe e sono salito a bordo. All’inizio, qui nella capitale, ho trovato delle difficoltà. Non è stato facile ambientarsi. Ora va meglio».

Gyorgy lavora come cassiere in un supermercato. Ma vorrebbe prima o poi trasformare in impresa la sua passione: riparare strumenti musicali. Sembra che sia motivato, che creda seriamente a questa prospettiva. La volontà, in effetti, è un ingrediente fondamentale nella lotta personale all’emancipazione dalla droga. Il metadone aiuta, ma da solo non basta. «Il nostro compito consiste nel ridurre progressivamente la dose di metadone, fino a giungere alla soglia minima. A quel punto i pazienti possono decidere di prendere parte ai programmi orientati alla disintossicazione completa. È qui che entra in gioco la loro forza di volontà», spiega una dottoressa che lavora al centro.

Evgen è un altro dei pazienti venuti della Crimea. È di Yalta. Ha 59 anni, ma ne dimostra molti di più. Si droga da molti anni e ha assunto di tutto, anche eroina. «So di gente che è rimasta in Crimea e che è morta. Io, anche se non avessi usufruito della possibilità offerta dall’Hiv-Aids Alliance, avrei trovato comunque un modo per andarmene. Non c’entra solo la mia condizione di drogato. Il punto è che disapprovo la secessione della Crimea. La mia patria è l’Ucraina», sostiene Evgen con la voce tremolante e incerta. L’impressione è che uscirne, per lui, non sarà facile.

Ci intratteniamo anche con Ruslan, trent’anni, di Simferopoli. La sua storia di tossicodipendenza è iniziata cinque anni fa. Oppiacei. Mai presa eroina. Dal suo viso, coperto da tante lentiggini, spuntano due occhi vivaci. «Le autorità, a maggio, ci hanno comunicato che la terapia sostitutiva sarebbe stata sospesa, ma che volendo avremmo potuto continuare a ricevere assistenza sulla base delle nuove leggi. Io e altri ci siamo presentati nei centri deputati a fornirla. Il livello, però, non era adeguato. Pertanto ho deciso di andarmene. Qui a Kiev mi trovo bene, mi sento in dovere di ringraziare il personale medico di questo centro e l’Hiv-Aids Alliance», il cui programma è andato avanti, fino a oggi, grazie ai finanziamenti dell’International Renaissance Foundation, dell’Elton John AIDS Foundation, dell’Open Society Foundation e del Gruppo Pompidou, organo del Consiglio d’Europa.

A questi donatori s’è aggiunto in un secondo momento il Global Fund, che ha assicurato fondi fino al giugno dell’anno prossimo. I pazienti dunque avranno ancora modo di curarsi con il metadone. Non solo quelli della Crimea. Nel corso dei mesi il programma s’è allargato anche agli esuli delle aree oggetto di scontri tra i governativi e i ribelli filorussi, nelle regioni di Donetsk e Lugansk. La terapia sostitutiva, in questo lembo non certo piccolo d’Ucraina, è stata compromessa da una serie di fattori. Non è solo una questione di guerra in quanto tale. «I separatisti non riconoscono dignità a chi fa uso di droga e i governativi hanno sospeso gli aiuti, compresi quelli umanitari», affermano Ruslan e Yulia. Marito e moglie, sulla quarantina. Vengono da Lugansk. Il loro commento, amaro, trova conferma in più e più cronache.

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