Ucraina, arresti e torture nei territori occupati
Migliaia di civili ucraini sono stati arrestati dalle forze russe nelle regioni occupate. Le accuse nei loro confronti sono pretestuose e la detenzione è molto violenta – ma anche il reintegro di chi riesce a uscire è complicato

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Prigione in Russia - © Shutterstock
(Questo articolo è stato originariamente pubblicato da Valigia Blu e Voxeurop .)
“Jevhen Matveev era il sindaco della città di Dniprorudne, nella regione di Zaporižžja. È stato catturato a inizio invasione perché si rifiutava di cooperare con i militari russi, poi è stato torturato e infine ucciso in prigionia. Perlomeno il suo corpo è ritornato”, racconta Nataliia Jaščuk, un’operatrice che si occupa delle conseguenze della guerra presso il Centro per le libertà civili – associazione ucraina che si occupa di diritti umani, vincitrice del Nobel per la Pace nel 2022.
Jaščuk snocciola una carrellata di nomi e informazioni su persone – civili e militari – finite nella morsa della prigionia in Russia e nei territori ucraini occupati dalla Russia.
“Ci sono intere famiglie”: Nataliia indica altre fotografie da un opuscolo intitolato Prisoner’s Voice del 2023. “Una persona con disabilità permanente che è stata rapita, uno studente, un operaio, un informatico che è fuggito dall’occupazione in Crimea, un uomo che ha tentato di salvare la moglie, morta poi tra le sue braccia. Storie di tutti i tipi. Andrij, Mykola, Serhij…”.
“Anche donne?”, chiedo timidamente. “Anche donne. Iryna Horobtsova , volontaria di Cherson: l’hanno portata via sotto gli occhi dei genitori, tenuta in isolamento, senza documenti e senza informazioni per più di un anno. Poi le hanno addossato delle accuse fittizie e l’hanno condannata, secondo la ‘loro’ legge, in quanto spia”.
Queste sono solo alcune delle storie arrivate tra le mani di Nataliia e degli operatori umanitari che si occupano, come lei, di diritti umani in una delle associazioni più attive in Ucraina.
La maggior parte dei casi di prigionia, spiega Jaščuk, avviene nei territori occupati dalla Russia, dove si stima ci siano circa 16mila persone detenute illegalmente. Ma le cifre sono approssimative, come lo sono quelle dei minori rapiti e deportati .
Oltre ai militari, ci sono prigionieri civili, cittadini che abita(va)no in zone più o meno lontane dalla linea odierna del fronte: Sumy, Černihiv, Charkiv, Cherson, Zaporižžja. Anche della regione della capitale. “Solo nell’oblast’ di Kyiv, in un mese e mezzo di occupazione, hanno rapito circa 500 persone”, aggiunge Nataliia.
Insieme a volontari, il Centro per le libertà civili continua l’opera di ricerca. Una ricerca di prigionieri, ma anche di giustizia.
“Questa è la guerra più documentata nella storia dell’umanità. Nel nostro database abbiamo più di 88mila episodi di crimini di guerra. Questi non sono solo numeri. Dietro questi numeri ci sono vite umane”, ha spiegato Oleksandra Matvijčuk, direttrice del Centro per le libertà civili in un’intervista a OBCT.
Diverse sfumature della detenzione politica
Nel contesto attuale della guerra russa in Ucraina, civili e militari sono detenuti nelle stesse condizioni, spesso insieme, senza alcuna distinzione.
È però importante capire che non fanno esattamente parte della stessa categoria di prigionieri politici , che si basa essenzialmente sullo status giuridico e istituzionale della persona al momento della detenzione, nonché sul contesto in cui si verifica la privazione della libertà. I carcerieri russi tendono volutamente a confondere le due fattispecie.
“La situazione più difficile riguarda coloro che vengono arrestati e poi trattenuti per lunghi periodi senza un motivo chiaro, spesso in base ad accuse pesanti e ingiustificate”, spiega Jaščuk. “Questo vale anche per alcuni prigionieri militari, che subiscono condizioni particolarmente dure. Si tende a definire ‘prigionieri di guerra’ coloro che sono stati catturati, ma questo termine si applica davvero solo ai militari. Le persone civili non possono essere considerate prigioniere di guerra. Loro sono vittime di rapimenti, detenzioni arbitrarie, persecuzioni e altri abusi”.
La situazione dei civili ucraini detenuti è solitamente molto poco conosciuta. Nonostante alcune organizzazioni per i diritti umani si occupino di loro, la portata del problema resta poco visibile. In Ucraina, l’Unione delle famiglie delle vittime del Cremlino è una realtà che cerca di far luce su queste situazioni, insieme a organizzazioni come il gruppo in difesa dei diritti umani di Charkiv (KHPG ).
“Ci sono due ragioni correlate per cui i civili non vengono rilasciati. In primo luogo, perché equivarrebbe ad ammettere un crimine. La seconda è la riluttanza a mostrare ancora una volta i propri crimini”, spiega Maksym Kolesnikov , un ex prigioniero di guerra che presta servizio nelle forze armate ucraine dal 2015. Originario di Donec’k, Kolesnikov è stato catturato il 20 marzo 2022 durante la battaglia di Kyiv. Dopo dieci mesi di detenzione, è stato rilasciato in uno scambio di prigionieri nel febbraio 2023.
“All’inizio ci hanno portato in Bielorussia per circa due giorni. Da lì nella città di Novozybkov, nella regione russa di Brjansk, in un centro di detenzione preventiva. I russi spacciano i civili ucraini per personale militare: l’esercito russo gli fa semplicemente indossare l’uniforme delle forze armate ucraine”, spiega Kolesnikov.
Le testimonianze di chi torna
Traumi fisici e psicologici, difficoltà di tornare alla vita “normale” (se tale possiamo definire quella di un paese in guerra) e mancanza di un sostegno sistematico da parte dello stato. Sono queste le sfide e gli ostacoli che devono affrontare coloro che hanno subito le prigioni russe, la reclusione in seminterrati o cantine buie e, spesso, violenze e torture.
Quale ruolo possono svolgere la società, le comunità e i volontari per aiutarli? Domande a cui hanno cercato di rispondere Maksym Butkevyč, difensore dei diritti umani e giornalista ucraino, rilasciato dalla prigionia russa nell’ottobre 2024, e Maksym Kolesnikov, ex prigioniero di guerra, durante uno degli incontri sui diritti umani al festival del film documentario Docudays .
“Il sostegno medico e psicologico congiunti sono fondamentali”, afferma Butkevyč. Cofondatore del Centro per i diritti umani Zmina e di Hromads’ke Radio, nel marzo 2022 Butkevyč si era arruolato come volontario nelle forze armate ucraine; a luglio dello stesso anno è stato catturato dall’esercito russo e condannato a 13 anni di carcere con accuse pretestuose. È stato rilasciato in uno scambio di prigionieri nell’ottobre 2024.
La parte più difficile della riabilitazione, come raccontano Butkevyč e Kolesnikov, è l’assistenza psicologica, soprattutto perché molte persone ritengono di non averne bisogno. Alcuni hanno anche bisogno di assistenza sociale e legale, soprattutto se provengono da territori occupati e hanno effettivamente perso tutto. “La mia riabilitazione è durata circa tre settimane: identificazione dei problemi, visita medica, esami, test psicologici”, condivide Kolesnikov, che al ritorno della prigionia pesava 32 chili in meno rispetto al momento della cattura.
Se per i militari esiste un protocollo ben definito per la riabilitazione e la reintegrazione, per i civili non esiste. “Ma va creato!”, sottolinea Jaščuk. “Procuratori e investigatori devono registrare i crimini commessi e agire secondo la Convenzione di Istanbul. Ma, dati i numeri attuali e quelli che ci saranno quando queste persone torneranno, non avremo abbastanza esperti a disposizione”.
Ci sono organizzazioni non governative, fondazioni e organizzazioni religiose che aiutano. Uno degli obiettivi raggiunti in seno all’Ucraina è la modifica alla legislazione affinché i civili tornati in libertà siano tutelati e non possano essere coscritti nelle forze armate. Un traguardo non indifferente.
“Le storie sono molto diverse: c’è chi è riuscito a fuggire, chi ha riscattato un familiare con mezzi propri, chi è stato liberato in modi meno formali. Ma c’è un elemento comune: subiscono violenze di ogni genere, finché non vengono spezzati psicologicamente. E quando vengono completamente ‘distrutti’, se i carcerieri desiderano ottenere qualcosa – un’impresa, un’abitazione, un veicolo, qualsiasi bene – trovano il modo di far firmare ai prigionieri dei documenti o di fargli cedere tutto quello che hanno in cambio della promessa di libertà. Quella persona, ormai privata di tutto, spesso prende la difficile decisione di tornare nei territori controllati dall’Ucraina", spiega Jaščuk.
"E qui inizia un nuovo calvario: non riesce a dimostrare di essere stata prigioniera, torturata, detenuta illegalmente. Non ha nessuna prova, nessuna registrazione ufficiale, niente che attesti la sua esperienza perché il suo nome non appare nemmeno nelle ‘liste nere’. E chi poteva testimoniarlo è rimasto nelle zone occupate. Così si entra in un circolo vizioso: lo stato non ha ancora una procedura chiara, efficace, per riconoscere queste vittime invisibili. Questa è una lacuna che dobbiamo colmare. Finché non ci sarà un sistema che riconosce e protegge anche queste persone, la giustizia resterà incompleta, e il ritorno alla libertà sarà solo parziale”.
La linea europea sui prigionieri politici
Alona Maksymenko, collega di Nataliia Jaščuk, ha contribuito a identificare le soluzioni necessarie per una buona reintegrazione delle persone che tornano dalla prigionia. Innanzitutto, l’accesso immediato a cure e aiuti: è cruciale mettere in atto e seguire programmi che includano assistenza medica, psicologica, acquisizione di documenti e sostegno finanziario, con particolare attenzione alle famiglie.
Tutto ciò deve però avvenire in maniera trasparente e nel contesto di leggi e procedure ben chiare. Alcune linee guida sono state stilate nella legge ucraina sul piano di reintegrazione, approvata il 15 marzo 2024, che dovrebbe garantire un sistema stabile per sostenere il rilascio e i diritti dei prigionieri liberati.
Le autorità governative e le istituzioni dovrebbero lavorare in sintonia con la società civile per fornire assistenza economica, legale e sociale.
Un passo ulteriore va fatto cercando anche il sostegno internazionale. La creazione di un Tribunale speciale per il crimine di aggressione contro l’Ucraina, annunciata nel 2023 e sostenuta politicamente e finanziariamente dall’Unione europea, mira a colmare un vuoto lasciato dalla Corte penale internazionale, che non è titolata a perseguire Mosca per il crimine di aggressione. Il tribunale speciale dovrebbe vedere la luce entro la fine del 2025. Pur non incidendo direttamente sul destino dei prigionieri ucraini detenuti oggi in Russia, questo strumento giuridico rappresenta un primo tassello essenziale nella costruzione di un futuro quadro di giustizia e responsabilità internazionale.
I prigionieri politici in Crimea
Il Centro per le libertà civili, insieme ad altre realtà, si occupa anche dei prigionieri politici ucraini in Crimea, in particolar modo dei tatari. “Al momento ci sono più di 200 casi relativi alla Crimea. Le autorità russe hanno iniziato da tempo a perseguire anche gli avvocati dei tatari di Crimea, privandoli della licenza professionale”. Uno dei casi più importanti e clamorosi è quello degli avvocati Lili Hemedži e Rustem Kamiljev, ai quali sono state revocate le licenze e che sono stati poi perquisiti e sottoposti a pressioni.
Il caso più noto di prigionia politica tra i crimeani è quello di Nariman Celâl, giornalista e attivista politico. Collaboratore per il canale televisivo ATR e per il quotidiano Avdet, dal 2013 è vicepresidente del Mejlis, l’organo di rappresentazione del popolo tataro di Crimea. Arrestato il 4 settembre 2021 per il presunto sabotaggio di un gasdotto, il 28 giugno 2024 Celâl è riuscito a tornare in Ucraina e lo scorso maggio è stato nominato dal presidente ucraino ambasciatore in Turchia.
La sua storia ha un lieto fine che molte altre non hanno. Lo racconta la raccolta documentaria Voci libere della Crimea (Vil’ni holosy Krymu ), che narra le storie di sedici giornalisti e attivisti di origine prevalentemente crimeana e/o tatara, detenuti in Crimea per motivi politici a partire dall’occupazione russa. Il volume nasce dall’iniziativa #SolidarityWords, lanciata nel 2021 con l’obiettivo di documentare e far conoscere le vicende dei prigionieri politici crimeani.
Tutte le detenzioni, spesso punite con condanne da 7 fino a 19 anni, sono state motivate da accuse quali “terrorismo”, “estremismo” o “sabotaggio”, ritenute arbitrarie e funzionali alla repressione dell’informazione e del dissenso. Il libro si distingue per il suo valore umano e storico: non solo mette in luce le atrocità subite, ma tratteggia anche la resilienza e il coraggio dei protagonisti.
Prigionieri nell’oblio
La situazione dei prigionieri politici ucraini, sia civili che militari, resta drammatica: decine di migliaia di cittadini sono detenuti in Russia e nelle zone occupate, spesso senza alcun riconoscimento giuridico, accusati di reati pretestuosi e sottoposti a torture sistematiche. La tragica morte della giornalista ucraina Viktoriia Roščyna, avvenuta in un carcere russo, testimonia la brutalità del sistema repressivo di Mosca.
Denunciare questi crimini di guerra, ottenere la liberazione di tutti i prigionieri politici e fornire assistenza concreta a loro e alle loro famiglie, è a dir poco necessario. Lo si può fare mantenendo alta l’attenzione nazionale e internazionale sulla loro situazione e spingendo l’Unione europea a istituire programmi di supporto concreti, mirati e coordinati. Infatti, nonostante le dichiarazioni di sostegno
politico e i fondi destinati all’Ucraina, il ruolo dell’Ue nella questione dei prigionieri politici ucraini resta ancora marginale.
Bruxelles dovrebbe considerare di promuovere la creazione di un meccanismo di monitoraggio internazionale sulle condizioni di detenzione, sostenere con fondi dedicati i programmi di reintegrazione e riabilitazione per i prigionieri rientrati, e spingere per l’introduzione di sanzioni mirate contro funzionari russi coinvolti in detenzioni arbitrarie. Inoltre, un’iniziativa diplomatica coordinata a livello dell’Ue potrebbe contribuire a rafforzare la pressione sulla Russia.
Questo articolo è stato realizzato grazie ai Thematic Networks di PULSE, l’iniziativa europea che sostiene le collaborazioni giornalistiche transnazionali coordinata da OBCT. Alla sua realizzazione hanno contribuito Maryna Svitlychna di OBCT e Francesca Barca di Voxeurop.
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