Turismo in Turchia, ostaggio dell’incertezza
Il turismo in Turchia, settore strategico per il paese, ha vissuto un 2016 disastroso, scoraggiato dal t[]ismo e dalla disputa di Ankara con Mosca. Un’analisi
Un giro d’affari complessivo di ventidue miliardi di euro che implica un -30% rispetto all’anno precedente: questo il disastroso bilancio del settore turistico stilato dall’Istituto statistico turco per il 2016. Un tonfo pesante, conseguenza dell’instabilità politica ed economica che affligge il paese, del clima di incertezza percepito dai suoi stessi cittadini ma anche un dato rivelatore di come le economie siano influente strumento della diplomazia internazionale.
Turismo, vittima della violenza
Pesano in particolare gli attentati, che hanno sconvolto Ankara, ma soprattutto Istanbul e Smirne, mete turistiche assai più gettonate della capitale. Attentati collegati ai conflitti in cui il governo turco ha deciso di lanciare il paese: prima quello interno nel sudest a maggioranza curda, poi quello all’estero sul fronte siriano. A conferma delle preoccupazioni sull’andamento del settore, lo stesso presidente Recep Tayyp Erdoğan nei giorni scorsi ha invitato esplicitamente i cittadini turchi residenti all’estero a trascorrere le proprie vacanze in patria.
Nel corso dell’apertura dell’esposizione internazionale dedicata al turismo e al viaggio nel mediterraneo orientale, il segretario generale dell’Organizzazione mondiale del turismo Taleb Rifai ha dichiarato che “viaggiare in Turchia è la migliore risposta al t[]ismo”. Un commento forse doveroso, ma che non può fugare le paure di milioni di visitatori che, spaventati da bombe e morti, hanno rinunciato alla Turchia come meta dei loro viaggi. I turisti più che dichiarazioni attendono un impegno concreto di tutte le parti per riportare il paese ad un clima di pace e dialogo.
Che il settore turistico ed i suoi miliardi di euro siano al centro della violenza scoppiata nel paese filtra anche dalle dichiarazioni rilasciate da gruppi come il TAK, probabilmente fuoriuscito dal PKK e responsabile di molti degli attentati sul suolo turco. Nell’ottica degli aderenti a questa sigla, colpire il turismo è una vera e propria arma in quanto significa da un lato colpire gli interessi materiali di uno stato che attraverso i soldi del settore finanzia la repressione nel sudest del paese, dall’altro per porre la questione sotto i riflettori dell’opinione pubblica mondiale, valicando così gli angusti confini del dibattito nazionale soffocato dalla repressione che colpisce gli organi di stampa.
Il boicottaggio russo
Ma l’escalation di violenza nelle strade delle metropoli turche e nei luoghi simbolo del paese, come piazza Sultanahmet, che colpisce soprattutto l’immagine del paese nei confronti dei flussi provenienti dai paesi occidentali, non è l’unica ragione dietro al crollo di un settore vitale per l’economia turca. A partire dal 2015 i rapporti con la Russia, il paese con il maggior flusso turistico verso la Turchia, si sono gravemente irrigiditi perché Ankara e Mosca sono state a lungo schierate su fronti contrapposti in Siria. In particolare, l’abbattimento di un aereo da guerra russo lungo il confine turco-siriano ha spinto Mosca ad una serie di misure economiche punitive, tra cui il blocco dei visti di ingresso per cittadini turchi, dell’import di prodotti agricoli ed il congelamento del flusso di turisti verso i resort turchi: congelamento che ha determinato un crollo del 75% del numero di turisti russi in visita in Turchia nel 2016, sempre secondo i dati dell’Istituto statistico turco.
Queste misure punitive hanno contribuito a far cambiare alla Turchia il proprio approccio in Siria, si sono dimostrate efficaci nell’ammorbidire l’intransigenza di Ankara e agevolare il riavvicinamento tra le parti, oggi in grado non solo di sedersi ad un tavolo comune ed intrecciare nuovamente relazioni economiche proficue, ma anche di passare sostanzialmente indenni attraverso un episodio di potenziale nuova recrudescenza quale l’assassinio in diretta dell’ambasciatore russo in Turchia Andrey Karlov. La sensazione è comunque che in questo momento Ankara sia assai più succube di Mosca di quanto non voglia ammettere, al di là della fragile convergenza di interessi in Siria e dell’atteggiamento assunto nei confronti di Stati Uniti e Nato che, per ragioni diverse – storiche nel caso russo e contingenti nel caso turco – entrambi i paesi mal sopportano.
Ritorno dei russi, debolezza della lira turca e prospettive future
Questo riavvicinamento tra Russia e Turchia ha determinato un consistente ritorno, nella parte finale del 2016, di turisti russi, regalando una boccata di ossigeno e migliori aspettative al settore per l’anno 2017, nonostante i flussi dall’Europa, in particolare da Germania ed Inghilterra, i due paesi con i maggiori flussi verso la Turchia dopo la Russia, continuino a decrescere.
Sono infatti tre milioni i turisti russi che si stima possano arrivare in Turchia nel corso del 2017, una cifra vicina ai 3,6 milioni del 2015, ancora bassa in confronto ai 4,4 milioni del 2014, ma un grande progresso rispetto agli 820.000 del 2016. Ucraina e Olanda sono altri due paesi su cui l’industria turistica turca punta molto, insieme agli arrivi dai paesi mediorientali.
Ad alimentare le speranze degli operatori del settore anche l’estrema debolezza della lira turca sui mercati internazionali. Debolezza che rappresenta un grave problema per l’economia del paese, soprattutto per l’indebitamento estero delle aziende turche, perdita di potere d’acquisto e inflazione in crescita, ma anche un forte incentivo per i turisti stranieri in arrivo, che possono contare su prezzi molto favorevoli rispetto a mete analoghe.
Ma anche questa condizione favorevole non può essere sufficiente di fronte al clima di violenza ed incertezza diffuse. La vera scommessa per la Turchia è la pacificazione dei suoi tumulti sociali e politici, che può giungere solo con l’inaugurazione di un nuovo periodo di concertazione tra le diverse anime che oggi non vogliono o non riescono a parlarsi. È auspicabile la ripresa del processo di pace con i curdi frettolosamente abbandonato dal governo nel 2015, così come l’immediata conclusione dello stato di emergenza ed il ritorno alla normalità costituzionale. Se così non fosse, il futuro potrebbe essere caratterizzato da nuove e più gravi ondate di violenza.