Turchia-UE, Erdoğan riapre la rotta balcanica

Dopo l’intensificarsi degli scontri in Siria, la Turchia ha deciso di riaprire i propri confini per i richiedenti asilo e migranti che vogliono entrare in UE. Tensioni al confine greco, dove al momento almeno 10mila persone tentano di attraversare la frontiera

02/03/2020, Francesco Martino - Sofia

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Richiedenti asilo in Grecia - fmartino/OBCT

La “rotta balcanica” torna sulla scena, con le immagini di migliaia di migranti e richiedenti asilo alle porte di Grecia e Bulgaria, dopo la decisione del governo turco di denunciare gli accordi con l’Unione europea e non fermare più chi tenta di attraversare i propri confini in direzione ovest.

Il fine settimana appena trascorso ha visto un rapido aumento della tensione al confine di terra tra Turchia e Grecia, soprattutto nella striscia tra Edirne ed Orestiada, dove secondo fonti ONU circa 15mila migranti e richiedenti asilo tentano attualmente di passare in territorio greco.

Il governo ellenico ha spiegato ingenti forze di polizia, mobilitando anche l’esercito, per bloccare il confine: secondo le informazioni ufficiali di Atene, circa 10mila persone sono state respinte, mentre 150 sono state arrestate dopo aver varcato la frontiera.

Tra sabato e domenica sono stati registrati vari scontri tra migranti e polizia greca, che in assetto antisommossa ha lanciato lacrimogeni su chi tentava di forzare il blocco. In molti hanno tentato di passare il confine con imbarcazioni improvvisate lungo il fiume Evros, riuscendo in qualche caso a toccare la sponda greca.

Secondo testimonianze raccolte da migranti riusciti ad attraversare il confine, almeno una persona sarebbe morta assiderata nella notte di ieri, mentre sono numerose le denunce di violenza e maltrattamento da parte della polizia greca, accuse che il governo di Atene ha respinto con decisione.

Nel frattempo sono aumentati anche gli arrivi sulle isole greche di fronte alle coste turche, dove in poche ore sono arrivate circa cinquecento persone. Per il momento, la situazione rimane invece tranquilla al confine turco-bulgaro. Sofia ha rafforzato la presenza della polizia di frontiera, mentre il premier Boyko Borisov vola oggi ad Ankara per colloqui urgenti col presidente turco Recep Tayyip Erdoğan.

L’ombra lunga della Siria

La nuova crisi è diretta conseguenza degli scontri intorno alla città siriana di Idlib nel nord-est del paese e non lontano dalla frontiera turca, dove forze turche e milizie locali combattono contro l’esercito siriano, appoggiato dall’esercito russo.

Il 27 febbraio, un attacco aereo ha provocato la morte di 36 militari turchi, scatenando la reazione di Ankara: il governo di Erdoğan ha lanciato nell’area una vasta offensiva militare denominata “Spring Shield”, per il momento soltanto con bombardamenti nelle aree di Idlib, Hama e Aleppo, ma ammassando al tempo stesso numerose truppe al confine.

Il giorno successivo la Turchia ha annunciato la decisione di non voler più fermare i rifugiati e migranti che intendono attraversare le proprie frontiere in direzione di Grecia e Bulgaria, denunciando così unilateralmente gli accordi sulla gestione dei migranti firmati con Bruxelles nel marzo 2016, intesa con cui Ankara si impegnava a chiudere i cancelli della “rotta balcanica” in cambio di sostanziosi aiuti economici.

Il governo turco ha giustificato la propria mossa dichiarando di non poter gestire una probabile nuova ondata di arrivi dalla regione di Idlib, dove gli scontri hanno lasciato senza una casa quasi un milione di persone, visto che al momento la Turchia ospita già oltre tre milioni e mezzo di rifugiati sul proprio territorio. Lo stesso Erdoğan ha accusato poi l’UE di non aver rispettato i termini degli accordi del 2016, soprattutto dal punto di vista economico.

In molti, però, leggono nella decisione di riaprire le frontiere un’esplicita forma di pressione nei confronti dell’UE, per ottenere un appoggio più deciso sulla questione di Idlib, dove più che il regime siriano, i veri avversari della Turchia sono Mosca e Teheran.

Vanno lette in questa direzione anche le dichiarazioni del ministro degli Interni turco Süleyman Soylu, che nella serata di ieri ha annunciato su Twitter che più di 100mila persone sarebbero in procinto di passare il confine nei pressi di Edirne.

Reazioni d’emergenza

Le reazioni più forti alla nuova crisi sono arrivate dalla Grecia, il paese che al momento si sente sotto la pressione più forte. Oltre ad aver spiegato imponenti forze di polizia sul confine, Atene ha annunciato che da oggi e per le prossime ventiquattro ore l’esercito greco sarà impegnato in un’esercitazione lungo il fiume Evros, nella quale verranno utilizzati mitragliatori, fucili e pistole armati con munizioni da guerra, in un evidente tentativo di far desistere chiunque dall’attraversare l’area interessata.

Al tempo stesso, il governo guidato da Kyriakos Mitsotakis ha reso noto che, a partire da ieri e per la durata di un mese, la Grecia non accetterà richieste di asilo “da parte di chi avrà attraversato illegalmente il confine” e ha chiesto una maggiore presenza da parte di Frontex.

Stelios Petsas, portavoce del governo, ha attaccato le autorità turche, dichiarando che queste hanno denunciato illegalmente gli accordi presi e che “si sono trasformate esse stesse in trafficanti di uomini”.

Più tranquilla, almeno per il momento, la situazione in Bulgaria, dove non sono stati registrati nuovi ingressi. I controlli di confine sono però stati rafforzati a partire dai giorni scorsi, sia alla frontiera con la Turchia che a quella con la Grecia. Il primo ministro Boyko Borisov cenerà questa sera con Erdoğan ad Ankara per discutere della situazione: Borisov tenterà – con tutta probabilità – di far valere i buoni rapporti tra i due paesi, consolidatisi negli ultimi anni, per mettere la Bulgaria al riparo dalla nuova crisi migratoria.

Su iniziativa della Grecia, l’UE già ha convocato d’urgenza per questa settimana (data ancora da stabilire) una riunione dei ministri degli Esteri dell’Unione, per discutere tanto della crisi in Siria che dell’attuale situazione migratoria nei Balcani.

Il capo della diplomazia UE, Josep Borrell, ha invitato le parti in conflitto in Siria a “ritornare al tavolo politico”, aggiungendo che l’UE deve “mobilitare le proprie risorse per ridurre le sofferenze della popolazione civile”, in quello che sembra un segnale di apertura nei confronti della Turchia.

Borrell ha poi ribadito che “gli accordi UE-Turchia devono tenere”, e che Bruxelles “continua a monitorare con attenzione la situazione ai confini esterni dell’Unione”.

Non dimenticare le persone

Mentre la tensione torna a salire, c’è chi invita a non dimenticare i diritti e i destini dei migranti e richiedenti asilo, ancora una volta schiacciati da dinamiche più grandi di loro.

“Ai confini tra UE e Turchia, ancora una volta, richiedenti asilo vengono usati come merce di scambio in un gioco politico mortale conseguenza prevedibile degli accordi [del marzo 2016]”, ha dichiarato Massimo Moratti, vice-direttore dell’Ufficio Europa di Amnesty International.

Moratti ha invitato le autorità di Bulgaria e Grecia “a assicurare l’accesso sul proprio territorio a chi chiede protezione e asilo” attraverso i punti ufficiali di attraversamento del confine. Al tempo stesso, “la Commissione europea deve coordinare urgentemente ogni forma di sostegno richiesta da Grecia e Bulgaria per assicurare ai richiedenti asilo un’accoglienza adeguata e procedure regolari di richiesta di protezione”.

“Ogni stato membro dell’UE dovrebbe assumersi la propria parte di responsabilità”, ha poi concluso Moratti.

 

 

 

Per approfondire

 La ‘Rotta balcanica’, dalla Turchia sino al cuore dell’Ue, in un percorso didattico multimediale realizzato da OBCT:  il percorso e le storie di chi si è ritrovato a percorrerla; le ripercussioni dell’esodo sul progetto europeo; le dinamiche interne in Turchia a seguito dell’accordo firmato con l’UE nel 2016.

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