Turchia: tra distopia e satira
E’ una delle matite più affilate della Turchia, che si ispira al complesso presente della Turchia. Un’intervista a Ersin Karabulut
(Pubblicato originariamente su Kaleydoskop , ottobre 2018)
Ersin Karabulut, 37 anni, è una delle matite più affilate e creative di Turchia. Cofondatore nel 2007 di Uykusuz, la più popolare rivista satirica a fumetti del Paese, questo giovane autore ed artista racconta da più di vent’anni il quotidiano e le sue complessità nei suoi album intitolati Sandık İçi, Nel baule. In Francia è stata recentemente pubblicata una sua raccolta intitolata Storie ordinare di una società rassegnata (Contes ordinaires d’une société résignée , Fluide Glacial, 2018): distopie quotidiane, paranoie, racconti dai toni scuri, schizzati. Storie di una società traumatizzata, dove l’assurdo è diventato l’ordinario. Il tratto della penna è realista, l’ispirazione è il presente complesso del suo Paese, la Turchia.
Quale è l’importanza del fumetto e delle vignette politiche in Turchia?
La satira è sempre stata utilizzata contro gli uomini di potere senza scrupoli in Medio Oriente, basti pensare a Nasreddin Hoca o Karagöz e Hacivat. È uno strumento per criticare il potere con astuzia, senza essere insultante. I turchi sono persone che amano l’ironia, sono capaci di ridere e sorridere per piccole cose anche nelle situazioni più difficili. Negli anni settanta la rivista di satira Gırgır era tra le tre più vendute al mondo. Era una pubblicazione popolarissima, la leggevano tutti. Solo negli anni novanta queste riviste satiriche diventano underground, si differenziano dai media più popolari, che non si permettono di dire tutto apertamente. In quegli anni ho conosciuto la rivista di culto Leman , se non fosse per questa pubblicazione non sarei dove sono oggi: su quelle pagine ho imparato che non tutti i curdi sono dei t[]isti e che il velo è solamente un copricapo, per questo le persone dovrebbero essere libere di vestirsi come meglio credono. Da allora molte riviste sono state create ispirandosi a questo spirito critico: è quello che cerchiamo di fare con Uykusuz . Tutte le nostre prime pagine sono politiche, le due che seguono trattano dell’attualità della settimana.
Quali sono le tue fonti d’ispirazione?
In primo luogo le possibilità dell’essere umano: le illuminazioni come i lati oscuri. Mi piace scavare nei motivi che spingono le persone ad agire in un certo modo, le differenti maniere di ragionare, di ignorare: in poche parole i meccanismi e le disfunzioni della psiche.
Come si struttura il tuo lavoro di creazione, da dove cominci?
Di solito comincio da qualcosa che mi dà troppo fastidio. Allora cerco di capire la morale che sta dietro questa cosa e mi domando se vale la pena parlarne: mi piace lavorare per allegorie e raccontare quello che non mi sembra funzionare nel modo giusto. Prendo nota di ogni singola cosa che mi passa per la testa e schizzo un primo canovaccio della storia. Prima la scrivo come un copione, poi cerco lo stile adatto al contenuto: più o meno realistico, a colori o in bianco e nero.
Recentemente in Francia è stata pubblicata una tua raccolta di brevi storie distopiche. Di cosa si tratta?
La raccolta si intitola Contes ordinaires d’une société résignée, Storie ordinarie di una società rassegnata. È una raccolta di quindici racconti che ho creato per la maggior parte qualche anno fa. Alcuni sono del 2003 altre più recenti. Il filo conduttore è la loro ambientazione: un mondo bizzarro dove certe assurdità sono accettate e considerate normali dalle persone. Un po’ quello che succede oggi! Succedono cose assurde e nessuno pensa di metterle in discussione.
Qual è la storia di Uykusuz e qual è la sua posizione nel panorama delle riviste satiriche turche?
Eravamo un gruppo di amici che lavoravano per un’altra rivista satirica quando, nel 2007, abbiamo sentito il bisogno di creare qualcosa di nostro, qualcosa di nuovo, così
abbiamo creato Uykusuz. È diventata la rivista più venduta subito dopo la seconda uscita. Penso che sia stato fatto davvero un buon lavoro. Ancora oggi ci sono persone che ci dicono che non sarebbero quello che sono se non ci avessero letto. Sono personalmente molto fiero di fare parte di questo progetto. È triste da dire ma solo due settimanali di satira a fumetti sono rimasti oggi in Turchia. Ma noi continuiamo, we love it!
Cosa ne pensi della libertà d’espressione satirica nella Turchia di oggi?
La situazione non è semplice. Le vendite di Uykusuz sono scese, ma non penso che sia solamente a causa di internet. La cosa più triste è che le edicole non espongono più la nostra rivista come una volta. È una forma di autocensura per evitare che le autorità vengano a fare problemi. Gli edicolanti non vogliono esporre le copertine che criticano il presidente Recep Tayyip Erdoğan. Lui stesso ci ha fatto causa tre volte per averlo insultato, il processo è ancora in corso. L’ultima in ordine di tempo una copertina che ironizza su uno slogan circolato durante la campagna elettorale: “Non ti faremo presidente”. Nel titolo Erdoğan dichiara che solo le persone che capiscono la mentalità del pastore sono adatte a guidare il Paese, la risposta di una pecora di fronte alla televisione è secca: “Non ti faremo pastore!”. Per il Presidente un insulto alla nazione e al popolo turco. Un’altra volta, quando un canale vicino al governo ha diffuso un servizio sulle riviste satiriche, mostrando la copertina di Uykusuz hanno detto che facevamo disegni di propaganda anti religiosa e che eravamo spie inglesi. Abbiamo chiesto al nostro avvocato cosa fare e lui ci ha risposto che potevamo fare causa al canale ma non sarebbe servito a niente. Sentirsi dire certe cose da un avvocato è una cosa triste, non solo per noi, ma per il Paese.
E se ti chiedessimo, sulla falsa riga delle storie pubblicate in Francia, di immaginare una distopia per il futuro del tuo Paese…
Oggi la Turchia sta già vivendo una distopia: mentire non è più qualcosa di imbarazzante e certe persone potenti stanno semplicemente cercando di riscrivere la storia per orientarla secondo i loro interessi. La sola differenza tra il presente turco e la più celebre delle distopie è che qui sta succedendo nel 2018… non nel 1984.