Turchia, tornano alle minoranze i beni confiscati
Con un decreto annunciato personalmente dal premier Recep Tayyip Erdoğan, la Turchia si appresta a restituire alle minoranze religiose i beni immobili confiscati negli ultimi cinquant’anni. Edifici, scuole, fontane torneranno ai legittimi proprietari. Resta però la perdita di un bene non più risarcibile: la quasi totale assenza delle minoranze nella società turca
Le fondazioni delle minoranze religiose (fondazioni delle comunità non-musulmane costituite durante il periodo ottomano) sono oggi molto più vicine a riottenere i beni immobili che lo Stato turco ha confiscato loro negli ultimi cinquant’anni. Il decreto legislativo apparso sulla gazzetta ufficiale il 27 agosto scorso è l’ultima tappa di un lungo percorso iniziato con le leggi promulgate all’interno dei pacchetti d’adeguamento all’Unione Europea tra il 2001 e il 2004 e accelerato dai numerosi ricorsi presentati dalle fondazioni presso la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.
Una legge richiesta dalla Commissione Europea
Il governo turco aveva già preparato nel 2008 una legge per risolvere il problema menzionato più volte nei rapporti annuali della Commissione Europea, che però era risultata ampiamente insufficiente per ripristinare il diritto di proprietà delle minoranze. Il nuovo decreto arriva ora a integrarla, estendendo le categorie dei beni da restituire e stabilendo anche un risarcimento in determinati casi in cui lo Stato abbia ceduto a terzi gli immobili confiscati. La decisione finale spetterà al consiglio generale della Direzione delle fondazioni, l’organismo statale che regola il funzionamento di questi enti, mentre la base del criterio di valutazione resta la “Dichiarazione del 1936” (vedi box).
Gli immobili espropriati dallo Stato, appartenenti a 162 fondazioni greche, armene, bulgare, ebraiche, siriache e caldee di Turchia sono oltre mille. La maggior parte dei beni si trova a Istanbul. Sono disseminati tra i quartieri di residenza storici delle minoranze e nelle zone centrali della città. Ma ve ne sono diversi anche in Anatolia. Si tratta di terreni, interi palazzi, negozi, case, sinagoghe, chiese, fontane, scuole, vigneti, orti, fabbriche e pure qualche cinema e gazebo. A Istanbul, nel popolare quartiere di Ortaköy, lo stesso edificio in cui ha sede il Segretariato generale dell’Unione Europea è una ex proprietà di una fondazione greca.
Si stima che il valore di tutte le proprietà confiscate ammonti a oltre un miliardo di dollari. Una cifra che, secondo quanto comunicato alla CNN-Türk dalla Direzione generale delle fondazioni (espressione quest’ ultima della Turchia Repubblicana, che attraverso essa esercitava un attento controllo sulle minoranze) sarebbe comunque due o tre volte inferiore ai risarcimenti imposti alla Turchia dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo a favore delle fondazioni.
La prima sentenza della Corte di Strasburgo, che ha condannato la Turchia a rimborsare alla Fondazione del liceo maschile greco di Fener la somma di 890mila euro, è del 2007. Da allora altri ricorsi hanno obbligato la Turchia a pagare un indennizzo (per un totale di circa 40 milioni di euro) o a restituire le proprietà alle fondazioni, e ci sono ancora decine di cause in corso. Ora però, con il decreto appena approvato, si prevede che i processi, previa restituzione dei beni, saranno annullati.
La soddisfazione delle minoranze
I rappresentanti delle numerose fondazioni delle minoranze religiose non-musulmane hanno accolto la notizia del nuovo decreto, comunicato loro direttamente dal premier Recep Tayyip Erdoğan, con molta soddisfazione. La comunicazione è avvenuta il penultimo giorno del ramadan, prima della cena per rompere il digiuno che ha visto riunire il premier e i rappresentanti delle fondazioni.
“È un decreto che allarga gli orizzonti delle comunità delle minoranze religiose, che li renderà molto più liberi” ha affermato, commentando la notizia, Laki Vingas, rappresentante delle minoranze presso il consiglio generale della Direzione delle fondazioni, mentre Kezban Hatemi, avvocato delle fondazioni delle minoranze, ha definito il decreto “rivoluzionario, un passo molto grande rivolto a cancellare una situazione vergognosa della storia della Repubblica”, aggiungendo che “rimediare alla prevaricazione dei diritti corrisponde all’applicazione di una cittadinanza equa”.
Diversi interrogativi sui limiti applicativi del decreto li pone Baskın Oran, tra i massimi esperti dei diritti delle minoranze in Turchia. Ad esempio, il fatto che nel decreto non si preveda di restituire anche le proprietà non registrate nella “Dichiarazione del 1936”. Oppure che le proprietà sottratte dallo Stato per essere statalizzate, ma utilizzate poi in altro modo – come ad esempio il cimitero armeno di Pangaltı a Istanbul dove sono stati costruiti alberghi (l’Hilton e il Divan), la sede della Radio televisione turca (TRT) e il museo militare – siano escluse dall’applicazione della legge.
Il tempo mostrerà il modo in cui i beni delle minoranze non-musulmane torneranno finalmente ai loro legittimi proprietari. Tra loro c’è però qualcuno che ricorda un altro importante problema che li riguarda: la loro quasi totale assenza dalla composizione della nuova società turca. Dai 339.486 del censimento del 1927, quando la popolazione totale del Paese era di 13,5 milioni, ai 100.000 di oggi su una popolazione di 72 milioni. Lo Stato renderà i beni, ma la popolazione che ne potrà beneficiare è ormai ridotta al minimo a causa delle politiche discriminatorie adottate nei decenni nei confronti di quelle minoranze. E questa assenza è la perdita di un bene che non è più risarcibile.