Turchia: sciopero della fame e potere

In Turchia, lo sciopero della fame è uno strumento di lotta politica utilizzato spesso contro il potere fino a tragiche conseguenze. Ne abbiamo parlato con Aslı Kuzu, ricercatrice presso la SOAS University di Londra

14/03/2018, Dimitri Bettoni - Istanbul

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Hanno ottenuto sostegno mondiale Nuriye Gülmen e Semih Ozakça, due insegnanti turchi che hanno fatto sciopero della fame per mesi per rivendicare il proprio posto di lavoro. Il governo turco li ha licenziati con due decreti di emergenza dopo il fallito colpo di stato di luglio 2016.

La loro ostinazione li ha portati in prigione a maggio 2017, con l’accusa di sostenere organizzazioni t[]istiche e diffondere propaganda t[]istica. Mentre Ozakça è stato prosciolto, Gülmen è stata dichiarata colpevole in un processo che i critici considerano in gran parte politico: un verdetto contro cui farà appello. I due hanno concluso lo sciopero lo scorso 26 gennaio.

Il caso di Gülmen e Ozakça è uno tra migliaia nella recente storia della Turchia, dove gli scioperi della fame sono un diffuso strumento di lotta.

Aslı Kuzu è ricercatrice presso la SOAS University di Londra. Il suo attuale lavoro analizza le diffuse proteste nelle carceri turche nel 2000, durante le quali centinaia di detenuti hanno fatto sciopero della fame per contestare l’introduzione della cosiddetta prigione di tipo F, o detenzione in isolamento.

Queste proteste sono state seguite da un violento intervento delle forze di sicurezza, detto "Operazione di ritorno alla vita", che ha portato alla morte di decine di prigionieri e centinaia di feriti. La ricerca di Kuzu si concentra sul legame tra le pratiche di sciopero della fame e le politiche dello stato turco nella natura bio-politica del potere dello stato.

Può spiegare il concetto di biopolitica e fornire alcuni esempi di misure bio-politiche?

Dobbiamo tenere conto della trasformazione dei rapporti di potere e del passaggio dal potere sovrano alla biopolitica. La sovranità, il potere di vita e di morte, apparteneva al monarca. Dopo la nascita dello stato di diritto, il potere sovrano fu inizialmente trasferito al popolo. Ora stiamo vivendo quello che Foucault chiama bio-potere, che può essere descritto come "potere di far vivere e morire" o "gestione calcolata della vita".

Il bio-potere controlla le popolazioni per conservare se stesso. Università, caserme, scuole, ospedali e prigioni sono le principali istituzioni utilizzate dallo stato per fornire un servizio e simultaneamente modellare la popolazione ai fini della natura autoritaria del potere.

Gli scioperi della fame e altre pratiche di auto-sacrificio sono una forma di resistenza?

Foucault ha scritto: "Dove c’è potere, c’è resistenza". All’interno delle carceri, le pratiche auto-sacrificanti sono per lo più adottate dai prigionieri politici. La trasformazione del corpo in un’arma, usata dagli insorti contro l’autorità dello stato, è uno degli aspetti più importanti di queste pratiche. Inoltre, il corpo ha sempre avuto valenza politica: Nietzsche definisce il corpo una "struttura politica". I nostri corpi non sono liberi dalla politica, perché la politica influenza i nostri corpi ogni giorno, e quindi, possono diventare sito di una potente resistenza simbolica.

Perché gli scioperi della fame sono diventati strumento comune di resistenza contro l’introduzione delle prigioni di tipo F?

La data del 20 ottobre 2000 segna l’inizio del più drammatico sciopero della fame di prigionieri politici nella storia della Repubblica turca. Le carceri ad alta sicurezza di tipo F hanno sostituito i reparti condivisi con l’isolamento: lo stato mirava a dissolvere le "comunità autogestite" che i detenuti erano riusciti a stabilire, mettendo in atto pratiche di solidarietà per sopravvivere alle condizioni carcerarie e creare spazi politici liberi all’interno del sistema repressivo. Dopo mesi di sciopero della fame in 41 prigioni, i detenuti hanno iniziato a digiunare fino alla morte, uccidendosi letteralmente di fame.

Il governo ha quindi messo in atto un’operazione di sicurezza di tre giorni denominata "Operazione di ritorno alla vita", con lo scopo ufficiale di "salvare" i prigionieri dalla morte. In realtà, ha provocato la morte di 28 prigionieri bruciati, fucilati o avvelenati dal gas. Centinaia sono rimasti gravemente feriti. La protesta, che ha visto la partecipazione di migliaia di detenuti, si è conclusa il 22 gennaio 2007, con un bilancio di 122 martiri, molti dei quali deceduti per morte auto-inflitta.

Conclusa l’operazione, i funzionari dello stato ne hanno lodato il successo nel "salvare le vite" dei prigionieri. In realtà, l’"operazione di sicurezza" è stata un massacro per rivendicare l’autorità dello stato sulla vita.

Il caso di Nuriye e Semih è diverso: hanno iniziato lo sciopero della fame fuori dalla prigione e hanno continuato sia in prigione che dopo il rilascio. Lo spazio biopoliticamente controllato di una cella di prigione e lo spazio pubblico esterno sembrano iniziare a fondersi dopo l’introduzione dello Stato di emergenza (OHAL) in Turchia.

La definizione legale di Stato di emergenza, come affermato dall’articolo 120 della Costituzione del 1982, è in linea con la definizione di biopolitica: lo stato sostiene di essere l’autorità competente che sa cosa è meglio per la popolazione. Consideriamo le nostre vite quotidiane: le telecamere CCTV posizionate in ogni angolo della strada sono una forma di bio-potere. Il famigerato discorso del presidente Erdoğan che chiede alle famiglie di avere almeno tre figli è un’altra tattica bio-politica, così come i recenti pattugliamenti notturni nei vari quartieri di Istanbul per "motivi di sicurezza" e a "beneficio" degli abitanti. Questi esempi sono tutti applicati fuori dalle prigioni, non riesco a vedere un’enorme differenza tra una cella di prigione e le strade: dovunque siamo osservati, controllati e disciplinati dallo stato. Lo stato di emergenza ha reso le cose più facili: nella Turchia di oggi, il potere biopolitico è tremendamente visibile in ogni aspetto della vita.

A settembre, a causa delle sue condizioni di salute, Nuriye è stata trasferita dalla prigione all’ospedale Numune di Ankara: un altro luogo in cui lo stato può attuare il suo controllo sulla vita.

Lo stato decide gli aspetti disciplinari del sistema sanitario, come la lotta contro il fumo o l’eccessivo consumo di alcolici, o le politiche di controllo delle nascite. Nel contesto degli scioperi della fame, l’alimentazione forzata non è infrequente e riflette l’intenzione del bio-potere: controllare la vita delle persone legittimando il proprio intervento come atto benefico.

Dobbiamo anche distinguere le pratiche auto-sacrificanti dal suicidio. Gli atti auto-sacrificanti sono intrinsecamente altruistici e la morte del soggetto diventa simile al martirio. L’alimentazione forzata può essere considerata una forma di tortura (come dichiarato dalla World Medical Association con la Dichiarazione di Tokyo nel 1975, ndr) che reprime un atto di resistenza ed eroismo.

Perché gli scioperanti come Nuriye e Semih sono accusati di essere vittime di lavaggio del cervello?

Nella maggior parte dei casi, si tratta di un discorso paternalistico usato dal potere egemonico per delegittimare e marginalizzare la posizione dell’avversario, in linea con la natura del bio-potere. Morire di fame è un processo lento e doloroso: l’obiettivo dello sciopero della fame non è la morte, ma ottenere qualcosa di concreto. Non ho mai pensato che Nuriye Gülmen o Semih Ozakca fossero stati sottoposti a lavaggio del cervello.

Nuriye e Semih hanno dichiarato di essere disposti a sacrificare la vita per riavere il lavoro. Di solito, il lavoro è uno strumento per avere una vita migliore: lavoriamo non solo per guadagnare denaro, ma anche per trovare il nostro posto all’interno della società. Esiste un legame tra il diritto al lavoro e una condizione di libertà dalla colonizzazione della vita da parte dello stato?

Il mio lavoro non è in realtà strettamente correlato con i concetti di lavoro, vita e la loro connessione. Tuttavia, penso che se guardiamo alle dichiarazioni di Gülmen o di Ozakca non possiamo dire che il loro sciopero della fame sia una pratica auto-sacrificante. Le loro richieste mirano alla costruzione di una nuova e migliore vita, cercano un negoziato con il potere. Il loro sciopero è un tentativo di aprire una comunicazione con le autorità solitamente sorde.

Queste forme di resistenza implicano la necessità di rendere la lotta pubblica, o il sacrificio autoinflitto sarebbe inefficace e dimenticato. C’è un elemento necessario di pubblicità su cui il soggetto non ha alcun controllo. Qual è il ruolo dei media?

Il libro di Banu Bargu "Starve and Immolate: The Politics of Human Weapons" è assolutamente da leggere e una fonte di ispirazione per il mio lavoro. Negli anni 1999 e 2000, i media mainstream iniziarono a dirigere l’attenzione del pubblico verso le carceri, provocando crescenti critiche alla debolezza del governo (ad esempio "Confessione dello Stato: i t[]isti governano le prigioni", Hürriyet, ottobre 1999). I funzionari statali percepirono la minaccia e furono portati a prendere provvedimenti, aprendo la strada all’operazione "Ritorno alla vita". I media mainstream, che si riferivano ai prigionieri come "t[]isti" a causa della loro affiliazione con organizzazioni di sinistra rese fuorilegge, hanno avuto un ruolo fondamentale nel plasmare le azioni dello stato.

Il caso di Gülmen e Ozakca è fondamentalmente diverso: sono stati imprigionati a causa della loro determinazione nel chiedere di riavere i loro posti di lavoro. La loro presenza sui giornali e in televisione ha attirato l’attenzione della gente. La copertura giornalistica della loro lotta da parte di media simpatizzanti li ha aiutati a diffondere il loro messaggio e ottenere sostegno.

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