(Questo articolo è stato originariamente pubblicato da Unimondo.org)
"Penguen" ("Pinguino"), uno dei più importanti giornali di satira a fumetti in Turchia, ha chiuso: il suo ultimo numero è stato distribuito il 28 maggio scorso. Si tratta di una grave perdita per il mondo dell’informazione indipendente nel paese, dove spesso l’arte – in questo caso figurativa – affronta con puntualità e arguzia i temi socio-politici più scottanti.
La tradizione satirica turca ha inizio già a metà ‘800: all’epoca, rispecchiava la società del tardo impero ottomano, alle prese con rapidi cambiamenti e un fascino crescente verso usi e costumi europei. A periodi alterni, le vignette erano più o meno critiche nei confronti della situazione politica e dei governanti al potere: così differiscono, ad esempio, Diojen (Diogene), fondato nel 1870 e il cui fondatore Teodor Kasab fu incarcerato per le sue critiche al sultano, Papağan (1924) che si concentrò sul ruolo della donna, della lingua e delle tradizioni nel mezzo di una spinta modernizzatrice filo-occidentale, e Marko Paşa (1946), che divenne un portavoce del malcontento popolare.
Penguen è stato fondato nel 2002 da Metin Üstündağ, Selçuk Erdem, Erdil Yaşaroğlu e Bahadır Baruter. La sua mascotte è un pinguino, un personaggio che cerca invano di volare con delle ali artigianali. Penguen faceva parte della triade di giornali satirici in vendita in tutte le edicole turche, insieme a Uykusuz e Gırgır.
Negli ultimi anni, Penguen è stato vittima di minacce, istituzionali e non: processi e condanne per alcuni suoi disegni, minacce verbali e pressioni psicologiche, fino ad un tentato incendio doloso. Nel 2005, Penguen fu denunciato dall’attuale presidente Recep Tayyip Erdoğan per aver pubblicato una copertina – “Il mondo di Tayyip”- che rappresentava l’allora primo ministro con le sembianze di vari animali. La copertina fu realizzata in solidarietà a Musa Kart, fumettista condannato per un disegno che ritraeva Erdoğan con il corpo di un gatto. Kart attualmente si trova nel carcere di Silivri da 9 mesi, assieme ad altri giornalisti del suo giornale, il Cumhuriyet.
Nel 2011 Baruter rischiò un anno di carcere per una vignetta in cui si intravedevano sul muro di una moschea le parole “Non c’è nessun Dio, la religione è una bugia”- sulla base dell’articolo 216 del Codice Penale turco che punisce l’“insulto ai valori religiosi”. Assieme a Özer Aydoğan, nel 2015, Baruter è stato poi condannato a 11 mesi di detenzione,convertiti in una multa di 7000 lire turche ciascuno (1700 euro), per un’altra copertina di Penguen ritenuta ingiuriosa verso l’attuale presidente turco: il disegno rappresenta un funzionario nell’atto di stringergli la mano mentre si abbottona la giacca, un gesto che alluderebbe all’omosessualità di Erdoğan.
Le intimidazioni, infine, sono andate oltre alle minacce legali e verbali: nel maggio del 2012 la sede di Penguen è stata vittima di un tentato incendio doloso, in seguito al quale la redazione ha cambiato sede, trasferendosi in un edificio sorvegliato e in un ufficio dal nome falso.
Dopo la chiusura di Penguen, abbiamo intervistato Serkan Altuniğne, fumettista della rivista da 15 anni.
Quali sono le ragioni per cui si è arrivati alla chiusura di Penguen? Hanno a che fare con le minacce ricevute negli ultimi anni o si tratta di motivazioni economiche?
Sfortunatamente la ragione principale per cui abbiamo chiuso è finanziaria. Ma le cause che hanno portato all’insostenibilità economica di mantenere vivo Penguen sono varie: l’infelicità, la mancanza di speranza per il futuro e la generale crisi economica del paese creano una situazione particolare in Turchia, che ha avuto delle ripercussioni sull’edizione del nostro giornale.
Credi quindi che le persone abbiano perso interesse verso la satira e i fumetti? Come una sorta di riluttanza a ridere di certi problemi politici e sociali?
No, non credo. Le persone sono ancora interessate ai fumetti, ma i social media hanno fatto sì che ci siano modi più facili ed economici per leggerli. Ci sono milioni di account Instagram, Twitter e Facebook che condividono le nostre caricature e migliaia di persone che ci seguono. Ma per molti la situazione economica è difficile, e le persone non vogliono spendere soldi per l’edizione cartacea del giornale.
Quali problemi e minacce ha dovuto fronteggiare Penguen negli ultimi anni, oltre ai processi contro Baruter e Aydoğan, il tentato incendio e altre minacce verbali?
Li hai nominati praticamente tutti. Ma non dimentichiamo che questi problemi ci hanno portati, alle volte, all’autocensura. Credo che questo sia un incubo per un’artista: avere un’ispirazione e decidere di non seguirla. Ma in fin dei conti l’autocensura è all’ordine del giorno in Turchia.
Di cosa trattano i tuoi disegni? Nel corso del tempo, c’è stato un cambiamento rispetto ai temi toccati dalle vignette di Penguen?
Non mi occupo di un tema specifico, disegno di tutto: politica, società, ma anche episodi legati alla quotidianità delle persone e vignette mirate solo a divertire. Per quanto riguarda Penguen, no, non c’è mai stato un vero cambiamento nei nostri contenuti. Qualche volta, però, abbiamo scelto di non disegnare qualcosa o qualcuno: questo vale ad esempio per Recep Tayyip Erdoğan. Ovviamente l’abbiamo disegnato fino all’ultimo giorno, ma qualche volta abbiamo evitato di mettere le sue vignette in prima pagina. Questo perché, come sai, siamo circondati da persone arrestate per averlo disegnato – ad esempio Musa Kart – o aver scritto qualcosa di scomodo o a volte senza motivazione alcuna. E chiaramente non ci fa piacere essere arrestati… a dire la verità sono ancora sorpreso che nessuno di noi [fumettisti di Penguen] sia finito in carcere.
L’autocensura non avviene solo tra chi dissemina informazioni e idee, ma a volte anche tra chi le riceve. Credi che le persone, in Turchia, abbiano paura di leggere in pubblico – ad esempio sull’autobus, al bar e così via – certi tipi di giornali e fumetti, critici rispetto alla situazione politica, ed evitino di farlo? Questo potrebbe aver inciso sulla diminuzione delle vendite dell’edizione cartacea di Penguen?
Sfortunatamente sì. A dirla tutta non si tratta solo della lettura: alcune persone evitano perfino di parlare in pubblico. “Psstt qualcuno può sentirci…!”, ognuno ripete all’altro. Quando ti svegli una mattina e il governo può dire “Lei o lui è un terrorista” e tu puoi finire in prigione così, di colpo… ecco, ci pensi continuamente. Non è uno scherzo. E’ possibile. Ed è ovvio che tutti abbiano paura.
Serkan Altuniğne si è da poco trasferito in Germania e, per ora, pianifica di rimanerci. Continuerà a disegnare per altri giornali e riviste e dai suoi account social, e a scrivere film di animazione.
Questa pubblicazione è stata prodotta nell’ambito del progetto European Centre for Press and Media Freedom, cofinanziato dalla Commissione europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l’opinione dell’Unione Europea. Vai alla pagina del progetto