Turchia, ondata di scioperi

Stretti fra inflazione galoppante e salari insufficienti, sempre più lavoratori in Turchia entrano in sciopero. Un’ondata di proteste partita dal settore delle consegne a domicilio, ma che si è presto allargata 

16/02/2022, Kenan Sharpe - Istanbul

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Lavoratori della Yemeksepeti in sciopero - © tolga ildun/Shutterstock

In Turchia come altrove in Europa, la pandemia ha fatto la fortuna dei siti di e-commerce e delle piattaforme di consegna a domicilio. Durante il lockdown del 2020, chi poteva lavorare da casa ha fatto sempre più affidamento sulle piattaforme per la consegna a domicilio di generi alimentari, pasti pronti e merci.

Eppure, chi ha permesso alle persone di usufruire di questo servizio e alle piattaforme di accumulare profitti astronomici è rimasto nell’ombra. Ora, al terzo anno di pandemia, i corrieri rivendicano i propri diritti e nelle ultime tre settimane hanno dichiarato sciopero in diverse importanti aziende turche. Tuttavia, sono solo la faccia più visibile di quella che si è rivelata un’ondata molto più profonda di proteste.

Questi scioperi sono una reazione alla crisi economica in corso in Turchia, ma potrebbero anche segnalare un cambiamento politico. Con le elezioni all’orizzonte, i lavoratori a basso salario che combattono per i propri diritti cominceranno a mettere in discussione la capacità e la volontà del partito al governo (AKP) di proteggere i loro diritti come cittadini e lavoratori?

Lotta per la sopravvivenza

L’ultima ondata di scioperi è stata in parte ispirata dai lavoratori di Trendyol, una piattaforma turca di e-commerce, che come Amazon vende abbigliamento, elettronica, prodotti per la casa, mobili e altro ancora. I corrieri di Trendyol hanno incrociato le braccia il 24 gennaio dopo aver respinto un aumento dell’11%. Dopo tre giorni di sciopero, hanno ottenuto l’aumento da 9.500 lire turche (618,59 Euro) al mese a 12.500 (813,94 Euro).

Lo sciopero ha sensibilizzato l’opinione pubblica sulle ingiuste condizioni di lavoro dei corrieri in Turchia. Con i suoi oltre 30 milioni di clienti Trendyol, che è stata valutata 16,5 miliardi di dollari nel 2021 e conta fra i propri azionisti il gruppo E-Trade Alibaba, se l’è cavata molto bene durante la pandemia, eppure ha offerto ai lavoratori un aumento dell’11% che non tiene nemmeno il passo con l’inflazione.

A gennaio, l’Istituto statistico turco (Tuik) ha fissato l’inflazione annuale ufficiale al 48,69%, ma gruppi indipendenti parlano del 114.87% . Cibo, trasporti, elettricità e carburante hanno registrato aumenti astronomici da inizio anno. Era dalla crisi economica del 2001 che la Turchia non vedeva questi livelli di inflazione e aumenti dei prezzi al consumo.

Questa terribile situazione economica ha spinto i lavoratori a mobilitarsi. Per sopravvivere, devono mantenere i loro stipendi al passo con l’inflazione. Con il nuovo salario minimo di 4.250 lire turche annunciato all’inizio del nuovo anno si fa quasi la fame.

Come spiega Basaran Aksu, coordinatore dell’organizzazione indipendente dei lavoratori UMUT-SEN, in una recente intervista : "Anche i lavoratori che votano per AKP e MHP [il Partito Azione Nazionalista, partner di governo] non credono agli annunci fatti dall’Istituto statistico turco, ma piuttosto a cosa viene detto nei media di opposizione. [. . .] Ecco perché i lavoratori vogliono firmare nuovi accordi e avere i loro stipendi rivalutati. Altrimenti, non hanno modo di sopravvivere".

La protesta si allarga

Con la loro richiesta di salari che riflettano il costo della vita in Turchia, i lavoratori di Trendyol hanno dato voce alle preoccupazioni dei lavoratori in tutto il paese. Festeggiando su Twitter il successo di una campagna di sensibilizzazione pubblica, il profilo ufficiale dei lavoratori ha dichiarato : "Con la nostra lotta abbiamo respinto l’11% che stavano cercando di rifilarci. Ora abbiamo un aumento del 38,8%. Congratulazioni a tutti i nostri compagni di Trendyol e che siano di esempio per tutti i lavoratori!".

La rapida accettazione delle richieste dei lavoratori di Trendyol ha ispirato altre azioni, in particolare nel settore delivery.

I corrieri dell’azienda di food delivery Yemeksepeti hanno incrociato le braccia il primo febbraio. Da allora, sono radunati di fronte al quartier generale dell’azienda nel quartiere Maslak a Istanbul. Con le loro caratteristiche uniformi rosa, i convogli dei rider sulle loro moto hanno creato immagini iconiche per questa nuova ondata di militanza.

Alcuni cantanti e deputati dei principali partiti di opposizione in Turchia sono andati a sostenere i lavoratori di Yemeksepeti. Ha avuto molto risalto anche un invito al boicottaggio della compagnia. Il sindacato trasportatori Nakliyat afferma che dall’inizio dello sciopero gli ordini sono diminuiti del 70%  tra i 20 milioni di utenti del servizio.

Non solo salari, ma anche diritti

I lavoratori di Yemeksepeti chiedono salari migliori, ma anche il riconoscimento dei loro diritti. Lavorano a tutti gli effetti come dipendenti, ma Yemeksepeti li inquadra come appaltatori indipendenti per evitare di pagare liquidazione, ferie e contributi. Molti non hanno nemmeno contratti scritti. A loro carico sono anche motocicletta e assicurazione, importantissima dati i rischi di questo lavoro. Come scrive Paul Benjamin Osterlund in Equal Times, i corrieri si fanno strada nel traffico lottando contro il tempo per portare a termine le consegne.

Ma la richiesta chiave dei lavoratori di Yemeksepeti è il diritto di sindacalizzarsi. Da anni combattono per entrare nel sindacato trasportatori (TUMTIS). Sebbene abbiano vinto il diritto alla contrattazione collettiva, l’azienda li ha intrappolati in lunghe cause giudiziarie.

Il recente sciopero, tuttavia, ha portato alla luce il comportamento anti-sindacale di Yemeksepeti, con implicazioni anche a livello europeo, dato che la tedesca Delivery Hero possiede Yemeksepeti dal 2015. Hero è sotto accusa anche in America Latina ed è stata citata in giudizio in Canada e in Norvegia.

Nel frattempo, contro le piattaforme non si protesta solo in Turchia. Secondo lo studio Friedrich-Ebert-Stiftung “Global Labour Unrest on Platforms”, tra il primo gennaio 2017 e il 20 maggio 2020, in 36 paesi in tutto il mondo si sono registrate proteste contro aziende come Delivery Hero, Deliveroo, Uber Eats, Zomato e Glovo per le loro pratiche di sfruttamento.

Ma in Turchia non sono solo i “gig workers” a mobilitarsi . Nella provincia di Denizli, quasi 60 corrieri di Aras Cargo sono entrati in sciopero. I loro colleghi di Yurtici Cargo a Istanbul hanno fatto lo stesso chiedendo un aumento del 17%. Queste azioni si innestano sulle precedenti ondate di scioperi in altre aziende di trasporto merci, ad esempio la storica conquista dei lavoratori UPS del diritto alla contrattazione collettiva nel 2011.

Il 3 febbraio, 400 lavoratori del magazzino di Istanbul del supermercato Giant Migros hanno occupato il posto di lavoro . Nonostante i cannoni ad acqua inviati il giorno stesso, gli spari contro 300 lavoratori, il freddo e la repressione della polizia, continuano a dimostrare di fronte al complesso.

Insoddisfazione diffusa

I lavoratori di supermercati, e-commerce, consegne e trasporti sono più visibili al grande pubblico, ma in questa nuova ondata di sciopero hanno un ruolo importante anche i lavoratori dell’industria.

Ad esempio, le operaie della fabbrica di calze Alpin Corap a Istanbul hanno ottenuto un aumento del 70% dopo sole 24 ore di sciopero.

Anche gli operai della fabbrica di automobili Farplas a Gebze hanno occupato la fabbrica il 30 gennaio. Anche se 200 sono stati presi in custodia della polizia, con il sostegno del sindacato metalmeccanici (Birlesik Metal-IS) sono riusciti a ottenere aumento e congedo annuale.

Se mettiamo insieme queste azioni meno visibili e la vittoria di alto profilo dei giornalisti della BBC di Istanbul il 30 gennaio , è chiaro che si sta verificando un cambiamento in tutti i settori.

Nel corso del 2022 l’inflazione potrebbe arrivare al 70%. Nel frattempo, il governo turco si mostra poco intenzionato e capace di gestire le problematiche che hanno creato queste proteste. Finché la crisi continua, possiamo aspettarci che anche l’ondata di scioperi continui a diffondersi.

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