Turchia: nuove regole, vecchi problemi

La Turchia si appresta alle elezioni politiche e presidenziali del 24 giugno col nuovo assetto voluto dal presidente Recep Tayyip Erdoğan. Abbiamo analizzato la situazione alla vigilia del voto col costituzionalista Fikret Erkut Emcioğlu

19/06/2018, Dimitri Bettoni - Istanbul

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Fikret Erkut Emcioğlu è docente di diritto costituzionale presso l’Okan Universitesi di Istanbul, senior analyst per ESI (European Stability Initiative) e membro del comitato editoriale del Turkish Policy Quarterly. Lo abbiamo intervistato in vista delle prossime elezioni politiche e presidenziali, previste in Turchia il prossimo 24 giugno.

Da esperto docente di diritto costituzionale, come valuta i nuovi emendamenti alla legge elettorale turca?

Innanzitutto, dobbiamo capire se si tratti di cambiamenti reali, e io penso di no. In Turchia abbiamo assistito nei decenni scorsi ad una "cooperazione pre-elettorale" fra partiti politici: piccoli partiti che si inseriscono nelle liste dei grandi per far eleggere i propri rappresentanti in parlamento. Abbiamo sentito di buste prive di timbro del consiglio elettorale, in seguito convalidate, abbiamo visto le forze di sicurezza attorno ai seggi elettorali. E non bisogna dimenticare che la Repubblica turca ha passato metà della vita sotto la legge marziale o in stato di emergenza. Queste preoccupazioni non sono nuove.

Tuttavia, dobbiamo esaminare i recenti cambiamenti nel sistema, perché riflettono la direzione che l’attuale governo vuole imporre alla Turchia. Per classificare un sistema come democratico, non bisogna guardare né al governo né ai poteri legislativi, ma piuttosto alla magistratura. La magistratura è indipendente e imparziale? Questa è la domanda principale. Il nuovo sistema di governo della "presidenza esecutiva" – adottato con il referendum di aprile 2017 – presenta enormi difetti in termini di indipendenza della magistratura. Questa preoccupazione è sempre stata presente sin dai primi giorni della Repubblica. Non è qualcosa di nuovo in Turchia, ma il nuovo assetto costituzionale non vi pone rimedio.

Ora abbiamo un presidente della Repubblica col potere di nominare ministri, tutti i funzionari e gli ambasciatori di alto rango, rimodellare la struttura amministrativa del paese, dichiarare lo stato di emergenza, sciogliere il parlamento e indire nuove elezioni, "legiferare" attraverso i decreti presidenziali anche nel campo dei diritti sociali ed economici. Questa è un’importante concentrazione di poteri che non ha eguali in nessun altro sistema: né il presidente americano né quello francese sono così potenti.

Mustafa Şentop, esponente di spicco dell’AKP e padre della riforma costituzionale, ha affermato che era necessario sradicare i mezzi di controllo che le potenze occidentali esercitano su paesi come la Turchia, grazie alle carte costituzionali scritte durante la Guerra Fredda. Questo nuovo sistema, rivendica Şentop, porta ad una maggiore indipendenza…

Dal 1982 la Costituzione turca è stata modificata più volte. Su 177 articoli, 119 sono stati modificati. Ciò significa che sono stati rivisti quasi i 3/5 della Costituzione. La Costituzione è stata redatta sotto il regime militare. Tuttavia, la Costituzione del 1982 incorporava in parte un sistema già in vigore dalla Costituzione del 1961, che istituiva il Consiglio di sicurezza nazionale, la Corte costituzionale, l’Alto consiglio dei giudici e dei pubblici ministeri e il Consiglio elettorale supremo. Le forze armate turche sono state coinvolte nel processo di selezione e nomina dei membri di queste istituzioni. La Costituzione del 1982 ha rafforzato l’implicazione dell’esercito nelle istituzioni civili dello stato.

Le riforme, necessarie per ridurre l’influenza dell’esercito sulla vita politica e civile, sono state intraprese da vari governi negli anni 2000, per lo più sotto il Partito Giustizia e Sviluppo (AKP) di Recep Tayyip Erdoğan. Questo processo è stato rallentato a partire dal 2011 e si è interrotto nel 2013, in seguito alle proteste di Gezi e alle accuse di corruzione nei confronti di Erdoğan, considerate dall’AKP un complotto da parte dei membri del movimento gülenista, ormai fuorilegge.

I cambiamenti avvenuti dopo il 2013 non hanno invece migliorato la vita dei civili nel paese. Come già detto, l’indipendenza della magistratura è sempre stata minacciata in Turchia da chi detiene il potere. Oggi, con il nuovo sistema, il presidente nomina direttamente o indirettamente quasi tutti i membri della Corte costituzionale, nonché il Consiglio dei giudici e dei pubblici ministeri, incaricato di nominare, promuovere e licenziare giudici e pubblici ministeri.

Uno dei problemi dell’attuale campagna è la proprietà dei media turchi, ritenuti sotto il controllo quasi completo di imprese filo-governative. Ciò riguarda sia la campagna elettorale che l’esercizio dei diritti civili e politici da parte dei cittadini…

La concentrazione dei media nelle mani di uomini d’affari filo-governativi non è una novità in Turchia. Negli anni ’90, Aydın Doğan acquistò diversi organi di informazione, compreso il quotidiano Hürriyet, e ricordo che seguì un’enorme protesta pubblica, basata sul fatto che ciò avrebbe consentito all’allora governo di controllare i media in Turchia.

Oggi, Doğan ha venduto i suoi media al gruppo Demirören, considerato vicino a Erdoğan e all’AKP. Dal punto di vista imprenditoriale, potrebbe essere una mossa astuta per Doğan, minacciato dal governo a causa di imposte non pagate. Potrebbe anche essere una mossa commerciale intelligente da parte di Demirören. Il vero problema è che alcuni gruppi hanno acquisito una parte considerevole del mercato dei media. Tuttavia, il comitato per la concorrenza non vede in questo alcun rischio di abuso di posizione dominante. Sorgono quindi dubbi sull’indipendenza di questo organismo, dal momento che le nomine del suo consiglio sono fatte dal governo. In un sistema in cui il governo ha potere di nomina su istituzioni come il Comitato per la concorrenza o la Corte costituzionale, è difficile immaginarli andare contro la sua volontà.

Alcuni analisti sostengono che la Turchia si stia dirigendo verso un sistema bipartitico, grazie alle alleanze che i partiti hanno formato in vista delle elezioni anticipate del 24 giugno…

In Turchia abbiamo un sistema proporzionale che non consente la nascita un sistema bipartitico, nonostante la presenza di una soglia del 10%. Veder nascere tale sistema ora è ancora più improbabile, poiché le alleanze consentono effettivamente a quasi tutti i piccoli partiti di ottenere seggi in parlamento. Possiamo dire che la nuova legge sulle alleanze elettorali aiuta a creare due poli, ma non un sistema con due partiti. Oggi abbiamo due poli politici: da un lato l’alleanza dell’AKP con il Partito d’azione nazionalista (MHP), dall’altro l’alleanza tra Partito popolare repubblicano (CHP) kemalista e di centro-sinistra, Partito nazionalista (KI), il nazionalista Buon partito (IYI) e l’islamista Felicity Party (SP). Il Partito democratico popolare filo-curdo (HDP) è un terzo attore a sé stante.

La vera svolta sarebbe stata rimuovere la soglia del 10%, ma i partiti hanno trovato un modo per superare questo problema attraverso le alleanze. Alla fine, potremmo avere fino a otto partiti in parlamento: tre in una alleanza (AKP, MHP e alcuni nomi del Great Party islamista e nazionalista-BBP, incluso nelle liste AKP) e quattro nell’altra (IYI, CHP, SP e alcuni nomi del Partito Democratico, incluso nelle liste CHP), oltre all’HDP. Tuttavia, nulla li obbliga ad agire insieme dopo le elezioni: hanno semplicemente firmato protocolli che possono abbandonare subito dopo!

Qual è l’umore generale del paese in vista delle elezioni del 24 giugno?

Tra il 2003 e il 2009, la Turchia ha attraversato un periodo eccezionale, in cui abbiamo percepito la possibilità di superare le questioni che ci avevano afflitto per decenni. Vedo un punto di rottura nel 2008. Fino ad allora, l’AKP era definito come un partito conservatore non nazionalista. Nel 2007, una costituzione "liberale" elaborata dalla squadra del professor Ergun Özbudun per conto dell’AKP è stata bruscamente respinta dai partiti dell’opposizione. In seguito, il partito ha adottato una linea di difesa contro i tradizionali detentori del potere: l’esercito, la burocrazia kemalista e il mondo accademico.

Al giorno d’oggi, tutti i partiti soffrono di nazionalismo. Sembra che il vero vincitore sia il leader MHP Devlet Bahçeli: sebbene il suo partito abbia perso gran parte del proprio sostegno nelle intenzioni di voto dopo la creazione dell’IYI da parte di alcuni dissidenti, le sue idee sono sostenute in vari campi dalla leadership dell’AKP. La retorica politica di Bahçeli (i suoi riferimenti storici, le minacce e le paure che spesso esprime) è ora espressa dal presidente Erdoğan. Oggi, le opinioni di Bahçeli hanno un impatto radicale sulle scelte politiche e diplomatiche della Turchia.

Un’ultima osservazione sull’alleanza d’opposizione: le opinioni dei dissidenti MHP che hanno recentemente istituito l’IYI non divergono sostanzialmente da quelle dei loro ex compagni. Non differiscono dalle posizioni MHP né sulla questione curda né sulla sicurezza. Quindi, in un certo senso, l’MHP è all’interno di entrambe le alleanze. L’unico outsider, l’HDP, è altrettanto problematico, poiché inizialmente è stato concepito come movimento politico curdo in Turchia ed è ancora visto come tale da gran parte della popolazione curda (e anche non curda). L’intero paese è purtroppo intrappolato in un paradigma nazionalista, senza reali alternative.

Queste consultazioni eleggeranno anche il prossimo presidente, e nuovi nomi entrano in scena per sfidare il governo di Erdoğan…

Meral Akşener è uno di loro, ma non è nuova alla politica. È stata ministro degli Interni negli anni ’90, anni di spargimento di sangue nel sud-est della Turchia, ed è conosciuta come "Asena", il lupo grigio femmina simbolo dell’ultra-nazionalismo turco.

Un’altra personalità chiave dell’IYI, Koray Aydin, responsabile dell’organizzazione centrale e provinciale del partito, è un nazionalista intransigente cresciuto all’interno delle fila giovanili dell’MHP. La realtà è che Akşener ha guadagnato popolarità perché gli elettori dell’opposizione hanno iniziato a metterla a confronto con il presidente del CHP Kemal Kılıçdaroğlu, considerato troppo morbido, mentre Akşener è vista come una vera combattente.

Di recente, il CHP ha annunciato che Muharrem Ince sarà il suo candidato alla presidenza. Anche Ince è conosciuto come un combattente: viene dall’Anatolia, parla "la lingua della gente comune", è bravo nelle polemiche e non è Alevi né curdo, cosa che sfortunatamente conta ancora nella politica turca. Eppure è ben visto anche dai curdi, essendo stato fra i pochi membri CHP a votare contro l’eliminazione delle immunità dei parlamentari HDP. Credo che abbia un profilo attraente per molti elettori.

C’è una vera sfida al dominio dell’AKP sull’islam politico turco?

Il tema del dominio AKP sull’intero campo conservatore meriterebbe un libro a parte. Credo che la candidatura di Abdullah Gül (un fondatore dell’AKP ed ex presidente della Repubblica) sarebbe stata un punto di svolta, ma non si è fatto avanti, quindi non vorrei commentare troppo a riguardo. Tutto quello che posso dire è che Gül è un politico molto attento e che non avrebbe lasciato circolare il suo nome per così tanto tempo se non avesse avuto davvero intenzione di candidarsi. Il suo principale difetto sembra essere la mancanza, direi, di "audacia"… non è salito sul palco al momento giusto.

Che cosa manca nel panorama politico della Turchia?

Abbiamo bisogno di un partito con un forte programma europeista e democratico, sostenuto dai gruppi filo-turchi in Europa. Il CHP non è mai stato un vero partito liberale, anche se vedo gli sforzi degli attuali leader per aggiornare le politiche del partito in questo senso.

L’HDP, categorizzato fin dall’inizio come partito etnico, non è mai stato in grado di rimuovere questa "etichetta" nazionalista. È anche visto da gran parte della popolazione turca come un’entità a sostegno del terrorismo. Le lotte interne giocano certamente un ruolo importante nel fallimento del partito nel distaccarsi completamente dalle accuse di sostegno al terrorismo e diventare più un "partito della Turchia". Devo dire che, dagli eventi di Gezi del 2013, sempre più turchi hanno visto nell’HDP un movimento più "democratico per tutti", ma questo non è certamente sufficiente.

Avendo già espresso le mie opinioni IYI e MHP, non è quindi sbagliato affermare che oggi non esiste un’entità politica che possa veramente sostenere un programma di europeizzazione. Speriamo in una via d’uscita democratica dall’ambiente nazionalista e antidemocratico e ricordiamo a tutti il lungo impegno della Turchia nei confronti dei diritti umani e dei valori democratici europei/ occidentali/ universali.

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