Turchia, “l’uomo che sta fermo” e la protesta che non si spegne
Continua in Turchia la protesta nata sul destino del parco Gezi ad Istanbul, poi sfociata in manifestazioni generalizzate contro il governo di Recep Tayyip Erdoğan, accusato di una visione sempre più autoritaria del potere. E se il governo insiste nella linea della repressione, chi protesta cerca nuove forme per manifestare il proprio dissenso
Bandiera turca, immagine di Atatürk e un uomo fermo, immobile, a fissarli per ore e ore. Ieri sera in piazza Taksim è nata una nuova forma di protesta. A venti giorni dall’inizio delle manifestazioni per salvare il parco Gezi, poi sfociate in vaste dimostrazioni che hanno coinvolto numerose città turche, l’artista Erdem Gündüz ha ideato il modo di poter “stare” nella piazza senza infrangere alcun “divieto”.
#Duranadam, l’uomo che sta fermo
Nessuno slogan, nessun movimento, solo una persona in piedi a guardare due simboli intoccabili del paese. Nel giro di alcune ore il silenzio e l’immobilità dell’uomo si sono moltiplicati. Su twitter l’hashtag #duranadam (in turco, l’uomo che sta fermo) è divenuto presto il più condiviso sulla piattaforma internet.
A Taksim sono comparse centinaia di persone, pronte ad imitare la protesta silenziosa di Gündüz. Ad Ankara una donna ha iniziato a sostare nel punto in cui è stato colpito Ethem Sarısülük, uno dei quattro manifestanti uccisi durante le mobilitazioni degli scorsi giorni. Altre persone sono rimaste in piedi nel punto in cui venne assassinato il giornalista turco-armeno Hrant Dink nel 2007.
“La mia reazione è rivolta ai media”, ha detto Gündüz al termine della sua “dimostrazione” che ha interrotto dopo otto ore “per non causare problemi alle persone”, avendo visto “le forze speciali prepararsi a intervenire”. “Sono morte quattro persone, ma i media non ne hanno parlato. Io voglio che il sistema cambi, non mi basta che il governo si dimetta. Qui si sta lanciando un grido, ma non lo vogliono sentire. (…) Io sono una persona, ma ‘l’uomo che sta fermo’, non è solo una persona, è un simbolo. Domani potrà sostituirmi qualcun altro”.
Ritorno allo scontro
Lo scorso 15 giugno, dopo giorni di scontri (soprattutto ad Ankara) intervallati da momenti di distensione in diverse città del paese, proprio quando le autorità turche sembravano aver scelto la linea del dialogo, a Istanbul si è di nuovo scatenato l’inferno. Il governo, dopo due lunghe riunioni con delegazioni degli “occupanti” del parco, aveva comunicato che avrebbe rispettato l’ordine di sospensione dei lavori emanato dal tribunale.
Dibattito online
In caso di una sua decisione favorevole, invece, ha annunciato l’intenzione di indire un referendum popolare, sebbene in pratica questa opzione non sia realizzabile in base alla costituzione turca, per decidere del futuro del parco. L’unica “condizione” posta era l’evacuazione dello spazio occupato entro le successive 24 ore.
La condizione, si è visto, era un vero e proprio ultimatum. Al mattino la Piattaforma di Solidarietà con Taksim, che rappresenta i cittadini riuniti per la salvaguardia del parco Gezi, ha comunicato di voler mantenere una tenda per continuare un presidio simbolico.Verso sera è cominciato il più brutale intervento della polizia dall’inizio delle mobilitazioni, che ha ricordato a molti l’atmosfera del periodo del golpe dell’’80.
L’inizio dello sgombero del parco è stato avviato giusto un’ora dopo l’intervento del premier Tayyip Erdoğan ad un comizio tenuto ad Ankara, che ha inaugurato ufficialmente la campagna elettorale del governo per le elezioni amministrative del 2014. “Il Parco Gezi appartiene agli abitanti di Istanbul, non è luogo di occupazione. Se non lo evacuerete voi le forze di sicurezza sapranno come farlo”, ha affermato il premier.
La polizia, coadiuvata questa volta anche dalla gendarmeria, ha utilizzato enormi quantità di lacrimogeni e idranti, scaricati anche all’interno di alberghi (il Divan, che ha prestato soccorso ai manifestanti fin dall’inizio delle proteste) e degli ospedali della zona.
Le scene delle persone in panico dentro il Divan hanno fatto il giro del mondo, anche per la presenza di figure pubbliche al momento dell’attacco. Diverse centinaia i feriti e gli intossicati. Le organizzazioni dei medici hanno denunciato anche l’uso di sostanze acide mescolate all’acqua degli idranti. La mattina seguente il quotidiano filo-governativo Sabah però titolava: “Buongiorno Gezi. La polizia ha svuotato il parco senza mettere a repentaglio la vita di nessuno”.
Media sotto attacco
Nella giornata di ieri cinque organizzazioni sindacali hanno indetto uno sciopero di 24 ore, tentando, senza successo, di raggiungere Taksim in corteo. Intanto continua ad aumentare il numero dei fermi effettuati dalla polizia che allo stato attuale si aggira attorno ai 400, tra cui diversi giornalisti e medici. Questa mattina sono state arrestate 25 persone ad Ankara per aver dato sostegno alle manifestazioni, con l’accusa di far parte di organizzazioni t[]istiche.
Durante il secondo comizio (chiamato come il primo “Rispetto per la volontà nazionale”) tenuto lo scorso 16 giugno di fronte a qualche centinaia di migliaia di persone, Erdoğan ha rivolto dure accuse alla stampa estera. “Se qualcuno vuole vedere la foto della Turchia, eccola è qui, a dispetto della stampa internazionale. (…) Sono giorni che producete notizie false e che presentate la Turchia come non è. Ora siete rimasti da soli con le vostre menzogne”.
Erdoğan ha poi affermato che “anche in Turchia alcuni gruppi media fanno parte dello stesso gioco. Ma sono stati tutti smascherati”, aggiungendo che “quelli che hanno utilizzato i social media per provocare verranno cercati ed individuati, uno per uno”.
E nemmeno gli appelli delle organizzazioni internazionali dirette al governo turco sembrano ricevere alcun ascolto. Anzi, dopo che l’assemblea del Parlamento europeo giovedì scorso aveva approvato una risoluzione critica sulla brutalità della polizia turca e sul comportamento del governo e del premier di Ankara, Erdoğan aveva affermato di non riconoscere “alcuna decisione presa dall’Europarlamento sulla Turchia". Ieri il premier ha rincarato la dose aggiungendo di non riconoscere “questo Parlamento Europeo".
Lotta anche nei numeri
Intanto, mentre le manifestazioni continuano, assumendo le forme più creative immaginabili, il vice premier Bülent Arınç sventola lo spauracchio dell’intervento dei militari per impedire “le azioni contrarie alla legge”: “Abbiamo la polizia, se non basta la gendarmeria e se non basta ancora anche l’esercito. E’ la legge che ce lo consente, per il momento non ce n’è stato bisogno”.
Nonostante la prova di forza numerica sfoggiata dal premier Erdoğan durante i comizi di Ankara e Istanbul dei giorni scorsi, un recente sondaggio condotto dalla società Metropoll indica che se si tenessero le elezioni oggi l’AKP prenderebbe il 35,3 dei voti (contro i 49% delle ultime elezioni). Il 62,9% degli intervistati vuole che il parco rimanga tale, mentre il 49,9% ritiene che il governo sia sempre più autoritario. I dati sono però confutati da altre due ricerche che indicano la preferenza dell’AKP al 48,8% (ANDY-AR) e al 51% (Pollmark). Non stupirebbe se fossero più corretti gli ultimi due dati, dato l’appoggio che anche le frange nazionaliste del paese, pur contrariamente alla posizione del leader del partito del movimento nazionalista (MHP), stanno dando a Erdoğan.
L’opposizione al governo c’è, si sente ed è molto forte, ma resta l’assenza di una formazione politica adeguata che possa dar voce a questa espressione del tutto “civile”.
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